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Pavia, la pietra d’inciampo «contesa» dell’antifascista Giovanni Minchiotti, sopravvissuto ai lager: il caso finisce in tribunale #finsubito prestito immediato – richiedi informazioni –


di
Davide Maniaci

La storia del finanziere che rifiutò di arruolarsi per la Repubblica di Salò riscostruita da due bibliotecarie di San Giorgio di Lomellina. La targa è stata pagata dall’Aned, ma la figlia vuole collocarla in Liguria 

Di chi è quella pietra d’inciampo? Le cerimonie in programma sono due, con data ancora da definire. Il manufatto però è uno solo e la vicenda finirà in tribunale. Le pietre, creazioni dell’artista tedesco Gunter Demnig, portano inciso nell’ottone il nome di un deportato nei lager nazisti con data di nascita e di morte. Vengono poi piantate sul suolo pubblico. Anche San Giorgio di Lomellina, centro rurale di mille abitanti, ha il proprio eroe.

La storia di Giovanni Minchiotti, classe 1917, era nota solo ai familiari fino a quando tre anni fa le bibliotecarie del paese l’avevano ricostruita. Da lì l’idea di commemorarlo da parte dell’Aned, l’Associazione nazionale ex deportati nei campi nazisti, sezione pavese, insieme al Comune. La pietra d’inciampo era arrivata a San Giorgio. Sarebbe poi stata affissa nella piazza del piccolo centro. 




















































L’anno scorso il sindaco Giovanni Bellomo aveva invitato la famiglia Minchiotti, che vive in Liguria, per un incontro preliminare prima dell’evento. «La figlia del deportato, Giuseppina Minchiotti — spiega Marco Savini dell’Aned — aveva chiesto di portare la pietra con sé. Siccome la signora commossa dall’iniziativa, in via del tutto eccezionale la richiesta è stata accolta». Si credeva che la signora poi avrebbe restituito la pietra, consentendo la posa dell’opera a San Giorgio come da programma. Invece no. La stessa identica cerimonia è stata programmata anche a Loano (Savona)

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Il tentativo di conciliazione è fallito, adesso è arrivata la citazione in giudizio. Sarà un giudice del tribunale di Savona a stabilire a chi spetti davvero conservare la memoria del deportato, e i tempi automaticamente si allungheranno. «Aned — chiarisce Savini — quella pietra l’ha pagata in anticipo. Come è prassi, ai discendenti o ai Comuni o a entrambi tocca rimborsare il denaro speso. In questo caso non abbiamo ricevuto nulla».
La signora Minchiotti, infatti, i soldi li ha donati, ma al Comune di San Giorgio. Una somma di 1.500 euro, accettata tramite delibera di giunta e «finalizzata all’acquisto e alla posa di una pietra d’inciampo», oltre che per sostenere la biblioteca. Non risultano, ad ogni modo, atti di donazione, e dal municipio pensavano che il denaro servisse proprio per allestire la cerimonia in loco. Non altrove. 

Parla l’avvocato Giacomo Buscaglia, che difende la donna. «Su istanza della mia assistita, che desiderava che la pietra fosse posata davanti alla casa dove aveva vissuto l’ex deportato, il sindaco di San Giorgio ha consegnato l’opera affinché fosse posata a Loano. Ella detiene quindi legittimamente la pietra d’inciampo che verrà collocata in Liguria, una volta definita la controversia con il Comune di San Giorgio». Il «pasticcio» nasce da qui: la signora aveva chiesto la pietra per portarla a casa sua. Comune o Aned pensavano fosse un prestito e che «tornasse indietro».

Giovanni Minchiotti era un militare della Guardia di finanza. Rifiutò di arruolarsi per la Repubblica di Salò e per questo fu internato a Dachau. A differenza di tanti altri sopravvisse in circostanze fortunose, aiutato da un anziano ufficiale tedesco del campo il cui figlio, morto nella battaglia di Stalingrado, era nato nello stesso giorno, mese e anno di Minchiotti. Tornato in Italia, si è spento serenamente in Liguria nel 1990. 

Una storia da romanzo con un lieto fine, a differenza di tante altre di quell’epoca disperata. In una vicenda controversa che forse non sarebbe piaciuta al diretto interessato, interviene anche il sindaco di Loano, Luca Lettieri. «Penso che la volontà della figlia Giuseppina di collocare la pietra di inciampo a Loano, dove il padre è vissuto ed è morto, vada rispettata. Spiace che la tragica e sofferta esperienza patita da un ex deportato a Dachau finisca a carte bollate».

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5 novembre 2024



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