L’inchino al figlio del boss ucciso nella sede della società dei rifiuti, la vigilessa che aiutava il clan

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«Questa è l’azienda nostra», avrebbero detto portando a spalla la bara di Cesare Diomede nella sede dell’Amiu. L’episodio risale a settembre 2011, poco dopo l’omicidio del figlio di uno dei mammasantissima del clan che verso la fine degli anni Ottanta fu protagonista di una faida tra famiglie del San Paolo e di Bari Vecchia. Una vecchia storia di quasi tre lustri fa, l’«inchino» al figlio di Biagio Diomede, all’epoca a capo di un gruppo mafioso ormai quasi dimenticato, è alla base del provvedimento che in settimana il prefetto di Bari, Francesco Russo, dovrà adottare nei confronti dell’Amiu, l’azienda dei rifiuti del Comune di Bari in cui ha una partecipazione di minoranza anche il Comune di Foggia.

Cesare Diomede fu ammazzato a colpi di pistola a 39 anni, il 28 agosto 2011, in una strada del quartiere Carrassi: era un sorvegliato speciale, indagato per fatti di droga. Lui e diversi suoi parenti erano dipendenti dell’Amiu. La storia dell’«inchino» a Cesare, figlio di Biagio, nipote di «Tetè» Diomede e di Pino «Diò», è emersa dal verbale di un pentito e all’epoca sarebbe anche stata segnalata in Procura dall’allora sindaco Michele Emiliano. Per gli ispettori e il ministero dell’Interno sarebbe indice di quella «agevolazione occasionale» della criminalità organizzata che consente alla Prefettura – sulla base dell’articolo 94 bis del Codice antimafia – di disporre la «prevenzione collaborativa». Significa che verrà nominata una terna di esperti per garantire il «tutoraggio» della società e adottare «provvedimenti organizzativi di risanamento». Il Gia, il Gruppo interforze antimafia (ne fanno parte finanza, carabinieri e polizia) verificherà tutte le operazioni, gli incarichi professionali e tutti gli atti di gestione. E tra un anno il prefetto valuterà se Amiu potrà dirsi risanata o se, al contrario, dovrà essere destinataria di una interdittiva antimafia.

In settimana il prefetto Russo provvederà a notificare le decisioni conseguenti all’ispezione antimafia ordinata dal Viminale dopo l’operazione giudiziaria Codice Interno. Al termine dei sei mesi di audizioni e acquisizioni documentali non sono emersi elementi che giustifichino lo scioglimento del Comune, perché non ci sono tracce di compromissioni dell’attività amministrativa né tantomeno sono state rilevate alterazioni nel voto tali da inquinare le elezioni comunali 2019, quelle in cui l’ex avvocato Giacomo Olivieri (finito in carcere) avrebbe comprato voti dalla mafia per far eleggere la moglie Maria Carmen Lorusso. E tuttavia, l’imminente applicazione di sanzioni ad agenti di Polizia municipale, le decisioni che riguardano Amiu, e una non meglio definita misura di «tutoraggio» sulla Multiservizi, segnalano che l’ispezione ha fatto emergere da un lato qualche elemento di (pericolosa) contiguità con la criminalità organizzata, dall’altro qualche problema con le assunzioni di personale. Di questo riferirà in Antimafia il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, così come richiesto già ieri dal vicepresidente della commissione parlamentare, il deputato pugliese Mauro D’Attis (Fi).

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La situazione più delicata riguarda senz’altro la Polizia municipale, in cui le verifiche hanno portato la stessa prefettura a proporre la sospensione dal servizio per tre mesi di una vigilessa già a processo con l’accusa di omissione di atti di ufficio e che, sulla base di informative di polizia giudiziaria, avrebbe mostrato di essere «vicina» ad alcuni pregiudicati. Altri 10 vigili urbani, per la gran parte residenti a Japigia, subiranno la revoca del titolo di pubblica sicurezza e dunque dovranno restituire l’arma di ordinanza: in alcuni casi sono emerse parentele con elementi controindicati che, da sole, non avrebbero dovuto consentire il rilascio del titolo. Diversa la questione che riguarda la Multiservizi. La prefettura ha dato atto che il presidente in carica, Francesco Biga (scelto da Decaro per mettere riparo ai «danni» di Olivieri, all’epoca nominato da Emiliano), insieme al Comune ha messo in atto «procedure di “bonifica” dell’azienda», licenziando una serie di dipendenti «controindicati». In questo caso il Prefetto dovrà mettere in atto una misura «meno invasiva» che tramite il Gia dovrà garantire un «puntuale controllo»: per un anno dovrà verificare tutti i mesi le assunzioni e i contratti di lavori, servizi e forniture, e sentire ogni tre mesi i vertici dell’azienda «sull’andamento delle attività».

Anche il Comune finirà, per certi versi, sotto tutela. Il Viminale ha incaricato il prefetto di esercitare «una rigorosa azione di controllo» in particolare sugli uffici che si occupano di servizi sociali, turismo, commercio e tributi, e potrà chiedere all’amministrazione di modificare i regolamenti interni «con particolare riferimento alle disposizioni concernenti le procedure assunzionali» nonché di riorganizzare il sistema dei controlli interni. Ma soprattutto dovrà fare in modo che vengano predisposte linee guida sulla gestione del personale, in particolare della Polizia locale e delle società partecipate in cui – secondo la prefettura – l’abuso del lavoro interinale avrebbe consentito assunzioni indiscriminate, a volte anche di persone vicine alla criminalità. Ma, anche qui, si tratta di vecchie vicende, a volte risalenti addirittura ai tempi dell’ultimo sindaco di centrodestra.

Lo riporta lagazzettadelmezzogiorno.it



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