Domenica pomeriggio, dopo tre giorni in cui abbiamo sperato e disperato nel vecchio Policlinico universitario romano, ci ha lasciato Grazia Zuffa, amica, sorella, compagna, maestra di una moltitudine transgenerazionale di attiviste, scienziate, ricercatrici, professioniste e professionisti di ogni settore socio-sanitario che potesse avere a che fare con la vita, il corpo, la libertà delle persone, e delle donne in particolare.
Psicologa di formazione, femminista per scelta, attraversa gli anni Settanta e Ottanta a Firenze tra movimenti e partito. In relazione con le compagne di sempre, Maria Luisa Boccia, Tamar Pitch, Ida Domnijanni, pratica la politica dentro e fuori dalle istituzioni. Il Pci la porterà prima in Consiglio comunale e poi in Senato, per due legislature. Sono gli anni del primo contrattacco alla legge sull’aborto e della svolta proibizionista e punitiva sulle droghe. Grazia, con il rigore e l’intelligenza che ne formavano la cifra distintiva, stringeva rapporti con le comunità di accoglienza guidate da Luigi Ciotti e spendeva argomenti di opposizione che andavano oltre i confini del suo gruppo parlamentare e si intrecciavano con quelli dei radicali, dei Verdi, tra cui il suo Franco Corleone, lì conosciuto e amato per sempre, e della Sinistra indipendente, tra cui spiccavano, in quelle battaglie, Franca Ongaro e Pierluigi Onorato.
Ma sono anche gli anni del crollo del muro e della fine del Pci. Grazia si schiera con Ingrao e Tortorella, contro il cambio del nome e del simbolo, ma lo fa a partire da un documento sottoscritto da un gruppo di femministe da tempo in relazione tra loro e che lo resteranno per sempre, dando contributi fondamentali alla cultura politica delle sinistre, da Maria Luisa Boccia a Franca Chiaromonte, da Letizia Paolozzi a Fulvia Bandoli, Marisa Nicchi, Gloria Buffo. «La nostra libertà è solo nelle nostre mani», si intitolava quel documento, e il nome era già un programma.
L’uscita dal Palazzo, al termine della burrascosa legislatura di Mani pulite, non fu un problema per Grazia, abituata a fare politica con il pensiero e con l’azione ovunque si trovasse, e quindi, all’indomani del vittorioso referendum contro le norme più odiose della legge sulla droga, venne naturale cercare nuovi percorsi e nuove pratiche, come la promozione di un forum permanente sulle politiche sulle droghe, quel «Forum droghe» intorno a cui si aggregò gran parte del mondo antiproibizionista e per la sperimentazione delle politiche di riduzione del danno e da cui nacque fuoriluogo, periodico e poi rubrica, tutt’ora ospitato su questo giornale.
Da quell’impegno sulla riduzione del danno, sulla libertà e la responsabilità delle persone verso se stesse e verso le prossime, venne il suo libro I drogati e gli altri (Sellerio) e un pezzo della sua ricerca bioetica, insieme a quella sulle tecnologie della riproduzione assistita (con Boccia scriverà il fondamentale Eclissi della madre nel 1998). Naturale, quindi, il suo approdo nel 2006 nel Comitato nazionale di bioetica, da cui ha dato contributi fondamentali sulla salute in carcere, sul superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari e della cultura manicomiale, fino a i progetti di lavoro – purtroppo incompiuti – sul trattenimento dei migranti nei Cpr.
Anche qui, impegno istituzionale che si mischiava, anzi si nutriva di confronti scientifici e pratiche sociali in ogni contesto e in ogni parte del mondo. Ogni cosa che Grazia diceva e scriveva era frutto di conoscenze maturate nel confronto diretto con scienziati di fama internazionale, gruppi di attivisti e associazioni di utenti dei servizi, tutte e tutti ascoltati e interrogati con la medesima attenzione. Ogni cosa che avesse a che fare con la libertà relazionale la interessava e poteva diventare oggetto di studio o di impegno, dalla condizione femminile nelle carceri, cui ha dedicato due libri con Susanna Ronconi, alle nuove pratiche della giustizia riparativa, da cui l’autoriflessione maturata nell’ambito de La Società della ragione, in anni recenti da lei presieduta, Giustizia nella comunità, scritta a otto mani con Camillo Donati, Giulia Melani e Patrizia Meringolo.
Grazie era una persona che aveva cura delle relazioni, apriva le sue case agli amici. Passeggiava per le montagne di Timau seguendo il suo passo. Grazia era anche una grande amante della natura. Perdiamo un’amica carissima. Ci uniamo al dolore di Franco, della figlia Irene, di Aaron e degli amatissimi nipoti Leonardo e Ulisse.
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