Legittimo il finanziamento infruttifero erogato nell’interesse del gruppo

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La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3223 depositata ieri, torna a pronunciarsi sull’applicabilità ai finanziamenti infruttiferi infragruppo della disciplina in materia di transfer pricing di cui all’art. 110 comma 7 del TUIR.
Il caso analizzato si può definire “standard”, in quanto riguarda i finanziamenti infruttiferi concessi dalla società italiana alla sua controllata estera (nella specie, rumena).

Relativamente a detti finanziamenti infruttiferi, l’Agenzia delle Entrate contestava (per l’anno d’imposta 2007, così come per quello precedente) la mancata applicazione della disciplina sui prezzi di trasferimento ex art. 110 comma 7 del TUIR, recuperando a tassazione un maggior reddito d’impresa in misura pari agli interessi attivi (teorici) non percepiti dalla controllante, che sarebbero stati applicati in base al loro valore normale (di mercato, tra soggetti indipendenti).

La società contribuente impugnava l’accertamento dinnanzi alla Commissione Tributaria Provinciale che accoglieva il ricorso, con successiva conferma della decisione anche da parte del giudice di secondo grado, il quale riteneva illegittima la ripresa a tassazione in quanto non vi era prova che la società italiana avesse percepito interessi.

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L’Agenzia delle Entrate proponeva quindi ricorso per Cassazione, sostenendo (quale unico motivo) che il giudice tributario d’appello avesse erroneamente gravato l’Amministrazione di un onere probatorio estraneo alla disciplina del transfer pricing internazionale: ciò (a detta dell’Amministrazione) in ragione del fatto che, stante la presunzione di onerosità del mutuo e la pacifica infruttuosità dello stesso, la transazione risulterebbe per ciò solo in contrasto con il criterio del valore normale di cui alla normativa di riferimento.

La Corte di Cassazione ha, in sintesi, accolto il ricorso stabilendo che anche il finanziamento infruttifero tra imprese dello stesso gruppo non può sottrarsi all’applicazione del principio del valore normale di cui alla disciplina in materia di prezzi di trasferimento.

Nel dettaglio, la Corte richiama un principio già affermato (Cass. n. 13387/2016) relativamente ad una fattispecie analoga (la cui norma di riferimento, di uguale tenore di quella in esame, risultava allora collocata all’art. 76 comma 5 del TUIR), in base al quale anche la stipula di un mutuo gratuito tra una società controllante residente e una controllata estera soggiace a detta disciplina.

Essa deve trovare, infatti, applicazione non solo quando il prezzo pattuito risulti inferiore a quello mediamente praticato nel comparto economico di riferimento, bensì anche quando lo stesso sia nullo: ciò in ragione del fatto che tale ipotesi comporta un indebito trasferimento di ricchezza imponibile verso uno Stato estero, contrastato dall’applicazione del valore normale in luogo del corrispettivo.

Tale impostazione differisce da altre decisioni della Suprema Corte. Infatti, nelle sentenze 19 dicembre 2014 n. 27087 e 17 luglio 2015 n. 15005 è stata negata l’applicabilità della disciplina ai finanziamenti infruttiferi concessi alle consociate estere, sulla base del presupposto che la stessa operi alla duplice condizione che:
– dall’operazione negoziale infragruppo derivino componenti – positivi o negativi – reddituali;
– dalla relativa applicazione derivi un “aumento del reddito” imponibile.

In senso conforme, si segnalano anche C.T. Reg. Torino 13 ottobre 2016 n. 1224, C.T. Reg. Torino 29 settembre 2010 n. 65/34/10 e C.T. Prov. Reggio Emilia 17 marzo 1997 n. 55/7/97.
La sentenza n. 3223/2025 si dimostra di interesse per i contribuenti in merito al criterio di riparto dell’onere probatorio ai fini della disciplina sul transfer pricing. Su questo tema, infatti la Corte ha precisato che, in caso di finanziamento infragruppo (erogato da una controllante italiana ad una società “veicolo” estera) spetta all’Amministrazione finanziaria la dimostrazione che la transazione avvenga ad un tasso di interesse inferiore a quello “normale” (quale presupposto della ripresa a tassazione degli interessi attivi).

Si afferma, poi, che ricade in capo alla società contribuente l’onere di fornire la prova contraria: dimostrando che il finanziamento sia concesso ad un tasso di interesse aderente a quello di mercato; ovvero, in caso di finanziamento gratuito, dimostrando che lo stesso sia dipeso da “ragioni commerciali” interne al gruppo, connesse al ruolo assunto dalla controllante a sostegno delle consociate.

Tale impostazione era stata adottata anche dalla sentenza 19 marzo 2024 n. 7361. Quest’ultima, richiamando un precedente orientamento (Cass. n. 13850/2021), ha evidenziato anche che un finanziamento infruttifero, o a tasso non di mercato, non può essere sindacato in sé, essendo possibile per il contribuente dimostrare le ragioni economiche che hanno portato a finanziare, con le specifiche modalità adottate, la propria partecipata.

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