La storia è la memoria di un popolo. Quando si ricorre all’immaginario fantasy di Tolkien e di Collodi, come avviene oggi nella comunicazione politica e nel dibattito parlamentare, si continua cinicamente a cancellare chi la storia l’ha fatta con le sue scelte coraggiose, chi ha una buona storia da raccontare, vissuta nella realtà, ma purtroppo in Parlamento non c’è un socialista che quella memoria possa farla valere: un tempo ci fu un politico, un socialista, un leader internazionale, uno statista, che seppe farci rispettare dagli Stati Uniti d’America…
“Mi si chiedeva una cosa francamente impossibile e perciò non la feci, anche se mi costò una crisi di governo, subito poi rientrata. Il presidente americano mi scrisse una lettera che iniziava con “caro Bettino” e mi invitava a New York”.
“Bettino Craxi è stata una personalità rilevante degli ultimi decenni del Novecento italiano. Parlamentare italiano ed europeo, Segretario del Partito Socialista Italiano per oltre un quindicennio, Presidente del Consiglio dei Ministri, ha impresso un segno negli indirizzi del Paese in una stagione caratterizzata da grandi trasformazioni sociali e da profondi mutamenti negli equilibri globali. Interprete autorevole della nostra politica estera europea, atlantica, mediterranea, sostenitrice dello sviluppo dei Paesi più svantaggiati, aperta al multilateralismo, lungo queste direttrici ha affrontato passaggi difficili, rafforzando identità e valore della posizione italiana. Un prestigio che poi gli venne personalmente riconosciuto con incarichi di rilievo alle Nazioni Unite”.
Sono le parole di Sergio Mattarella nel venticinquesimo anniversario della scomparsa del leader socialista.
Il dibattito politico, imbarazzante e irrazionale, a cui assistiamo in questi giorni sul caso Almasri, ci obbliga a riflettere sulla diversità dei comportamenti tra allora ed oggi, e anche a misurare la differenza di statura e di livello tra quel sistema politico e quegli uomini rispetto alla decadenza ambigua, nel costume e nel potere, dell’Italia di oggi. Il 1985, fu l’anno di Sigonella un gesto di dignità nazionale, ma è anche l’anno in cui Craxi presiede il Consiglio europeo da cui, nascerà l’Atto unico attraverso il quale si delibera la caduta delle barriere doganali al fine di creare un autentico mercato europeo.
È il 7 ottobre 1985 e, nel cuore del Mediterraneo, dalla “Achille Lauro” parte un SOS: 545 persone sono state sequestrate da un gruppo di palestinesi. La prima preoccupazione del presidente del Consiglio Craxi è quella di salvare gli ostaggi. Il governo egiziano riesce a mettersi in comunicazione con la nave. Riferisce all’Italia che a bordo ci sarebbero “da quattro a sei dirottatori, armati di mitra e bombe a mano”. Chiedono la liberazione di 50 palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. Andreotti telefona ad Arafat, lui replica che non c’entra niente. Anche l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, con un comunicato ufficiale, fa sapere di essere estranea al sequestro.
Yasser Arafat informa Craxi di avere inviato due emissari per affiancare il governo egiziano nella trattativa coi dirottatori. Uno dei due è Abu Abbas, leader del Fronte per la liberazione della Palestina, una fazione dissidente dell’OLP.
Andreotti riesce a contattare Ḥāfiẓ al-Asad che vorrebbe starne fuori ma, per i rapporti che ha con l’Italia acconsente che l’Achille Lauro attracchi in porto, a condizione che Italia e Stati Uniti aprano un dialogo e non compiano azioni di forza.
Craxi prova a convincere Maxwell Milton Rabb ambasciatore degli Stati Uniti in Italia, ma lui rifiuta: gli USA non trattano coi terroristi. La negoziazione fallisce e Damasco nega il permesso di attracco. A questa notizia i dirottatori reagiscono uccidendo l’americano Leon Klinghoffer, di religione ebraica. Dicono al comandante della nave, mostrandogli il passaporto di Klinghoffer, che se non si apre una trattativa entro un’ora, inizieranno a giustiziare un passeggero ogni tre minuti. Abu Abbas riesce a contattarli e li dissuade. Un radioamatore intercetta la comunicazione e riferisce che i quattro chiamano Abbas “comandante”. Abbas ordina loro di tornare in Egitto. Loro eseguono.
Dopo una lunga sequela di colpi di scena e di eventi drammatici, i palestinesi vengono intercettati su un Boeing 737 dell’EgiptAyr da quattro caccia F-14 statunitensi e obbligati a dirigersi verso l’Italia. Ronald Reagan chiede l’autorizzazione all’atterraggio nella base NATO di Sigonella e l’immediato trasferimento in America degli assassini: comincia così “la notte di Sigonella”.
Sigonella è suolo italiano, così come italiana è la nave in cui è stato commesso il crimine: l’Italia ritiene che il caso sia soggetto ai poteri della nostra giurisdizione. Gli USA sono di parere opposto, essendo americano il cittadino ucciso. Il velivolo con a bordo i terroristi e due dirigenti dell’OLP ripartirà per Roma, seguito da aerei non identificati. Dopo ore di febbrili trattative i dirigenti dell’OLP che hanno svolto la funzione di “mediatori” lasceranno l’Italia su un aereo di linea jugoslavo.
Craxi, d’accordo con l’allora ministro degli Esteri Giulio Andreotti, aveva preferito una soluzione negoziale a quella militare, predisposta dal ministro della Difesa Giovanni Spadolini, che in quella occasione volle essere più reganiano di Reagan.
Sugli altari di quella notte, Craxi fu portato anche dall’opposizione comunista, nonostante la sconfitta, da loro subita, nel referendum contro i tagli alla scala mobile dei salari.
Giorgio Napolitano, presidente del gruppo parlamentare del PCI alla camera, volle conoscere il punto di vista del Presidente del Consiglio sulla risoluzione presentata dal gruppo. Il merito non riguardava la questione di fiducia sul Governo, quanto le comunicazioni rese dallo stesso Presidente del Consiglio alla Camera. Bettino Craxi volle ringraziarlo per l’apprezzamento espresso in ordine all’operato del Governo svolto in occasione della vicenda dell’Achille Lauro.
Si guadagnò gli applausi del PCI per via del no detto a Reagan. Craxi ordinò alla Vigilanza dell’Aeronautica Militare e Carabinieri d’impedire alla Delta Force la cattura dei dirottatori della nave.
Craxi, uno statista autorevole e lungimirante, non fuggì dal Parlamento, riuscendo a costruire un consenso ben più ampio della sua maggioranza. Il presidente del Consiglio, in quei mesi di quarant’anni fa, era circondato da una crescente ammirazione, se pur penalizzato da un modesto consenso elettorale. Era riconosciuto da tutti, in Italia e nel mondo, come un grande leader: autorevole e lungimirante, determinato.
I leader Europei, Mitterand, Kohl, Thatcher, sospinti da Craxi e da Andreotti, si stavano finalmente convincendo che la crisi medio-orientale non si poteva risolversi solo con le prediche
Nel corso di quella notte e nei giorni che seguirono, cosa non fu messo in moto per affondare il governo italiano e colpire personalmente Craxi: le falsità, il doppio gioco, le forzature plateali, espresse a tutti i livelli, nei confronti della sovranità di una nazione, che pure veniva continuamente indicata e lodata come “amica e alleata”. La questione era che per gli ideatori del gioco al massacro il bersaglio non era Abu Abbas ma il governo italiano.
In quei giorni del 1985 un uomo politico minoritario, ma che era stato in grado di elevarsi per suo merito al ruolo di statista, si collocò con semplicità al di sopra degli inganni, delle falsità e delle paure che aggredivano e circondavano lui ed il suo paese, ed ebbe la forza e l’autorevolezza di contrastare chi voleva sconfiggere la verità e le buone ragioni di una politica estera lungimirante che era stato in grado di esprimere e di far pesare in tutto il Medio oriente. Una politica non a caso amica della pace e del progresso, alleata della giustizia e della verità.
Per una nazione di media potenza qual’era l’Italia, anche se favorita allora dal gioco dei due blocchi, realizzare una politica alta, lungimirante e forte pretendeva un livello di solidità del paese, ma anche una base affermata di storia democratica.
Il vento sta cambiando… Il merito del Presidente della Repubblica è quello di aver compreso che gli obiettivi che sono oggi di fronte al Paese, alle sue generazioni più giovani, non si discostano molto dalla permanenza di quei vincoli e dalle relative necessità riformatrici: obblighi di cambiamento che richiedono un ruolo decisivo del riformismo vero, cioè, non molto dissimili da quelli che Craxi ed i socialisti avevano dinnanzi quarant’anni fa, e che oggi sono l’obiettivo di chi può finalmente affrontarli, e forse anche portarli a soluzione.
La mia, insieme a quella di tanti socialisti, non è solo nostalgia…il ricordo di quella crisi, su come fu gestita, in quel contesto geopolitico, appare, in tutta evidenza, di diverso spessore rispetto ai nostri giorni. Era il 1985 e De Gregori cantava La storia siamo noi…contro la disaffezione alla politica. Con disarmante eleganza, il cantautore condanna il pensiero qualunquista e populista. Un testo di quelli davanti ai quali c’è solo da inchinarsi ripetutamente e chiedersi quanto danno ha portato al Paese rimuovere quella memoria…
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