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Conto e carta

difficile da pignorare

 


Compera la linea primo prezzo del supermercato, ma anche il prosciutto crudo dop. Privilegia i prodotti in promozione, ma si concede un weekend nel centro benessere. Acquista la friggitrice ad aria di ultima generazione e lo smartphone ricondizionato. Quando, poi, si tratta del cane o del gatto, non bada a spese e sceglie solo il meglio. Il consumatore mostra, oggi più che mai, un mix di comportamenti che, almeno in apparenza, sembrano contraddittori. In realtà, sono il risultato (e lo specchio) dei tempi che stiamo vivendo. Tempi incerti e complessi, in cui le crisi (geopolitiche, economiche, finanziarie, ambientali e sociali) si susseguono e intrecciano, tanto che si parla ormai di policrisi.

Crisi e prezzi al rialzo

Di fatto, la crisi che oggi preoccupa maggiormente i consumatori, la crisi per definizione, è quella economica. Se è vero che il reddito da lavoro dipendente sta aumentando, trainato da un mercato del lavoro in buona salute, è altrettanto vero che i prezzi, negli ultimi anni, hanno subito un notevole rialzo in quasi tutti i comparti. E, nella maggior parte dei casi, non sono più scesi. Per rendersene conto, basta osservare l’andamento del largo consumo nel 2024: nel confronto con l’anno precedente, la crescita a valore è stata pari a +1,9%, quella a volume a +1,2% (fonte: Niq, anno terminante al 1° dicembre). In alcune categorie questa differenza è molto più marcata. Così, per esempio, le bevande hanno registrato +1,1% a valore e +0,2% a volume, gli alimenti confezionati +1,9% a valore e +0,2% a volume, il petcare +2,7% a valore e +1% a volume.

All’insegna del risparmio

Non stupisce, dunque, che la parola chiave con cui gli italiani si approcciano ai consumi sia risparmio. Ecco allora che – quando si parla di spesa quotidiana – si va alla ricerca di offerte speciali e sconti. Ciò significa che ci si “sposta” da una marca all’altra in funzione delle promozioni, oppure che si diversificano i canali in relazione alle categorie. Così, per esempio, si compera l’ortofrutta al mercato di quartiere, i prodotti per la cura della persona al drugstore, una parte del food al supermercato e un’altra al discount. Quest’ultimo, in particolare, ha ormai raggiunto una quota di mercato pari al 23%, con un incremento del 4% rispetto al 2019. Quando le promozioni non ci sono – o non sono considerate soddisfacenti – si opta per le private label, la cui quota nel nostro Paese ha superato il 30%, e le linee primo prezzo, non più viste come un ripiego ma come un’alternativa interessante e una scelta intelligente.

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Di seconda mano è meglio

Nell’abbigliamento, invece, è il momento del second hand. Da fenomeno di nicchia qual era pochi anni fa, è diventato una tendenza mainstream, tanto che oggi, solo nel nostro Paese, vale 26 miliardi (Osservatorio Second Hand Economy Bva Doxa per Subito). Al boom del second hand hanno concorso vari fattori. Sicuramente ha pesato il vantaggio economico: chi acquista risparmia, chi vende riesce a ottenere, in maniera semplice, un’entrata extra. Ma c’è anche la necessità di liberare spazio in casa e/o nell’armadio e il desiderio di riciclare gli oggetti usati, riducendo quanto più possibile gli sprechi. L’online ha poi giocato un ruolo fondamentale. Lo sviluppo di piattaforme dedicate – generaliste, come nel caso di eBay, o specializzate, come Vinted o Vestiaire Collective – ha facilitato e diffuso il ricorso alla compravendita dell’usato. I dati lo indicano chiaramente: dal 2014 a oggi il volume d’affari generato dall’online è cresciuto del 140%, passando da 5,4 miliardi di euro a 13 miliardi di euro, mentre l’offline è cresciuto “solo” del 44% (Osservatorio Second Hand Economy Bva Doxa per Subito). Il trend ha coinvolto anche le aziende – dai brand del lusso ai marchi dal prezzo accessibile – che hanno iniziato a gestire in maniera diretta il second hand. L’obiettivo è duplice: da un lato sottrarre quote di mercato alle piattaforme e dall’altro rinforzare il proprio posizionamento nell’area della sostenibilità. I clienti, da parte loro, hanno uno strumento in più per acquistare (o disfarsi) dell’usato.

Prolungamento ciclo di vita dei prodotti

Nella direzione del risparmio va anche l’attitudine a prolungare il ciclo di vita dei prodotti. Che si tratti di capi di abbigliamento o di tecnologia, poco cambia: il 47% degli italiani dichiara che ripara gli oggetti rotti anziché sostituirli e il 34% afferma che inizierà a farlo o lo farà con maggiore frequenza nei prossimi 12/18 mesi (fonte: rapporto Coop). Ovviamente non è solo un tema economico, ma anche una questione identitaria: riparare, invece di buttare e (ri)comperare, equivale a fare una dichiarazione su di sé, i propri valori, il proprio modo di essere e stare nel mondo. Fermo restando che siamo pur sempre nell’ambito delle dichiarazioni, sembra qui affermarsi una nuova visione in cui l’acquisto e il possesso di beni non sono più così aspirazionali e perdono – almeno in parte e per una parte degli italiani – quegli attributi di soddisfazione personale e di riconoscibilità sociale che hanno avuto per decenni.

Risparmio & underconsumption

Frugalità e underconsumption non significano, però, rinuncia tout court al piacere. Al contrario, i consumatori vanno alla ricerca di occasioni di (auto)gratificazione, di appagamento, di divertimento. E lo fanno a partire dal cibo, che da noi ha, ben più che in altri paesi, una valenza culturale. Non a caso l’alimentazione è l’unico comparto in cui tagliare la spesa è un’opzione solo per il 10% degli italiani (Rapporto Coop). Le modalità di gratificazione sono molteplici. C’è chi privilegia il Made in Italy (secondo l’ultima edizione dell’Osservatorio Gs1, i prodotti dop segnano +3,5% a valore e +2,1% a volume), chi va alla ricerca di nuovi abbinamenti di sapore e di texture, chi privilegia la classica dieta mediterranea (secondo il rapporto Coop, un italiano su 3) e chi alterna la cucina tradizionale con quella tipica di altre zone del mondo (dal Giappone al Middle East). L’investimento nel food è evidente anche dall’andamento positivo delle vendite dei piccoli elettrodomestici per la cucina. Si va dalle friggitrici, le cui vendite a volume hanno registrato +19,6%, grazie al successo delle varianti ad aria, ai bollitori (+17,5%), dagli estrattori (+ 6,7%) ai robot da cucina (+3,4%).

Esplorazione & gratificazione

Attenzione, però: per gli italiani l’alimentazione non è solo piacere, è anche benessere e salute. Si spiega così il rinnovato successo del biologico, dopo anni di appannamento. Di fatto, sono 24,8 milioni le famiglie già acquirenti, con una penetrazione del 96,6% e 9,6 milioni coloro che nei prossimi mesi ne incrementeranno l’acquisto. Risponde allo stesso bisogno di benessere il boom dei prodotti free from, che nel loro complesso hanno messo a segno una crescita annua del fatturato pari al 3% (Osservatorio Gs1) e di quelli rich in (+3,4%). Senza dimenticare il progressivo calo della carne, il cui consumo è stato ridotto, o eliminato del tutto, dal 22% degli italiani.

Benessere & cura

L’altro ambito in cui gli italiani non badano a spese (o, almeno, prestano meno attenzione allo scontrino) è quello della cura di sé. Nel 2024 i consumi di cosmetici sono aumentati del 7% rispetto all’anno precedente e le stime per il 2025 superano il 6% (Cosmetica Italia). L’orientamento positivo riguarda la maggior parte delle categorie: dalle creme per il viso, dove dominano i trattamenti anti-age, alle referenze per l’igiene personale (deodoranti, bagno e docciaschiuma ecc.). Non si rinuncia neppure ai trattamenti e alle cure estetiche che – secondo quanto riportato dal rapporto Coop su dati Compass – canalizzano una spesa pro capite annua pari a 350 euro. Alla cura di sé e al culto del corpo è collegata anche l’attenzione – che talora si trasforma in ossessione – al proprio peso. Sono quasi 17 milioni coloro che hanno seguito una dieta negli ultimi 12 mesi e oltre 8 quelli che assumono o sono interessati a ricorrere a farmaci per il diabete per dimagrire. Quali sono i fattori che impattano su questo trend? Da un lato c’è una maggiore sensibilità verso il benessere inteso in senso olistico, come prendersi cura di sé e stare bene con sé stessi, dall’altro c’è un tema di immagine sociale e social, che si traduce in pressione ad apparire/mostrarsi belli o, per meglio dire, aderenti ai canoni dominanti di bellezza. A questo si aggiunge il cosiddetto effetto lipstick, per cui – in una situazione di complessiva crisi economica e taglio dello scontrino – i consumatori tendono a concedersi dei piccoli lussi, che li gratificano e li fanno sentire meglio.

Cani & gatti

Gli italiani non spendono solo per il proprio benessere, ma anche per quello dei propri animali domestici. Si tratta di 65 milioni di pet, di cui 20 milioni di cani e gatti, che generano, solo per il cibo, un giro d’affari pari a 3 miliardi di euro (Rapporto Assalco-Zoomark). Di fatto, negli ultimi anni, il mercato del pet food ha ottenuto un costante aumento del fatturato. Un trend che si lega non solo alla crescente adozione di animali da compagnia, ma anche al processo di “umanizzazione”. I proprietari considerano cani e gatti come membri a tutti gli effetti della famiglia e per loro acquistano prodotti di qualità superiore, personalizzati in base alle specifiche esigenze derivanti dalla taglia, dalla razza, dall’età e così via. Un’ulteriore conferma dell’umanizzazione dei pet arriva dall’approccio al retail: il 92% dei consumatori sceglie lo store nel quale comperare il pet-food in base alla preparazione e all’empatia del personale (Bva Doxa Forum Retail). La pet-economy – come è stata ribattezzata – comprende anche accessori (dalla lettiera per i gatti ai guinzagli per i cani), dispositivi tecnologici (come i sistemi di monitoraggio che consentono di vedere a distanza cosa fanno gli animali in assenza dei padroni) e capi di abbigliamento. E poi i servizi sanitari, a cui molti ricorrono in ottica preventiva: quasi una persona su due che vive con un cane o un gatto ha l’abitudine di sottoporlo a un controllo periodico per monitorarne lo stato di salute (Ipsos per Ca’ Zampa).

Esperienza & entertainment

Anche quando si parla di esperienze, il prezzo non è necessariamente prioritario. Può essere un weekend lungo, una serata al ristorante o il brunch domenicale con gli amici: l’importante è vivere un’esperienza particolare, diversa, da ricordare (e, possibilmente, da condividere sui social). Ecco, allora, che un consumatore su due si dedica al rito dell’aperitivo fuori casa almeno una volta alla settimana (Cga by Niq) e il 57% afferma di visitare i musei e le mostre un paio di volte all’anno (YouGov). Non solo: il 93% degli italiani ha fatto almeno una vacanza durante l’ultima estate (Centro Studi Tci) e il 30% nel periodo di Natale  e Capodanno (Fiesa Confesercenti). Il trend non sembra destinato a esaurirsi. In base ai risultati di un’indagine realizzata da YouGov, oltre il 50% degli italiani – versus una media europea del 44% – prevede di aumentare, nel corso del 2025, il budget destinato a viaggi e tempo libero. Lo switch – messo in atto da ampie fasce di consumatori – dal prodotto all’esperienza ha spinto molte aziende di moda a investire sul settore dell’hospitality, aprendo hotel, ristoranti, bar e stabilimenti balneari brandizzati. Il fenomeno riguarda sia le griffe del lusso – come Dior, Fendi e Vuitton – sia i marchi di fascia media, quali Paul & Shark e Michael Kors. È, questo, un modo non solo per coinvolgere i clienti, “immergerli” nell’atmosfera del brand, ma anche per allargare il target e intercettare nuovi segmenti.

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