Donald Trump apre un nuovo fronte nella guerra commerciale con cui punta ad abbattere il disavanzo americano col resto del mondo e annuncia tariffe del 25% su tutte le importazioni di alluminio e acciaio negli Stati Uniti. Il presidente ha anche affermato che annuncerà “dazi reciproci” – ovvero tariffe sui prodotti provenienti da paesi che a loro volta riscuotono imposte di importazione sulle merci statunitensi. Il tycoon lo ha detto parlando ai giornalisti mentre si trovava a bordo dell’Air Force One in volo per la Florida, dove ha assistito alla finale del Super Bowl a New Orleans. Secondo i dati del governo statunitense, la misura colpirà in primis il Canada, principale fornitore di acciaio e alluminio degli Stati Uniti, seguito da Messico e Cina. Ancora una volta, quindi, la scure tariffaria di Trump minaccia di abbattersi sugli alleati americani, Canada e Messico in primis, già sfidati con tariffe del 25% su tutti i beni importati negli Usa. In quel caso la misura, annunciata all’indomani del suo arrivo alla Casa Bianca, era stata subito rinviata di un mese, dopo che entrambi i paesi si erano impegnati a fare di più contro il traffico di fentanyl e l’ingresso di migranti irregolari attraverso il confine statunitense. Stavolta non è detto. E tutti, alleati e non, attendono dettagli. Almeno per ora l’Unione Europea non ha ricevuto “alcuna notifica ufficiale” fanno sapere da Bruxelles. Di conseguenza, “non risponderemo ad annunci di carattere generale privi di dettagli o chiarimenti scritti”, sottolinea una nota in cui la Commissione Europea aggiunge che interverrà per proteggere “gli interessi delle aziende europee in caso di misure ingiustificate”.
Pechino reagisce, ma non troppo?
A conti fatti, dunque, dall’inizio della sua presidenza gli unici dazi imposti da Trump ed effettivamente entrati in vigore sono quelli del 10% sulle merci cinesi. Alla base, secondo quanto denunciato da Trump, il fatto che il gigante asiatico non faccia abbastanza per contrastare il traffico di fentanyl e dei suoi precursori negli Stati Uniti, all’origine di un’epidemia sanitaria che negli Usa causa circa 100mila morti all’anno. Un colloquio con il presidente Xi Jinping previsto a metà della scorsa settimana è saltato e Pechino ha imposto a sua volta tariffe dal 10 al 15% su carbone e gas naturale liquefatto (Gnl), petrolio, attrezzature agricole e alcuni veicoli di grossa cilindrata made in Usa. Ai dazi cinesi – entrati in vigore oggi – si aggiunge una stretta generale sui controlli all’export di tungsteno, tellurio e altri prodotti in metalli rari che potrebbero essere utilizzati per beni ad alta tecnologia come le batterie al litio. Inoltre, l’antitrust di Pechino ha avviato un’indagine su Google, sospettata di aver violato le leggi anti-monopolio cinesi. Una risposta che può sembrare dura, ma che in realtà ha più una portata simbolica che effettiva, poiché colpisce circa 14 miliardi di merci americane rispetto ai 450 miliardi di export cinese colpito da Trump. Pechino ha anche presentato un reclamo all’Organizzazione mondiale per il commercio (Omc).
Dazio per dazio?
Secondo il New York Times, le tariffe su alluminio e a acciaio puntano a colpire soprattutto la Cina. I suoi stabilimenti, infatti, producono più quantità di entrambi i metalli di quanto non faccia il resto del mondo messo insieme. La maggior parte, finora, era stata utilizzata all’interno del paese per costruire i prodotti più disparati, dai grattacieli alle navi, e dalle lavatrici alle automobili. Ultimamente, tuttavia, le esportazioni di acciaio e alluminio dalla Cina sono in aumento perché la sua economia è in difficoltà, e questo ha indebolito la domanda interna. Molte di queste esportazioni a basso costo sono arrivate in Canada e Messico, che a loro volta esportano quote significative della loro produzione negli Stati Uniti. Altre sono andate a paesi in via di sviluppo come il Vietnam, che ora acquista enormi quantità di acciaio semilavorato dalla Cina, lo rifinisce e poi lo riesporta come acciaio vietnamita ad acquirenti in tutto il mondo. Le crescenti esportazioni della Cina hanno irritato produttori e sindacati statunitensi e i prezzi in calo hanno danneggiato l’industria siderurgica americana, un bacino elettorale potente in regioni politicamente cruciali. Come la Pennsylvania, a Pittsburgh, dove ha sede la United Steelworkers of America, che si è dimostrata centrale nelle recenti elezioni presidenziali.
Verso un’escalation tariffaria?
Nel corso degli anni, fa notare il Guardian, Trump ha cambiato idea praticamente su tutto. Ma è rimasto straordinariamente coerente sui dazi, un elemento centrale della sua agenda sia interna che estera. E nonostante la sua ‘diplomazia delle tariffe’ sia stata stroncata dagli economisti, che mettono in guardia dal pericolo che le imposte sui beni e le materie prime in entrata aumentino l’inflazione e danneggino gli agricoltori e le famiglie della classe media, i democratici sono stati riluttanti ad annullarle. L’amministrazione Biden non solo ha mantenuto, ma ha ampliato i dazi contro Pechino, che ora prendono di mira veicoli elettrici, chip al silicio e batterie al litio mentre le politiche di contenimento anti-cinese sono un raro punto di consenso bipartisan della politica americana. Il braccio di ferro che Trump ha ingaggiato però dovrà fare i conti con le conseguenze di un’escalation tariffaria sull’economia americana e sui suoi consumatori. Il ministero degli Esteri cinese lo ha fatto sommessamente notare nel suo briefing quotidiano di oggi. “Vorrei sottolineare che il protezionismo non porta da nessuna parte – ha affermato Guo Jiakun, portavoce del ministero – Le guerre commerciali e tariffarie non hanno vincitori”.
Il commento
Di Filippo Fasulo, Co-Head Osservatorio Geoeconomia ISPI
“Se Messico, Canada e Colombia avevano immediatamente trovato un compromesso per rinviare o sospendere l’imposizione dei dazi, Pechino ha scelto la via della cauta fermezza. La Cina, infatti, ha sì presentato una ritorsione su alcuni settori specifici, ma con un valore decisamente inferiore a quanto deciso da Trump – $14 miliardi contro $450. Le ragioni della cautela di Xi sono probabilmente due: la Cina ha più da perdere degli Usa in una guerra commerciale e Pechino punta a un accordo pur mostrandosi pronta a rispondere. Una terza via è che le risposte cinesi non passeranno attraverso dazi, ma con il controllo delle esportazioni e altre misure “sartoriali””.
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