L’ampia tutela che il legislatore offre ai dipendenti che segnalano illegittimità non è, per la giurisprudenza della Corte di Cassazione, illimitata: essa non può essere prevista né nel caso in cui tale iniziativa sia assunta per motivi personale né a quelle che sono assunte per ragioni personali o svolte in modo abusivo.
Siamo in presenza di importanti indicazioni che delimitano l’ambito di applicazione di questo istituto.
LA MANCANZA DI TUTELA PER LE INIZIATIVE ASSUNTE PER SCOPI PERSONALI
Le disposizioni che tutelano il whistleblower non si applicano se le relative iniziative sono assunte per scopi personali. Lo dice la sentenza della sezione lavoro della Corte di Cassazione n. 1880/2024.
L’istituto del whistleblowing “risponde ad una duplice ratio, consistente da un lato nel delineare un particolare status giuslavoristico in favore del soggetto che segnala illeciti e, dall’altro, nel favorire l’emersione, dall’interno delle organizzazioni pubbliche, di fatti illeciti, promuovendo forme più incisive di contrasto alla corruzione.
Il dipendente virtuoso non può essere sanzionato, licenziato o sottoposto a misure discriminatorie, dirette o indirette, aventi effetti sulle condizioni di lavoro, per motivi collegati alla segnalazione effettuata, che deve avere ad oggetto una condotta illecita, non necessariamente penalmente rilevante.
L’istituto del cd. whistleblowing non è utilizzabile per scopi essenzialmente di carattere personale o per contestazioni o rivendicazioni inerenti al rapporto di lavoro nei confronti di superiori. Questo tipo di conflitti infatti sono disciplinati da altre normative e da altre procedure”.
Ed ancora, “non si è in presenza di una segnalazione ex art. 54-bis, D.Lgs. 165 del 2001, scriminante, allorquando il segnalante agisca per scopi essenzialmente di carattere personale o per contestazioni o rivendicazioni inerenti al rapporto di lavoro nei confronti di superiori”.
La sentenza ricorda che in questa direzione va anche giurisprudenza amministrativa: “l’istituto del whistleblowing non è utilizzabile per scopi essenzialmente di carattere personale o per contestazioni o rivendicazioni inerenti al rapporto di lavoro nei confronti di superiori. Questo tipo di conflitti infatti sono disciplinati da altre norme e da altre procedure. Le circolari emanate in materia hanno, inoltre, chiarito che le segnalazioni non possono riguardare lamentele di carattere personale del segnalante o richieste che attengono alla disciplina del rapporto di lavoro o ai rapporti con superiori gerarchici o colleghi, disciplinate da altre procedure”.
IL LICENZIAMENTO PER LE INIZIATIVE RIPETUTE ED ILLEGITTIME
La tutela dei dipendenti che segnalano illegittimità non può estendersi alle attività che sono svolte in modo abusivo, che si estendano oltre l’ambito della difesa personale e/o quando i fatti risultano non dimostrati. Lo dice la sentenza della sezione lavoro della Corte di Cassazione n. 17715/2024.
In primo luogo, “in tema di pubblico impiego privatizzato, la segnalazione ex art. 54-bis del d.lgs. n. 165 del 2001 sottrae alla reazione disciplinare del soggetto datore tutte quelle condotte e, per quanto rilevanti perfino sotto il profilo penale, siano funzionalmente correlate alla denunzia dell’illecito, risultando riconducibili alla causa di esonero da responsabilità disciplinare di cui alla norma invocata, è altrettanto vero che, nella fattispecie è stato escluso ogni collegamento funzionale con la segnalazione su modello di denuncia whistleblowers e comunque, con la successiva pubblicazione su Facebook, è stata integrata una modalità di denuncia eccedente quelle previste dall’art. 54- bis, d.lgs. n. 165/2001 applicabile ratione temporis”.
Ci viene detto inoltre che “la scriminate di cui all’art. 54-bis può essere estesa fino a ricomprendere l’ipotesi del lavoratore che effettui di propria iniziativa indagini e violi la legge per raccogliere prove di illeciti nell’ambiente di lavoro, operando la stessa solo nei confronti di chi segnala notizie di un’attività illecita senza che sia ipotizzabile una tacita autorizzazione a improprie e illecite azioni di indagine. L’istituto qui in esame, che presenta analogie con altre figure di ambito internazionale (da cui deriva anche il termine whistleblowing), si conforma strutturalmente all’art. 361 cod. pen. ma se ne distingue in riferimento ai presupposti ed all’ambito di operatività, nella doppia declinazione della tutela del rapporto di lavoro e del potenziamento delle misure di prevenzione e contrasto della corruzione. La segnalazione in esame risponde, difatti, ad una duplice ratio, consistente da un lato nel delineare un particolare status giuslavoristico in favore del soggetto che segnala illeciti e, dall’altro, nel favorire l’emersione, dall’interno delle organizzazioni pubbliche, di fatti illeciti, promuovendo forme più incisive di contrasto alla corruzione”.
Ed inoltre, “In riferimento all’oggetto, la formula riferita al contesto di acquisizione della notizia (di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro) esprime che il fatto oggetto di segnalazione possa riguardare – a fini di tutela del dipendente – solo informazioni acquisite nell’ambiente lavorativo. Alle condizioni date, i commi 2 e 4 dell’art. 54 bis prevedono un articolato sistema di protezione dell’anonimato del segnalante, in una prospettiva palesemente incentivante, escludendo la materia dalla normativa in tema di accesso civico e dall’ambito di applicazione della legge n. 241/1990 e limitando la rivelazione dell’identità ai soli casi di indispensabilità per la difesa dell’incolpato. Emerge, all’evidenza, come la normativa citata si limiti a scongiurare conseguenze sfavorevoli, limitatamente a rapporto di impiego, per il segnalante che acquisisca, nel contesto lavorativo, notizia di un’attività illecita, mentre non fonda alcun obbligo di attiva acquisizione di informazioni, autorizzando improprie attività investigative, in violazione dei limiti posti dalla legge (cfr. Cass. Pen., sez. V, 21 maggio 2018, n. 35792)”.
“La normativa di tutela del dipendente che segnali illeciti altrui (c.d. whistleblowing) salvaguarda il medesimo dalle sanzioni che potrebbero conseguire a suo carico secondo le norme disciplinari o da reazioni ritorsive dirette ed indirette conseguenti alla sua denuncia, ma non istituisce un esimente per gli autonomi illeciti che egli, da solo o in concorso con altri responsabili, abbia commesso, potendosi al più valutare il ravvedimento operoso o la collaborazione al fine di consentire gli opportuni accertamenti nel contesto dell’apprezzamento, sotto il profilo soggettivo, della proporzionalità della sanzione da irrogarsi nei confronti del medesimo”.
Leggiamo infine che “l’istituto del whistleblowing non è utilizzabile per scopi essenzialmente di carattere personale o per contestazioni o rivendicazioni inerenti al rapporto di lavoro nei confronti di superiori. Questo tipo di conflitti infatti sono disciplinati da altre norme e da altre procedure. Le circolari emanate in materia hanno, inoltre, chiarito che le segnalazioni non possono riguardare lamentele di carattere personale del segnalante o richieste che attengono alla disciplina del rapporto di lavoro o ai rapporti con superiori gerarchici o colleghi, disciplinate da altre procedure“. Tanto più che “che quella oggetto di contestazione non era una condotta isolata essendo risultata la ricorrente particolarmente dedita all’attività di registrazione di conversazioni con i colleghi senza il loro consenso e ad effettuare pubblicazioni sul social Facebook con connotazioni offensive o lesive dell’onorabilità di professionalità”.
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