Annibale Pancrazio, Ceo di un’azienda storica di Cava dei Tirreni, 95 candeline spente quest’anno: esportate nel mondo, con marchi vostri e non, legumi e pomodoro, anche bio, prodotti in loco. Questo il suo messaggio.
Perché i dazi Usa non vi spaventano?
«Perché abbiamo diversificato in tempo la nostra produzione, facendo scelte importanti e decisive molto prima di tanti concorrenti. Oggi siamo una piccola azienda di pomodoro, una media azienda di legumi e una grande azienda biologica di legumi e pomodori. Per noi il biologico, sul quale abbiano puntato 30 anni fa, è il core business dell’attività, il 65% del fatturato totale rispetto ad una media nazionale di settore tra il 7% e il 10%. Tranne che in un caso, in Italia tutti i marchi comprano i legumi da noi».
Già, ma i possibili dazi americani?
«La diversificazione l’abbiamo applicata anche nell’export. Non ci siamo mai affidati a un unico grande importatore all’estero ma a tanti di piccole e medie dimensioni. Oggi che il nostro export vale circa il 90% del fatturato nessuno dei 50 Paesi in cui siamo presenti ha un peso decisamente superiore agli altri per cui il nostro cliente negli Stati Uniti, decisamente un ottimo cliente, ha un peso solo del 6-7% sul fatturato export complessivo».
Sta dicendo che la diversificazione, scelta per tempo, vi ha già messo al riparo dalle conseguenze della possibile strategia di Trump?
«È chiaro che ci dispiacerebbe moltissimo se arrivassero i dazi ma di sicuro non ci metteranno in crisi. Il nostro primo mercato è il Regno Unito seguito da Australia e Nuova Zelanda, Corea del Sud, Giappone e Sud Africa. La diversificazione interessa tutti i continenti e tutti i mercati e alla base c’è una garanzia assoluta rappresentata dal fatto che ci siamo dotati di tutte e 15 le possibili certificazioni di qualità esistenti. Sono le prime cose che ci chiedono le grandi catene internazionali di supermercati e i marchi leader della distribuzione mondiale. È così che il nostro livello di internazionalizzazione è cresciuto: oggi, come detto, siamo al 90% sul fatturato e quasi la metà è costituita da prodotti in vendita all’estero con i nostri marchi».
Restiamo agli Stati Uniti: nella stragrande maggioranza delle aziende esportatrici, è un mercato fondamentale, pressoché inevitabile considerate la sua importanza economica e la sua estensione. Come mai la vostra quota non è altissima?
«Perché negli Stati Uniti non c’è ancora una grande sensibilità al biologico, a differenza dei prodotti convenzionali. In America vendiamo esclusivamente i pomodori pelati della tradizione italiana e dopo 95 anni possiamo ben dire di saperli fare».
Il biologico Made in Cava dei Tirreni è stata una scelta vincente in ogni caso…
«Certo. Oggi la linea di prodotti biologici rappresenta il 70% della produzione complessiva dell’azienda e i dati più aggiornati, quelli dello scorso anno, confortano ancora di più la bontà di quella decisione. Siamo cresciuti del 10% in valore assoluto e del 25% in volumi, percentuali che ovviamente comprendono anche la linea convenzionale di legumi e pomodori».
Flessibilità e diversificazione, le piccole industrie come la vostra hanno più margini di manovra sotto questi profili?
«Io credo che è solo la qualità di ciò che si produce e si esporta all’estero a fare la differenza. Per noi è sempre stata la stella polare, insieme con il servizio offerto. È vero, noi siamo una piccola realtà rispetto a tanti colossi, ad esempio del settore delle conserve di pomodoro. Ma intanto la nostra forza lavoro è arrivata a 45 dipendenti fissi e 120 stagionali e, come le dicevo, siamo costantemente in crescita».
Siete ormai ambasciatori del Made in Italy nel mondo nel vostro settore con la gamma alta di prodotti che esportate: legumi e pomodori di Cava dei Tirreni dove arrivano?
«In 50 Paesi di tutto il mondo. Non ci siamo mai fidati di un solo mercato, come le dicevo, pensando che fosse molto più conveniente per i nostri target essere presenti con quote più piccole ma in più realtà territoriali possibili. E senza rinunciare ai nostri marchi: oggi i nostri 5 marchi tra legumi e pomodori sono presenti a Hong Kong, in Corea del Sud, in Giappone, in Australia».
L’export sta portando in alto il Mezzogiorno: c’è questa consapevolezza anche nel vostro comparto?
«Il futuro del Made in Italy si giocherà all’estero. Noi avremo sempre l’Italia nel cuore ma per le aziende, e penso soprattutto a quelle più strutturate, la sfida della competitività si svolgerà necessariamente oltre confine. Per questo bisogna sapersi muovere sui mercati, per questo occorre riuscire a diversificare senza perdere in marginalità».
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