Come il postino del romanzo di James Cain, anche il regime iraniano bussa due volte. E lo ha fatto – ieri – in modo evidente e a suo modo spettacolare, per tentare di rinfrescare un’immagine di potenza e centralità geopolitica che però non corrisponde più alla realtà.
La verità è che il regime è fragile, ed è a un livello di debolezza mai sperimentato dal 1979 fino a oggi: contestato all’interno dai suoi cittadini, e martellato da fuori dalla strategia israeliana, che ha quasi amputato l’uno e l’altro braccio, o se vogliamo l’una e l’altra protesi del terrore usate da Teheran in questi anni, e cioè Hamas e Hezbollah.E allora cosa ha fatto ieri il capo della teocrazia islamista? Per un verso la guida suprema Ali Khamenei ha incontrato a Teheran una delegazione di tre residui alti papaveri di Hamas (il momentaneo leader Khalil al-Hayya, accompagnato da Mohammed Darwish, capo del consiglio direttivo, e da un altro peso massimo del gruppo terroristico, Nizar Awadallah). Il regime ha pubblicato alcune foto dell’incontro e una scarna nota è stata diffusa dall’agenzia ufficiale Irna: «Questa mattina il capo e i membri del Consiglio direttivo della resistenza palestinese, Hamas, hanno incontrato l’ayatollah Khamenei, leader della Rivoluzione islamica». Il messaggio è chiaro: il capo (cioè il dittatore iraniano) convoca a Teheran i suoi amici e aiuto-sicari. Il mondo deve sapere che la catena di comando è sempre la stessa ed è tornata attiva.
Ma, per altro verso, Teheran ha dato anche un altro segnale. Attraverso un esponente del ministero degli Esteri, l’Iran ha attaccato la Casa Bianca e le sanzioni trumpiane contro la Corte penale internazionale che – dice il diplomatico islamista – garantiscono «la totale impunità a Israele». E ancora, aggiungendo altra benzina sul fuoco: «Sanzionare la Cpi per aver indagato sui crimini efferati di Israele è un ulteriore passo della complicità e collusione con un regime di apartheid occupante. È un abuso di potere eclatante. Garantisce al regime israeliano la massima impunità, minacciando pace e sicurezza internazionale». In un colpo solo, il regime determina almeno tre effetti con questa doppia mossa arrogante quanto controproducente.
Primo: uccide sul nascere ogni possibilità di rilanciare – allo stato attualela soluzione “due popoli, due Stati” in Medio Oriente. Se infatti una delle due entità statuali, quella palestinese, rimane sotto il saldo controllo di un gruppo terroristico islamista determinato a distruggere Israele (come da statuto di Hamas), è evidente che una convivenza pacifica tra i due stati confinanti diventa impossibile. Per paradosso, si tratta di una conferma indiretta delle ragioni di Netanyahu (che insiste per chiudere sul campo la partita con Hamas, distruggendo il gruppo terroristico) e anche della recente provocazione di Trump sul futuro di Gaza (che palesemente serviva a mostrare l’inconsistenza delle “soluzioni” pacifiche da altri verbalmente quanto inutilmente incoraggiate in questi anni).
Secondo: questo plateale endorsement iraniano a favore della Cpi, con una esplicita motivazione anti-israeliana, ottiene il risultato (non voluto e indiretto, ma assolutamente certo) di sporcare e imbarazzare il fronte che, nelle quarantott’ore precedenti, a partire dal solito gruppo eurolirico, si era sbracciato a favore della Corte Penale Internazionale e contro Trump. Quella comitiva (da cui il governo italiano si è opportunamente tenuto alla larga) amava e ama descriversi come la portatrice delle ragioni del diritto internazionale e dei diritti umani. Ah sì? Sarà un po’ difficile farlo credibilmente stando sottobraccio ai macellai di Teheran, che, oltre a perseguitare il loro stesso popolo, sono esclusivamente interessati a usare la Corte come clava anti-Israele, equiparando il governo legittimo di un paese democratico a un gruppo terrorista.
Terzo: il fatto che tutti oggi abbiano rivisto la testa del serpente iraniano nella sua pericolosità rafforzerà la convinzione trumpiana di procedere sulla strada di un irrobustimento degli accordi di Abramo, e quindi di una doppia partnership con Gerusalemme e con Riad, con l’obiettivo di isolare definitivamente Teheran. In uno scenario del genere, appare difficile pensare che Trump e Netanyahu possano consentire agli iraniani di procedere con il loro programma atomico.
Insomma, il nodo è destinato a essere sciolto. E il regime islamista degli ayatollah, nonostante il doppio colpo che ha cercato di battere ieri, non è mai stato così debole e a rischio.
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