Un colpo di stato che ci arruola tutti come complici

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Siamo complici. Anche quando critichiamo e denunciamo, siamo complici. Dal 20 gennaio in poi, l’intero ecosistema mondiale della comunicazione è stato arruolato da Trump e Musk nella loro strategia. Sì, perché il colpo di stato che sta avvenendo sotto i nostri occhi a Washington procede con questa tecnica: sorprendere gli avversari, travolgerli con azioni impreviste, molte delle quali incostituzionali, o palesemente illegali.

Oggi si chiama pudicamente Shock and Awe ma è nient’altro che il buon vecchio Blitzkrieg, la guerra lampo che nel maggio 1940 travolse la Francia in poche settimane. Del resto non era stato Trump, durante il suo primo mandato, a dire «Ho bisogno del tipo di generali che aveva Hitler»?

Per l’attuazione di questo piano è fondamentale il dominio del “ciclo di notizia”, ovvero della narrazione della giornata, di cui Trump si è fatto una specialità. Un tempo, nell’era dei quotidiani, il ciclo durava 24 ore, poi si era abbreviato con l’arrivo dei telegiornali della sera, oggi non ha più confini temporali precisi: ad ogni ora del giorno o della notte lui o Musk eruttano minacce, promesse, azioni già in corso o progetti planetari.

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La strategia era già entrata in azione prima dell’insediamento: era nei primi giorni di gennaio, per esempio, che Trump minacciava la Danimarca per ottenere, con le buone o con le cattive, la Groenlandia. Il Washington Post riferiva della cosa nel registro della curiosità: “In Greenland, a cold shoulder for Trump, but curiosity about U.S. ties”. Dopo poche ore nell’Ufficio ovale annunciava la volontà di invadere Panama per riprendere il controllo del Canale: “In the early going, Trump 2.0 approach on foreign policy is to talk loudly and carry a big stick” (un titolo che conteneva in sé una citazione di Theodore Roosevelt: “Talk softly but carry a big stick”). E, il giorno dopo, minacciava di imporre dazi punitivi alla Colombia dopo che il presidente Gustavo Petro si era rifiutato di far atterrare nel paese un aereo militare statunitense che stava rimpatriando i migranti deportati laggiù.

Anche un giornale come il New York Times, che tende a enfatizzare le implicazioni geopolitiche e gli interessi personali dietro le decisioni di Trump, ha dovuto forzatamente dare conto delle sue bizzarrie, per esempio: “Trump Dreams of a New American Empire” per fare riferimento alle ambizioni espansionistiche del 47° presidente, che apparentemente includono l’annessione del Canada e la presa di controllo di Gaza per farne una stazione balneare. Lunedì 3 febbraio il quotidiano analizzava l’uso aggressivo della minaccia di imporre dazi o sanzioni come strumento politico, mettendo a rischio miliardi di dollari di commercio internazionale e sollevando dubbi sugli effetti a lungo termine delle sue azioni (“Trump Wields U.S. Power With Unclear Economic Consequences”).

Lo scopo di tutto questo è impedire all’opposizione di capire cosa sta realmente succedendo, di terrorizzare gli avversari, intimidire gli incerti, cooptare i pavidi. Lo abbiamo visto con l’abietta sottomissione dei miliardari Mark Zuckerberg (Apple), Jeff Bezos (Amazon) e Tim Cook (Apple) prima ancora del 20 gennaio. Come Mussolini e Hitler, Trump è arrivato al potere per vie legali: ha vinto le elezioni del novembre scorso. Sono però bastate tre settimane perché diventasse chiaro che si accinge a distruggere la democrazia costituzionale con mezzi apparentemente costituzionali.

Con l’aiuto di Elon Musk sta sistematicamente disattivando e smantellando le strutture e i processi democratici degli Stati Uniti con decreti esecutivi privi di base legale, licenziamenti di massa, chiusura di interi dipartimenti come l’agenzia per gli aiuti all’estero Usaid, definita «covo di vipere marxiste» dal padrone della Tesla, che nessuno ha eletto ma sembra avere più potere dello stesso Trump (è sulla copertina di Time questa settimana, assiso sul trono presidenziale).

In questa strategia del caos, il ruolo di stampa, televisione e social media è fondamentale. Il dilagare di “notizie” su tutte le piattaforme rende un incubo il lavoro dei giornalisti, che nel migliore dei casi non sanno a cosa dare la priorità, più spesso temono le conseguenze professionali o legali di cronache o commenti sgraditi ai nuovi padroni del mondo (quanto meno dal golfo del Messico al confine canadese, per ora). Senza l’enfasi su “crisi” inesistenti, come quelle con la Colombia o con il Canada la presa di controllo del Dipartimento del Tesoro, completamente illegale, avrebbe avuto ben altro spazio.

La conferma da parte del Senato di personaggi come Pete Hegseth al Dipartimento della Difesa e quella, che si attende in queste ore, di Kash Patel a direttore dell’Fbi, mostra la ferma intenzione di Trump di impadronirsi di tutte le leve del potere e di usarle senza alcuno scrupolo contro i suoi avversari: le reazioni di stampa e televisioni sono state deboli e incerte. Anche le critiche finiscono riassorbite dalla confusione dominante.

Nel 1933 Hitler, nominato cancelliere, impiegò meno di due mesi per creare il Terzo Reich: per la precisione 53 giorni. Novantadue anni dopo, Donald Trump potrebbe anche fare più in fretta: in fondo la cosa più veloce che esisteva allora in Germania erano gli aerei ad elica, oggi Musk ha la rete di satelliti Starlink.



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