Messaggio del Pontefice per l’inaugurazione dell’anno accademico dell’ateneo palermitano. Attraverso lo studio i giovani devono immergersi nella realtà, scrive Francesco, e tenere conto delle sue parti “rimosse o scartate”, perché è “più dai margini” che dai “centri di potere” che si comprendono “le grandi questioni del presente e del futuro”. L’intelligenza umana è “irriducibile ad algoritmi e a processi logici”, tende, nel profondo, alla “ricerca del bene”, al quale si giunge “solo insieme”
Tiziana Campisi – Città del Vaticano
In ogni università c’è “l’incontro e lo scambio fra generazioni; l’avanzamento della ricerca nei diversi ambiti disciplinari; la compresenza di sensibilità culturali, politiche e religiose diverse; l’intreccio fra realtà locale e internazionale; la crescita personale attraverso successi e insuccessi, talenti e fragilità”, insomma, un ateneo è “nella diversità, una grande comunità”, dove gli opposti si incontrano, cosa che “più manca alla convivenza contemporanea, ferita da una polarizzazione sempre più accentuata dei punti di vista”. Lo scrive Papa Francesco nel messaggio inviato all’arcivescovo di Palermo, monsignor Corrado Lorefice, e letto da don Carmelo Torcivia, direttore dell’Ufficio Diocesano per l’Università e la Cultura, in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università degli Studi del capoluogo siciliano – il 219.mo dalla fondazione -, che si è svolta questo pomeriggio, 8 gennaio, nell’aula magna del Dipartimento di Ingegneria del Campus Universitario. Agli studenti, a ricercatori e docenti il Pontefice affida una parola oggi “in controtendenza”, “un atteggiamento che ha distinto per secoli le culture del Mediterraneo: la lentezza”, per “comprendere”, “crescere” e “cambiare”.
C’è speranza dove la giustizia si fa spazio
“Includere”, “comprendere”, “accogliere, sospendere il giudizio, ospitare”: sono tutti tratti dell’universalità cui rinvia l’università, evidenzia il Pontefice, aggiungendo che “solo insieme si può custodire e interpretare la realtà” e “abitarla”, e per questo c’è tanto da fare. E se “le paure condizionano anche le persone più dotte e scatenano invidie, competizioni, spirito di rivalsa, rigidità”, serve “una salda onestà personale e istituzionale” affinché “l’unità prevalga sul conflitto, il bene comune su obiettivi personali e interessi privati”. “C’è speranza dove la giustizia si fa spazio – afferma il Papa – e i giovani possono diventarne protagonisti, specialmente attraverso uno studio che non li astrae, ma li immerge nella realtà”. Per Francesco “è importante il contatto con la realtà”, in special modo “con le sue parti rimosse o scartate”, come lo sono “persone che in università non entreranno mai” o “interi quartieri e componenti sociali divenuti invisibili”. Di tutto ciò spesso non “stimiamo l’esistenza e il punto di vista”, mentre è “più dai margini che dai centri di studio e di potere” che si comprendono “le grandi questioni del presente e del futuro”.
Livatino e Puglisi simboli di nuovi inizi
Ci vuole il “coraggio di mettersi a servizio della città, uscendo ciascuno dalle proprie aree di comfort personali e istituzionali”, perché “saperi e metodologie” si contaminino, perché possano esserci “nuove sintesi transdisciplinari” e per “attrarre cervelli”, rileva il Papa, facendo notare che se tutto questo accade “l’intelligenza si riaccende, lo studio e la vita si aprono reciprocamente, il nuovo si fa strada e la disperazione arretra”. Guardando al nuovo anno accademico dell’ateneo palermitano, Francesco indica “i martiri Rosario Livatino e don Pino Puglisi, insieme a un gran numero di testimoni che hanno illuminato” la Sicilia e il suo capoluogo “con la loro speranza”, come “simbolo dei nuovi inizi” ai quali “contribuire” ciascuno “coi propri talenti”.
L’importanza della lentezza
Ma di fronte al “fascino della tecnica” che “è intriso di velocità”, alle “intelligenze artificiali” che “ci seducono con la loro performatività”, il Pontefice raccomanda lentezza. Quella che ad esempio serve per leggere e non è “più concessa a chi studia e persino a chi insegna”, che occorre per comprendere ma stride con “l’esasperazione degli indicatori di risultato”. “Crescere, a sua volta, è un processo lento e mai un itinerario lineare”, continua Francesco, perché “gli insuccessi, come gli errori, sono fondamentali nella ricerca della verità”, e “anche cambiare ha bisogno di lentezza”, in diversi ambiti. Si tratta di “obiettivi” ai quali non ci può permettere “di rinunciare”, rimarca il Papa. “Su di essi si gioca l’intelligenza umana, irriducibile ad algoritmi e a processi logici”, conclude il Pontefice, ricordando che l’intelligenza umana, tende, nel profondo alla “ricerca del bene, e di esso nessuno ha il monopolio, né la misura”, perché vi si tende “passo dopo passo” e “solo insieme”.
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