Oggi il consiglio di amministrazione delle Generali si riunirà per valutare una delle operazioni di crescita più rilevanti che il gruppo assicurativo abbia intrapreso da tempo. Verrà infatti esaminata la proposta di unire le attività nella gestione del risparmio del Leone con quelle del gruppo francese Natixis. Se l’accordo otterrà il via libera del consiglio, dopo il parere favorevole del comitato investimenti che si è riunito ieri, verrà costituita una joint venture posseduta al 50 per cento da Generali Investment Holding e da Natixis, che avrà il compito di gestire masse per quasi duemila miliardi di euro, che derivano per 650 miliardi di euro dal gruppo triestino e per 1.300 miliardi di euro da Natixis.
Il valore di Generali
La parità nel controllo fra i due nuovi partner a fronte di masse gestite così sbilanciate dal lato francese è motivata dal fatto che la compagnia italiana porta nell’accordo un valore che Natixis non ha. La società di gestione francese è controllata da Bpce, il secondo gruppo bancario transalpino, il cui mestiere principale è, per l’appunto, prestare alle famiglie e alle imprese le risorse che raccoglie dalla clientela.
Generali, al contrario, ha il proprio business principale nelle assicurazioni e i premi che raccoglie li deve investire per avere le risorse necessarie a far fronte agli impegni assicurativi contratti con i clienti. Partendo dal punto di forza del valore che nel tempo Generali potrà conferire alla nuova joint venture, il numero uno Philippe Donnet ha potuto negoziare con i futuri partner un accordo che riconosce al gruppo triestino altri vantaggi tangibili, come il fatto che il primo chief executive officer della nuova entità sarà l’attuale numero uno di Generali Investment Holding, il manager americano Woody Bradford.
La Top ten degli asset manager
Erano anni che Donnet costruiva le basi per poter mettere a segno un’operazione di questa portata, con diverse acquisizioni in giro per il mondo. L’accordo con Natixis permetterà ora al gruppo di avvicinare i piani alti della classifica degli asset manager internazionali. La Top Ten è guidata dal colosso BlackRock, che ha 10,4 miliardi di dollari di attività, e vede due soli gruppi non americani in classifica, i francesi di Credit Agricole, settimi con 2,8 miliardi, e gli svizzeri di Ubs, noni con 2,6 miliardi.
Passare in un colpo solo da 650 miliardi di euro a quasi duemila miliardi sarà dunque un balzo che fino a qualche tempo era difficile anche solo da immaginare e che collocherà l’asse Generali-Natixis in una dimensione dove sarà possibile trattare altre operazioni di espansione, per crescere ancora e cercare di portare un altro gruppo europeo a livello dei giganti americani, incrinandone il monopolio.
Le critiche
A dispetto di queste considerazioni e del fatto che il consiglio di amministrazione non abbia ancora esaminato l’operazione nella sua interezza, negli ultimi giorni uno dei grandi azionisti di Generali, il costruttore ed editore romano Francesco Gaetano Caltagirone (ha il 6,9% del capitale), ha iniziato ad alzare il tiro contro l’accordo.
Una delle principali critiche che sono state fatte circolare è che l’alleanza con Natixis sarebbe “trasformativa” della natura del gruppo assicurativo, cambierebbe cioè il suo oggetto sociale e dovrebbe dunque essere deliberata non dal consiglio di amministrazione, bensì da un’assemblea straordinaria dei soci. Basta però leggere lo statuto sociale delle Generali per toccare con mano l’infondatezza di questa lettura dei fatti.
Dice l’articolo 4 al comma 1 che Generali «ha per oggetto l’esercizio di ogni specie di assicurazione, riassicurazione, capitalizzazione e ogni tipo di forma pensionistica complementare anche attraverso la costituzione di fondi aperti, in Italia e all’estero». Aggiunge il comma 2 che la società «può esplicare in genere qualsiasi attività e compiere ogni operazione che sia inerente, connessa o utile al conseguimento dello scopo sociale, anche mediante la partecipazione in società o enti italiani o stranieri». Sostenere che costituire una joint venture per gestire il risparmio – un’attività che contribuisce in una parte largamente minoritaria ai profitti del gruppo – possa dunque “trasformare” l’oggetto sociale di Generali, sembra dunque davvero impossibile da sostenere.
La battaglia per il vertice
In attesa che il consiglio di amministrazione del Leone approvi l’operazione, permettendo a tutti di valutarne in concreto i diversi aspetti, è dunque legittimo domandarsi i motivi di una critica che appare strumentale. Il dubbio è che dietro ci sia la volontà di riaprire in qualche modo la battaglia di tre anni fa per il vertice del gruppo triestino, che aveva visto Caltagirone e l’alleato Delfin – la finanziaria della famiglia Del Vecchio, che ha il 9,9% di Generali – sconfitti dal mercato nel tentativo di imporre i propri candidati. Da allora il Leone ha guadagnato più del 63 per cento in Borsa, facendo meglio dell’indice Ftse Mib, mentre la compagnia ha continuato nel processo di espansione internazionale senza rinunciare a distribuire ai soci ingenti dividendi.
Un biglietto da visita che permetterà a Donnet, se verrà ricandidato, di presentarsi con le migliori credenziali per essere rieletto dall’assemblea il prossimo 8 maggio, quando gli azionisti dovranno rinnovare il consiglio di amministrazione per il prossimo triennio. Quando le cose vanno bene, infatti, gli investitori sono soliti esprimersi per la continuità. Una scelta che lascerebbe Caltagirone e i suoi alleati ancora fuori dalla stanza dei bottoni. —
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link