Diplomazia pontificia, la persecuzione dei cristiani in Messico, le chiese minacciate in Ucraina

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Il rapporto dettaglia come la Federazione Russa sta cercando di sradicare la religione nei territori ucraini occupati, dando cifre, dati esempi.

Nel rapporto si legge che già tra il 2014 e il 2022, prima dell’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia, circa 100 edifici e altre strutture religiose sono state distrutte, confiscate o saccheggiate nelle regioni di Donetsk e Luhansk, e a volte anche riadattate per usi non religiosi dalle forze russe o da autorità controllate dalla Russia.

Si dice Russia perché la responsabilità russa, nota il rapporto, è stata evidenziata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nel 2023, con una sentenza che rendeva chiaro come la Russia, e non i separatisti, esercitasse il controllo effettivo sui territori delle autoproclamate Repubbliche Popolari di Donbass e Luhansk. La stessa corte ha riconosciuto nel 2024 le sistematiche violazioni dei diritti dei cittadini ucraini da parte delle autorità russe in Crimea, violando diversi diritti umani, tra cui il diritto alla vita e la proibizione di tortura o trattamento inumano e degradante, e il diritto alla libertà di religione, di espressione, di assemblea, nonché il divieto di discriminazione.

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Come già descritto nel rapporto del 2023 “Fede sotto il fuoco”, la Russia ha implementato politiche aggressive contro le chiese e le comunità religiose ucraine, “compiendo imprigionamenti illegali e incriminazioni basate su accuse false di estremismo, e persino omicidi”.

Il rapporto nota che la soppressione della libertà religiosa ha luogo “in città come in piccoli villaggi”, e colpisce chiese “di tutte le dominazioni cristiane”. C’è l’esempio del sacerdote Ihor Novosilsky della chiesa Ortodossa Ucraina, che è stato imprigionato illegalmente per 262 giorni, subendo anche torture, perché aveva rifiutato di rinunciare alla lingua ucraina e di sottomettersi al Patriarcato di Mosca, come gli avevano chiesto le autorità russe a Kherson.

Inoltre, la crescita degli attacchi aerei da parte della Russia “ha portato a una crescita del numero di siti religiosi distrutti o danneggiati,” che sono ora 650, con un picco di dieci chiese ed edifici religiosi danneggiati dall’aggressione russa nel periodo che va da agosto a settembre 2024.

Qualche esempio: il 28 aprile, nel villaggio di Oleksandrivka nella regione di Skadovsk della regione di Kherson, durante la Settimana Santa prima di Pasqua, la Chiesa ortodossa russa (ROC) non solo ha sequestrato una chiesa appartenente alla Chiesa Greco Cattolica Ucraina, ma ha anche commesso un sacrilegio “riconsacrandola”.

“Inoltre – si legge nel rapporto – la Chiesa ortodossa russa, in collaborazione con le autorità di occupazione, ha continuato a smantellare le parrocchie della Chiesa ortodossa ucraina in Crimea, che è sotto occupazione russa dal 2014. Entro il 2023, solo 11 delle 45 parrocchie originali della Chiesa Ortodossa Ucraina erano rimaste in Crimea. Tuttavia, nel corso del 2024, le autorità russe hanno privato la Chiesa Ortodossa Ucraina delle sue chiese rimanenti, lasciandola senza alcuna proprietà o utilizzo”.

Ma anche le chiese protestanti nel territorio controllato dalla Russia sono “diminuite drasticamente”.

Papa Francesco aveva criticato la nuova legge approvata dal Parlamento ucraino che di fatto metteva fuori legge le attività della Chiesa Ortodossa Russa in Ucraina. Dall’altro canto, nei territori occupati in Ucraina, si legge nel rapporto, si nota “una coercizione per la nuova registrazione delle comunità religiose ai sensi della legge russa.

Ai sensi della legge ucraina, le comunità religiose possono operare senza registrazione, godendo di ampi diritti per le attività religiose senza la necessità di uno status di entità giuridica. Anche i requisiti per la registrazione statale di nuove comunità religiose non sono gravosi e la legge consente la creazione di comunità religiose indipendenti senza affiliazione obbligatoria a una particolare organizzazione religiosa”.

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Tuttavia, “l’imposizione forzata della legge russa nei territori occupati dell’Ucraina ha portato a diffuse violazioni della libertà religiosa per i residenti locali. Le comunità religiose non registrate sono state dichiarate illegali, mentre quelle registrate sono state costrette a sottoporsi a una nuova registrazione ai sensi della legge russa sotto la minaccia di perdere il loro status legale e la loro proprietà”.

Il rapporto nota ancora che “dalla fine del 2023, le autorità di occupazione hanno aumentato la pressione sui leader di tutte le comunità religiose ucraine, chiedendo loro di unirsi alle associazioni religiose russe e di sottomettersi ai centri religiosi nella Federazione Russa

Altri dati: secondo il monitoraggio di fonti aperte e interviste personali condotte da Mission Eurasia, a dicembre 2024, almeno 47 leader religiosi ucraini sono stati uccisi a seguito dell’aggressione su vasta scala della Russia. Tra questi, 18 appartenevano alla Chiesa Ortodossa Ucraina legata al Patriarcato di Mosca, sette alla Chiesa Ortodossa Ucraina autocefala, 12 ai battisti, otto ai pentecostali e due agli avventisti.

                                                           FOCUS USA

Trump, un ordine esecutivo stabilisce un ufficio contro il pregiudizio anticristiano

Con un ordine esecutivo del 6 febbraio 2025, il presidente Donald Trump ha stabilito un ufficio destinato a “Sradicare il pregiudizio anti-cristiano”.

Nell’Ordine Esecutivo, Trump nota che la libertà religiosa è parte dell’identità culturale degli Stati Uniti, e che pure “la precedente amministrazione si è impegnata in un grande sforzo di prendere di mira cristiani pacifici e allo stesso tempo ignorando violente offese anti-cristiane”.

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Il Dipartimento di Giustizia di Biden, continua l’ordine, ha cercato di “sopprimere la fede in pubblico con accuse di crimini federali e ottenendo in numerosi casi sentenza pluriennali di carcere contro due dozzine di pacifici cristiani pro-life per aver pregato e fatto dimostrazioni fuori da strutture per l’aborto”.

Tra i condannati, nota Trump, c’è anche un sacerdote cattolico, una nonna di 75 anni, una donna di 87 anni e un padre di 11 figli che sono stati arrestati 18 mesi dopo aver pregato e cantato davanti ad una clinica abortista in Tennessee. L’arresto – nota l’ordine – era “parte di una campagna di incriminazione di motivazione politica dell’amministrazione Biden”, ma Trump “ha rettificato questa ingiustizia il 23 gennaio 2025”, con un perdono presidenziale.

Trump nota anche che l’amministrazione Biden ha “largamente ignorato” le chiese, agenzie caritative e centri pro-life cattolici che hanno subito “violenza, furto e incendio”, e solo dopo più di 100 attacchi, la Casa dei Rappresentanti USA ha approvato una risoluzione che condanna la violenza e chiede all’amministrazione Biden di applicare la legge”.

Trump ricorda anche che un memorandum del FBI stabiliva che i cattolici “radical-tradizionalisti” andavano considerati “minaccia di terrorismo intenso”, suggerendo di infiltrare le Chiese cattoliche con lo scopo di “mitigare la minaccia”. Il memorandum è stato poi ritirato.

L’Ordine esecutivo punta anche il dito contro il tentativo dell’amministrazione Biden di “rifiutare le protezioni della libertà religiosa per le organizzazioni religiose nei campus”, mentre “la Commissione per le Pari Opportunità Lavorative voluta da Biden ha cercato di forzare i cristiani ad affermare una ideologia transgender radicale contro la loro fede”, e il Dipartimento per la Salute e i Servizi Umani ha cercato di “portare i cristiani che non si conformano a certe credenze sull’orientamento sessuale e l’identità di genere fuori dal sistema di assistenza”.

Sono episodi che descrivono “un governo anti-cristiano”, durante il quale sono cresciute ostilità e vandalismo contro le chiese cristiane, tanto che gli atti vandalici contro le chiese e le istituzioni cattoliche nel 2024 sono state otto volte superiori che nel 2023.

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Trump afferma dunque che la sua amministrazione “non tollererà alcun uso strumentale anticristiano o condotte illegali”, e si assicurare “che ogni condotta illegale e in propria, e ogni pratica che prenda di mira i cristiani sia identificata, conclusa e rettificata”.

L’Ordine dunque stabilisce una task force per sradicare il pregiudizio anticristiano, che sarà stabilità nel Dipartimento di Giustizia, e sarà presieduta dal Procuratore Generale. Saranno membri di questa task force: il Segretario di Stato, e poi praticamente tutti i ministri del governo, i rappresentati USA alle Nazioni Unite, gli amministratori delle piccole imprese, il direttore dell’FBI, l’amministratore della Agenzia dell’Emergenza Gesionale Federale e il presidente della Commissione per le Pari Opportunità nonché i capi di altri dipartimenti esecutivi e uffici che il presidente chiamerà a partecipare.

Questa task force sarà chiamata a rivedere le attività di tutti i dipartimenti e le agenzie, raccomandare, quando necessario, la fine di ogni politica che sia alla base di un pregiudizio anti-cristiano, condividere informazioni e sviluppare strategie e allo stesso tempo cercare informazioni su americani affetti da condotta anticristiana al fine di identificare le mancanze del sistema, anche in termini legislativi, e raccomandare così al presidente eventuali azioni legislative da compiere.

Trump chiede anche un primo rapporto a 120 giorni dalla nascita della task force e un rapporto annuale che spieghi le attività e infine un rapporto finale prima dello scioglimento, che – se non ci saranno estensioni del presidente – avverrà a due anni dall’ordine esecutivo.  

                                                           FOCUS AMERICA LATINA

Nicaragua, la riforma della Costituzione mette sotto controllo la religione

Lo scorso 30 gennaio, l’Assemblea Nazionale del Nicaragua ha approvato in seconda lettura la riforma della Costituzione.

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Con la riforma, il presidente riceve una sorta di mano libera su livello legislativo, giudiziale ed elettorale, e stabilisce il titolo di co-presidente per sua moglie Rosario Murillo.

In particolare, l’articolo 14 della Costituzione garantisce libertà religiosa, ma con una formulazione ambigua, perché mette in luce prima di tutto che “lo Stato è secolare” e quindi che “assicura libertà di culto, fede, e pratiche religiose in stretta separazione tra Stato e Chiese”, ma aggiunge che “nessuna persona o organizzazione si deve impegnare in attività che mettono a rischio l’ordine pubblico sotto la protezione della religione”, e “ le organizzazioni religiose devono essere tenute libere da ogni controllo straniero”.

Di fatto, questa formulazione giustifica i continui espropri di stazioni radio e media della Chiesa, l’espulsione di diversi vescovi, sacerdoti, religiose, e gli attacchi alla Chiesa cattolica portati avanti dal regime di Ortega. Inoltre, dato che la dimensione internazionale dei gruppi religiosi può essere considerata la base per porre problemi allo Stato che arrivano fino al tradimento.

Per decidere cosa rientri o non rientri nelle attività consentite, ci si può riferire alla legge. Ma la Costituzione dà al presidente potere totale, incluso il potere giuridico, e dunque di fatto la legge garantisce allo Stato potere legale per perseguitare le religioni.

Inoltre, all’articolo 97 della Costituzione viene stabilita una nuova polizia volontaria cittadina per servire come supporto ausiliario alla polizia nazionale.

                                                           FOCUS ASIA

India, il nunzio visita il luogo del massacro di cristiani del 2008

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L’arcivescovo Leopoldo Girelli, nunzio apostolico in India, ha visitato lo scorso 31 gennaio Bhubaneswar, la capitale di Odisha, nel distretto di Kandhamal, nello Stato di Orissa. Il nunzio è andato sul posto per partecipare all’apertura della 36esima assemblea plenaria della Conferenza Episcopale Indiana, ma il fatto che fosse presente a Khandamhal ha un particolare significato.
Fu lì, infatti, che nel 2008 la minoranza cristiana fu vittima della violenza di una serie di disordini guidati dagli hindu radicali.

Circa cento persone morirono nelle manifestazioni, migliaia furono feriti, furono distrutte 300 chiese e 6 mila case e 50 mila persone furono costrette a sfollare, spesso nelle foreste vicine dove in molti morirono di fame o a causa del morso dei serpenti.

La ribellione era cominciata a seguito dell’accusa ai Cristiani di aver ucciso un uomo hindu locale in fama di santità, il quale invece, come si scoprì poi, era stato assassinato dalla guerriglia maoista.

Il nunzio ha celebrato la Messa nella parrocchia di Nostra Signora della Carità in Raijia, e nell’omelia ha sottolineato che la popolazione cristiana del posto “è diventata per milioni di cristiani l’esempio di come perseverare nella sofferenza” e che nella  loro esperienza vede “il volto dei primi cristiani”.

La visita di Girelli è considerata un segno di speranza per avanzare il processo di beatificazione dei martiri di Orissa, iniziato nel 2023.

Il nunzio ha anche visitator il Memoriale dei Martiri a Tiangia, un villaggio cattolico che ha sperimentato la morte di sette cristiani durante le violenze del 2008, e lo ha definito “un villaggio id pace, armonia, fede e amore”.

Durante la visita, il nunzio ha incontrato anche alcune famiglie colpite dal massacro

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La visita di Girelli ha toccato anche Nandagiri, un villaggio di 82 famiglie sfollate a causa della violenza.

                                                           FOCUS AFRICA

Lesotho, il viaggio del nunzio apostolico

Nella scorsa settimana, l’arcivescovo Henryk Jagodziński, nunzio apostolico in Sudafrica, Namidia e Lesotho, ha svolto un viaggio in Lesotho con monsignor Dario Paviša, segretario della Nunziatura Apostolica a Pretoria, in occasione della plenaria della Conferenza Episcopale della Regione.  Per il nunzio, si trattava della quarta visita nel Paese, ma era la prima volta che partecipava ai lavori dei vescovi locali.

Nel volo che ha portato i diplomatici vaticani in Lesotho viaggiava anche Samuel Ntsokoane Matekane, Primo Ministro del Regno del Lesotho.

Accolti dall’arcivescovo Gerard Tlali Lerotholi, OMI, il nunzio e il segretario di nunziatura si sono prima di tutto recati al Sud del Paese, nella diocesi di Mohale’s Hoek, guidata dal vescovo John Jolae Tlhomoli, S.C.P.

Il 2 febbraio, il nunzio ha partecipato ad una Messa solenne in Villa Maria, sede del noviziato degli Oblati di Maria Immacolata. La Messa si è celebrata il 2 febbraio, Giornata Mondiale della Vita Consacrata, e durante la Santa Messa, le suore di cinque congregazioni religiose, insieme ai sacerdoti e ai fratelli di tre congregazioni maschili, hanno rinnovato i loro voti.

Presentato al termine della Messa, l’arcivescovo Jagodziński ha detto: “Vi porto i saluti, le preghiere e la benedizione del nostro Santo Padre, Papa Francesco, che porta nel cuore la Chiesa in Lesotho. Egli invia il suo sostegno a tutti voi, in particolare ai Vescovi qui riuniti per l’inizio della Sessione Plenaria Annuale della Conferenza Episcopale Cattolica del Lesotho. Sua Santità vi assicura la sua vicinanza spirituale nel compiere l’importante missione di guidare i fedeli e di rafforzare la missione della Chiesa in questo Paese. Che le sue parole di cura e incoraggiamento vi ispirino a camminare insieme in unità, guidati dallo Spirito Santo”.

Il nunzio ha poi ricordato che “la missione della Chiesa nel Regno del Lesotho è importante non solo per questa nazione, ma anche per la Chiesa universale. Vi esorto a perseverare nella fede, a rimanere saldi nella speranza e a crescere nell’amore per Dio e per il prossimo”.

Di ritorno dalla conferenza, la delegazione del nunzio si è fermata nella cattedrale della diocesi di Mohale’s Hoek. “Con mia gioia – racconta l’arcivescovo Jagodziński – sull’altare maggiore della vecchia cattedrale si trovava l’immagine di Gesù Misericordioso sul lato destro e quella della Madonna di Kalwaria sul lato sinistro. La costruzione della nuova cattedrale è già in uno stato avanzato, anche se richiede ancora molti lavori di rifinitura. Il promotore di questo progetto è stato Sua Eminenza il cardinale Sebastian Koto Khoarai (1929-2021), primo vescovo della diocesi di Mohale’s Hoek, nominato cardinale da Papa Francesco nel 2016, quando era già in pensione. Dopo la sua morte, le sue spoglie mortali sono state deposte nella cripta della cattedrale in costruzione, dove abbiamo pregato per la sua anima”.

Il 3 febbraio, sono cominciati i lavori della Conferenza Episcopale, il cui tema era “L’impatto e il significato della vita cosacrata in Lesotho oggi”.

Nel suo intervento, il nunzio ha sottolineato: “Mentre celebriamo il contributo della vita consacrata alla vita della Chiesa in Lesotho, questa sessione plenaria è anche un’occasione di riflessione e rinnovamento. Come spesso ci ricorda Papa Francesco, la vita consacrata non può cadere nelle trappole dell’autocompiacimento o della routine. Al contrario, deve rimanere dinamica, gioiosa e radicata in una profonda relazione con Cristo”.

Jagodziński ha poi chiesto alle persone consacrate in Lesotho di impegnarsi a rinnovare il proprio impegno nei consigli evangelici e nei carismi dei loro fondatori. Cercate nuovi modi per realizzare la vostra missione, rimanendo fedeli al Vangelo. Collaborate strettamente con i vescovi, il clero, i laici e tra di voi per costruire una Chiesa viva e unita”, e si è appellato a vescovi e clero affinché “continuino a sostenere e incoraggiare le persone consacrate nel loro ministero. Coltivate uno spirito di reciproco rispetto, dialogo e collaborazione, affinché i doni della vita consacrata possano arricchire tutto il Corpo di Cristo”.

Il rappresentante pontificio ha poi guardato all’appello di Papa Francesco di vivere nello spirito di sinodalità, perché “questo processo di camminare insieme, ascoltarsi a vicenda e discernere la guida dello Spirito Santo non è solo un esercizio consultivo, ma una riscoperta dell’essenza dell’essere Popolo di Dio—chiamato alla comunione, alla partecipazione e alla missione”.

Inoltre, Jagodziński ha ricordato che “la Chiesa in Lesotho, ricca della sua storia di fede, ha un ruolo unico nell’incarnare lo spirito della sinodalità. In quest’Anno Giubilare, mentre celebrate le pietre miliari di fede e grazia che hanno plasmato la Chiesa in questa nazione, è fondamentale rinnovare l’impegno per l’unità e la solidarietà. Possa questo tempo ispirarvi a un dialogo più profondo, alla riconciliazione e alla collaborazione a tutti i livelli della Chiesa—tra vescovi, sacerdoti, religiosi e laici—affinché insieme possiate annunciare il Vangelo con maggiore convinzione ed efficacia”.

Guardando al Giubileo che si sta celebrando, il nunzio ha sottolineato che questo è anche un tempo per celebrare il passato con gratitudine, vivere il presente con entusiasmo e guardare al futuro con speranza. È un invito a riflettere su come la Chiesa possa rispondere meglio alle sfide del nostro tempo, tra cui la povertà, le disuguaglianze e la necessità di giustizia e pace”.

La delegazione vaticana ha poi lasciato il Paese il 4 febbraio, per dirigersi verso Città del Capo in occasione della solenne apertura del Parlamento della Repubblica del Sudafrica.

Repubblica Democratica del Congo, il vescovo di Goma: ok la tregua, ora tornare alla normalità

Il vescovo di Goma Willy Ngumbi Ngengele gestisce un territorio del Nord Kivu conquistato lo scorso 27 gennaio dai ribelli della sigla M23. La tregua non è mai stata rispettata Parlando lo scorso 4 febbrai con Fides, l’agenzia del Dicastero per l’Evangelizzazione, ha sottolineato che “la città è calma ma la popolazione ha ancora paura di uscire di casa perché la sicurezza non è completamente garantita”, e infatti le scuole sono quasi tutte chiuse perché molti edifici scolastici sono stati danneggiati o distrutti.

Il vescovo Ngengele ha denunciato la difficile situazione degli ospedali, che “accolgono un gran numero di feriti e sono in difficoltà per carenza di medicinali e strumentazione”, mentre restano difficili anche i collegamenti internet.

A Goma vivevano circa un milione di sfollati interni provenienti dalle aree del Nord Kivu che erano state interessate per prime dai combattimenti. La loro situazione al momento è incerta perché – spiega il vescovo di Goma – “i campi profughi sono stati chiusi e chi tra gli sfollati ha ancora una casa fa ritorno nel proprio villaggio di origine. Chi non può rimane a Goma in condizioni precarie”.
Il 3 febbraio, l’M23 ha proclamato una tregua “per motivi umanitari”, che è entrata in vigore il 4 febbraio

Per cercare una soluzione pacifica alla crisi una delegazione della Conferenza Episcopale Nazionale del Congo (CENCO) è stata ricevuta a Kinshasa dal Presidente Félix Tshisekedi.

Nel corso dei colloqui è stato presentato al Capo di Stato un progetto di riconciliazione elaborato dalla CENCO insieme alla Chiesa di Cristo in Congo (Église du Christ au Congo ECC).

Conflitto in Repubblica Democratica del Congo, la posizione del SECAM

Il Simposio delle Conferenze Episcopali di Africa e Madagascar (SECAM) ha rilasciato l’8 febbraio una dichiarazione riguardo il conflitto in corso nella Repubblica Democratica del Congo Orientale. La dichiarazione è stata redatta dalla Commissione Giustizia Pace e Sviluppo della SECAM.

La commissione si dice “profondamente turbata dalle numerose perdite di vite umane, nonché dai saccheggi e dalla distruzione di proprietà che hanno causato sofferenze diffuse e sconvolto in modo significativo la vita di innumerevoli individui e famiglie nella regione”.

I vescovi africani sottolineano che “come cristiani, non possiamo restare indifferenti a questa tragica situazione vissuta da migliaia di persone, tra cui donne e bambini, costretti a spostarsi senza alcun barlume di speranza all’orizzonte per il momento per quanto riguarda la cessazione delle ostilità”.

Il SECAM chiede di rispondere al grido di aiuto della popolazione, ricorda che “c’è un disperato bisogno di cibo, acqua, riparo e medicine, soprattutto per le persone coinvolte nel mezzo dei combattimenti”, si rivolge in particolare alla Caritas per coordinare gli aiuti, e sostiene gli sforzi delle organizzazioni internazionali, nonché della Conferenza Episcopale del Congo.

“Ci uniamo all’appello – si legge nella dichiarazione – per un cessate il fuoco immediato, il rafforzamento degli accordi di pace esistenti relativi al conflitto e, in particolare, un embargo immediato sui contratti di armi che stanno alimentando il conflitto”.

Inoltre, i vescovi esortano “tutte le parti coinvolte a cercare il dialogo anziché la divisione, la comprensione anziché l’inimicizia e la solidarietà anziché il conflitto”, sottolineando allo stesso tempo che “è fondamentale che la dignità e i diritti di ogni individuo siano rispettati mentre cerchiamo collettivamente un futuro definito da giustizia e compassione”.

Continua la dichiarazione: “Facciamo appello ai leader locali, alle autorità nazionali, alle strutture economiche e politiche regionali, all’Unione Africana e alle organizzazioni internazionali affinché continuino e intensifichino il loro impegno e la facilitazione delle iniziative che promuovono la risoluzione dei conflitti, il dialogo e il rispetto della vita e della dignità della persona umana. Non dimentichiamo il potere della preghiera e della comunità mentre siamo solidali con i nostri fratelli e sorelle colpiti da questo conflitto”.

                                   FOCUS SUMMIT DEI DIRITTI DEI BAMBINI

Le parole del Cardinale Parolin all’inaugurazione del Summit

Il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, è intervenuto nella sera del 2 febbraio alla inaugurazione del Summit sui Diritti dei Bambini che si è svolto in Vaticano e che ha raccolto leaders da tutto il mondo, inclusa la regina Rania di Giordania. Al termine dell’incontro, Papa Francesco ha reso nota la sua volontà di scrivere una esortazione apostolica sul tema dei bambini – c’erano già state lettere ai bambini di Giovanni Paolo II nel 1994 e di Benedetto XVI nel 2007.

Nel suo discorso, il Segretario di Stato vaticano ha sottolineato che “amare e proteggere i bambini è un imperativo categorico che dovrebbe riscuotere unanime consenso”.

La giornata del summit è stata suddivisa in due sessioni con sette panel e interventi di una cinquantina di ospiti.

Il cardinale Parolin ha sottolineato che è la storia stessa ad insegnare che “i bambini e le bambine hanno rappresentato una delle componenti più deboli dell’umanità”, ma che oggi manca “amore e protezione verso più piccoli”, mentre siamo “partecipi delle guerre che comportano migliaia e migliaia di vittime piccole e indifese, come elle tragedie che si consumano nei nostri mari con i migranti, tra cui non pochi bambini”.

Il Segretario di Stato vaticano ha ribadito che la Chiesa prosegue questo impegno nella difesa e tutela dei diritti dei minori “pur tra le mancanze e fragilità di alcuni suoi componenti”, sempre disponibile ad “accogliere e fare tesoro” di alcuni “suggerimenti e ispirazioni” che giungono dagli esperti di scienze sociali”, nonché nello sviluppare pratiche insieme ad altre religioni, cosa che rende opportuna la presenza al summit di esponenti del mondo ebraico e musulmano.

Il Segretario di Stato vaticano ha quindi chiesto di “ascoltare le voci dei bambini: i loro ‘no’ alla fame, alle diseguaglianze, alla violenza, alle guerre e alla devastazione del Creato”. Temi da affrontare prestando particolare attenzione al diritto dei bimbi all’accesso alle risorse, all’educazione, al cibo, all’assistenza sanitaria, alla famiglia e anche al tempo libero.

                                               FOCUS FRATELLANZA UMANA

Il cardinale Filoni chiede una visione di fraternità nel Medio Oriente

Nella giornata internazionale della Fratellanza Umana, il Cardinale Fernando Filoni, già nunzio a Baghdad per diversi anni (fu l’unico diplomatico a non lasciare la capitale durante la seconda Guerra del Golfo) ha messo in luce come oggi soprattutto in Israele, Palestina, Siria, Libano, Iran e Iraq c’è bisogno di “un soffio caldo” che ridia vita a gente perseguitata e discriminata.

Ci vuole speranza, ha detto il cardinale, indicando poi nella tomba del profeta Ezechiele questo luogo di speranza. “Nella primavera del 2002 – ha ricordato – accompagnato da alcuni amici iracheni, andai ‘pellegrino’ a Kafel-al-Hilla. Non lontano sorgono i resti dell’antica Babilonia dei Caldei; più a sud, ad al-Najaf, risiede oggi l’alta autorità spirituale degli Sciiti, il Grande Ayatollah al-Sistani, che il 6 marzo 2021 fu visitato da Papa Francesco. Un momento indimenticabile per musulmani sciti e cristiani. A Kafel-al-Hilla si trova un’antica sinagoga con scritte in ebraico ben visibili, meta di pellegrinaggi di musulmani e dei pochi cristiani che si avventurano fin là, ma di nessun ebreo, da quando le ultime comunità furono espulse dall’Iraq a seguito delle guerre arabo-israeliane del secolo scorso. Là un’antica tradizione indica l’esistenza della tomba di Ezechiele profeta. Il luogo è sacro”.

La tomba di Ezechiele è un luogo di preghiera amato universalmente, e in particolare dalle donne sciite che chiedono al profeta aiuto per una maternità agli inizi o verso la fine.

Si chiede il Cardinale Filoni: “Se nella regione babilonese si dice che aleggi lo spirito di Ezechiele profeta, lì deportato nel 597 a.C. con Joachim, re di Giuda, a Ninive (oggi Mosul, a nord dell’Iraq), si dice che aleggi ugualmente lo spirito di Giona, il predicatore della conversione ma la sua tomba, profanata e distrutta recentemente dall’Isis, sarà ancora luogo di speranza?”

Ezechiele è considerato il profeta dello Spirito di Dio, e predicava la “benevolenza divina che precede il pentimento”.

Il cardinale ha ricordato poi la visita di Papa Francesco ad inizio marzo 2021, considerato “un gesto di intensa solidarietà e di speranza e, in una terra troppe volte sconvolta dagli odi, tornavano alla mente le parole non solo del menzionato Giona a Ninive (VIII sec. a.C.), ma anche quelle di Nahum nell’Assiria (VII sec. a.C.) e appunto di Ezechiele a Babilonia (VI sec. a.C.)”.

Secondo il cardinale, c’è bisogno in Medio Oriente “di ricomporre le innumerevoli fratture di questi popoli e di questi luoghi; c’è bisogno che ebrei, cristiani, sciti, sunniti, kurdi, yazidi, mandei e tutte le altre minoranze trovino insieme una civile convivenza nel rispetto dei diritti per tutti”.

E conclude: “La fraternità è possibile se c’è lo Spirito di Dio. Se la speranza non è uccisa e si dà vita ad un tempo di grazia. E favorire tutto ciò spetta prima di tutto ai popoli e alle autorità civili e religiose della Regione e poi a tutti contribuirvi”.

Il cardinale Tagle consegna il Premio Zayed per la Fratellanza Umana

In occasione della consegna del Premio Zayed per la Fratellanza Umana ad Abu Dhabi, il Cardinale Luis Antonio Tagle, pro-prefetto del Dicastero dell’Evangelizzazione, ha sottolineato che nel mondo secolarizzato, l’unico antidoto è rappresentato “dall’incontro e il dialogo fondati sull’amicizia e sul rispetto di persone di diverse tradizioni religiose”.

Il premio Zayed è stato istituito nel 2019, a seguito della firma del Documento sulla Fratellanza Umana da parte di Papa Francesco e del Grande Imam di al Azhar Ahmed al Tayyeb il 4 febbraio di quell’anno.

La cerimonia di premiazione ha avuto luogo nella Abrahamic Family House, uno dei frutti del documento, che è una grande piazza su cui insistono una sinagoga, una mosche a e una chiesa cattolica, dedicata a San Francesco.

Nel suo discorso, il Cardinale Tagle ha concesso che “in diverse parti del mondo, ci sono situazioni in cui la convivenza è difficile, e in cui le motivazioni politiche o economiche strumentalizzano le differenze culturali e religiose”, ma il dialogo è “l’unico antidoto”.

Ed è il percorso tracciato dal Documento sulla Fratellanza Umana, anche perché il dialogo ci rende “più umani”.

Il pro-prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione ha sottolineato che nel mondo secolarizzato “la religione è vista come qualcosa di inutile o persino pericoloso, e si pensa che la convivenza sia possibile solo se le persone relegano la loro appartenenza religiosa alla sola sfera privata o si incontrano in spazi neutri, “privi di qualsiasi riferimento al trascendente”.

Il dialogo, allora, è “l’unica soluzione percorribile”, perché – afferma il cardinale Tagle – è impossibile pensare che la fraternità possa nascere in un laboratorio”.

Da quando è stato istituito, il Premio Zayed per la Fratellanza Umana è stato assegnato a 11 individui e 5 organizzazione. Il Premio coinvolge 66 Paesi. Vincitore quest’anno è stata la World Central Kitchen, una organizzazione umanitaria che fornito aiuti alimentari alle comunità colpite da crisi e conflitti, ed è stata premiata anche Mia Mottley, premier delle Barbados, per il suo impegno nella lotta al cambiamento climatico.

Ha ricevuto un premio anche l’inventore etiope americano Herman Bekele, che a 15 anni ha sviluppato un sapore economico che previene e cura il cancro della pelle.

                                                           FOCUS CARITAS

L’SCHR saluta Papa Francesco

Lo Steering Committee for Humanitarian Response (SCHR), accompagnato dal segretario generale di Caritas Internationalis Alistair Dutton, ha salutato brevemente Papa Francesco al termine dell’udienza generale giubilare dello scorso 25 gennaio.

Lo SCHR è stato fondato nel 1972, e comprende nove delle più grandi organizzazioni umanitarie al mondo, ed ha un piccolo segretariato, gestito dal Segretario Esecutivo, basato a Ginevra.

Le discussioni sono gestite dagli SCHR Principals, ovvero i segretari generali di ogni organizzazione. C’è anche un gruppo di lavoro che fornisce consiglio su questioni politiche e operative.

Attualmente, i principals SCHR sono: Abby Maxman, della britannica OXFAM; Andrew Morley, di World Vision International; Rudelmar Bueno de Faria, di ACT Alliance; Alistair Dutton di Caritas Internationalis; Andrea Barschdorf-Hager, di CARE International; Jagan Chapagain, della Federazione Internazionale delle Società della Croce Rossa e della Luna Crescente; Pierre Krähenbül, del Comitato Internazionale della Croce Rossa; Maria Immonen, della Federazione Luterana Mondiale; Inger Ashing, di Save the Children International.

Secondo un post su X di Dutton, i principals del comitato hanno discusso tendenze geopolitiche e attuali priorità umanitaria con il segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, durante il loro incontro annuale che si è tenuto a Roma.

                                                           FOCUS MULTILATERALE

 La Santa Sede a Ginevra, la situazione in Congo

Non si placa la situazione in Repubblica Democratica del Congo, nella Regione del Nord Kivu, dove – nonostante la tregua – i terroristi hanno continuato ad agire, in un conteggio di migliaia di morti. Chi conosce la situazione molto bene è l’arcivescovo Ettore Balestrero, Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Organizzazioni Internazionali, ma prima nunzio presso la Repubblica Democratica del Congo, dove ha tra l’altro accolto Papa Francesco.

Balestrero ha rappresentato la Santa Sede lo scorso 7 febbraio alla 37esima sessione speciale del Consiglio dei Diritti Umani sulla situazione dei diritti umani nell’Est della Repubblica Democratica del Congo.

Nel suo intervento, l’arcivescovo Balestrero ha notato che la Santa Sede è profondamente preoccupata dall’escalation di violenza ad Est della Repubblica Democratica del Congo, e ribadisce “la sua forte condanna della recente offensiva, che è stata ulteriormente intensificata dalla presa della città di Goma da parte dei ribelli della coalizione AFC / M23 che ora puntano verso la città di Bukavu.

Il nunzio nota che “l’intensificazione del conflitto ha provocato un’enorme tragica perdita di vite, e una preoccupante crescita delle violazioni dei diritti umani”, ha portato a saccheggi nella città di Goma e nelle città vicine e ha accresciuto “uno sfollamento massimo della popolazione già impoverita dai conflitti ricorrenti che hanno colpito le province del Nord e Sud Kivu negli ultimi 30 anni.

Balestrero definisce come “profondamente disprezzabile” che “siano stati uccisi o feriti” anche “operatori di pace con mandati dati loro dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

La Santa Sede chiede la riapertura immediata dell’aeroporto di Goma, “almeno per portare l’aiuto umanitario ed evacuare le persone ferite più seriamente”, e per questo “tutte le parti in causa dovrebbero fare gli accordi necessari a questo scopo.

Inoltre, la Santa Sede “esprime la sua vicinanza, solidarietà e condoglianze a tutte le famiglia che hanno perso i loro amati nel conflitto”, e ricorda a tutte le parti in conflitto “dei loro obblighi sotto la legge umanitaria internazionale”, chiede di “rispettare l’accordo di cessate il fuoco” e riafferma il supporto per il processo di Luanda – a partire dall’accordo del 2002 di cesate il fuoco tra Repubblica Democratica del Congo e Uganda – chiedendo “una immediata ripresa dei negoziati in quella cornice”, apprezzando la proposta di stabilire una missione di controllo dei fatti indipendente.

Inoltre, la Santa Sede chiede che l’M23 “cessi immediatamente tutte le ostilità e lasci le zone occupate”, perché “l’integrità territoriale della Repubblica Democratica del Congo deve essere pienamente rispettata.

La Santa Sede all’OSCE, l’intervento al Consiglio Permente dell’OSCE

Lo scorso 6 febbraio, monsignor Richard Gyhra, rappresentante permanente della Santa Sede all’OSCE, ha tenuto un intervento al consiglio permanente dell’organizzazione a seguito del discorso del Presidente del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, il ministro degli Esteri del Lusseburgo Xavier Bettel.

Nel suo intervento, monsignor Gyhra ha ricordato che la Santa Sede ha sempre mostrato interesse per i lavori del Consiglio, specialmente “in favore della protezione e promozione dei diritti umani, della democrazia e dello Stato di diritto nel continente”, e contribuisce partecipando a vari comitati ad hoc.

Gyhra ha notato che Consiglio d’Europa e OSCE sono distinti in membership, motivazioni e scopi, ma hanno tuttavia una “preoccupazione comune per gli Stati e i popoli del continente”, e per questo la Santa Sede guarda con attenzione alla cooperazione tra queste due istituzioni, considerando che la differenza di prospettiva e approcci può aggiungere “valore alla loro cooperazione e renderle complementari”.

In particolare, la Santa Sede sottolinea che una preoccupazione comune è quella della promozione della tolleranza e della non discriminazione, mostrandosi allarmata dal “crescente numero di atti di intolleranza e discriminazione, inclusi crimini di odio, contro cristiani, ebrei, musulmani e membri di altre regioni”, mentre è ancora più “profondamente preoccupante che alcune espressioni di intolleranza e discriminazione contro i cristiani sembrano ricevere ancora meno attenzione di altre forme di intolleranza”.

Secondo la Santa Sede, tutte le forme di intolleranza, che siano rivolte a gruppi di maggioranza o a gruppi di minoranza, “devono essere affrontate e combattute con eguale attenzione”, evitando così “approcci selettivi e parziali”.

Inoltre, la Santa Sede nota che “gli impegni sulla tolleranza e la non discriminazione non possono essere separati da impegni presi da tempo per la libertà di religione e credo”, perché “l’implementazioni degli ultimi richiede la piena implementazione degli altri”, dato che “la tolleranza non può essere un alibi per non garantire la libertà di religione”.

La Santa Sede, infine, sottolinea l’importanza di portare avanti un dialogo interculturale, una “opportunità di valore per scambi aperti, rispettosi e arricchenti tra individui e gruppi di differenti origini e tradizioni etniche, linguistiche e religiose”.

                                               FOCUS AMBASCIATORI

Il Kazakhstan ha un nuovo ambasciatore

Timur Primbetov, ambasciatore del Kazakhstain presso la Santa Sede, ha presentato le sue lettere credenziali il 7 febbraio.

Classe 1973, ha una lunga carriera diplomatica alle spalle cominciata appena dopo essersi laureato nel 1996 la Kazakh State National University named after Al-Farabi (1996).

Ha svolto i seguenti incarichi: Attaché, poi Terzo Segretario, Dipartimento per l’Europa e le Americhe, MAE (1997 – 1999); Terzo Segretario, poi Secondo Segretario, Ambasciata in Spagna (1999 – 2004); Capo Esperto, Ispettore, Capo di Settore del Protocollo del Presidente della Repubblica (2004 – 2008); Vice Capo del Protocollo del Presidente della Repubblica (2008 – 2018); Ministro-Consigliere, Ambasciata nella Federazione Russa (2018 – 2019); Ambasciatore in Lettonia (2019 – 2023); Ambasciatore in Messico (2023 – 2024).

 

 





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