“Rapportarsi con la disabilità è faticoso, ma dobbiamo togliere un po’ di paura”

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Ai microfoni di Fanpage.it Daniele Cassioli ha parlato del tema della disabilità nel mondo dello sport: “L’accessibilità degli stadi è un disastro. Ho chiesto a Pisilli di farmi toccare la testa dopo il gol”

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Come può un non vendente andare allo stadio per godersi una partita di calcio? Lo scorso 29 novembre abbiamo visto Daniele Cassioli alle prese con un nuovo dispositivo che gli ha permesso di seguire Cagliari-Verona senza perdersi un’azione, in un modo inedito e finalmente inclusivo. Da diversi anni l’atleta paralimpico porta avanti un minuzioso lavoro di divulgazione e di sensibilizzazione sul tema della disabilità, specialmente legata al mondo dello sport, facendo dell’ironia la sua arma migliore. Ma le battute spiazzanti nascondono un discorso molto più profondo che mira a scuotere la società per creare un mondo alla portata di tutti.

Sui social condivide video della sua vita in cui spiega come riesce a compiere azioni che alla maggior parte delle persone appaiono banali, sempre in modo leggero e con tanta autoironia: “In realtà penso che sempre di più sia utile togliere un po’ questa paura e invece vestire un po’ l’abito della semplicità per parlare di come funzioniamo noi, come io so un po’ come funzionate voi diciamo normodotati gravi, come chiamano così”. Nell’intervista rilasciata a Fanpage.it Cassioli ha toccato il tema dell’inclusività all’interno dello sport, raccontando anche la sua esperienza al Cagliari con il dispositivo Touch2See che potrebbe dare vita a una piccola rivoluzione.

Come mai hai scelto di praticare proprio lo sci nautico tra tantissimi sport?

“Pratico lo sci nautico grazie al fatto che sono cieco, perché se vedessi non l’avrei mai fatto, sicuramente, non era nelle corde della mia famiglia. Non è che uno la mattina si alza e dice, ho voglia di un po’ di sci nautico. Io sognavo di giocare a calcio, ma quando c’è stato da iscriversi in una squadra ovviamente io non ho potuto farlo. Quindi questo all’inizio per me è stato molto doloroso, dall’altra parte però ha spinto i miei genitori a cercare altro, quindi hanno scoperto che i ciechi sciavano sulla neve e poi da lì abbiamo anche scoperto lo sci nautico”.

Secondo te com’è cambiata la percezione del mondo paralimpico negli ultimi anni?

“È cambiata sicuramente tantissimo e questo è super bello e gratificante. Il lavoro che fa il Comitato Italiano Paralimpico è importante, avere sempre più persone popolari con disabilità ci aiuta a raccontare la disabilità in modo diverso. Dall’altra parte non è che essere disabile è una figata, perché adesso mi arrivano ogni tanto qualche mail di gente che mi dice ‘Ho un’unghia incarnita, non è che posso venire a fare le Paralimpiadi?’. Ecco, c’è ancora tanta difficoltà, un ragazzo o una ragazza che cerca di fare sport in Italia il giorno d’oggi rischia di non trovare una società sportiva. Dobbiamo fare in modo che noi che viviamo un po’ la ribalta, diciamo così, dell’attenzione diventiamo rappresentativi di una categoria che invece ancora fa fatica. Per una persona che non ci vede, intanto già la disabilità non la vedi, quindi fa un po’ meno audience rispetto ad avere una sedia a rotelle o avere delle protesi, infatti io sono molto invidioso dei colleghi con altre disabilità, non vedendo entri in un mondo dei vedenti, un mondo vostro. Rapportarsi con la disabilità è faticoso, le persone mi dicono ‘Ci vediamo domani’, poi ‘No scusa ho detto ci vediamo, non volevo’. Quindi io senza volerlo mando un sacco di gente allo psicologo. Ma in realtà penso che sempre di più sia utile togliere un po’ questa paura e invece vestire un po’ l’abito della semplicità per parlare di come funzioniamo noi, come io so un po’ come funzionate voi diciamo normodotati gravi, come chiamano così”.

Come vivi le partite allo stadio?

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“La partita allo stadio è un momento pazzesco perché quell’energia lì non devi vederla, ma basta sentirla. In generale anche quando vado a San Siro c’è il profumo dell’erba, senti l’odore del prato, le voci dei calciatori se sei abbastanza vicino al campo. Andare allo stadio è un’esperienza condivisa, è un modo per sentirsi parte di qualcosa di più grande, poi per me quando canta la sud sono lacrime, brividi, è anche un altro modo per socializzare. È bello, si crea una dinamica veramente affascinante e devo dire inimmaginabile solo vent’anni fa”.

A Cagliari invece ti abbiamo seguito mentre eri alle prese con un nuovo dispositivo che permette ai non vedenti proprio di seguire le partite in un modo rivoluzionario…

“Parliamo di una startup francese che si chiama Touch2See che ha inventato una sorta di tavoletta rettangolare con le linee del campo impresse in basso rilievo e questa palla che attraverso un magnete, un sistema di tecnologie interfacciato con le telecamere, si muove nel campo che tu hai tra le mani seguendo i movimenti della palla vera. Quindi questo è un altro elemento interessantissimo perché tu ascolti la partita, vivi le emozioni dello stadio e al contempo sai dov’è la cosa più importante per il gioco cioè il pallone. È molto bello, è stata una cosa davvero gratificante. Con questo dispositivo hai la consapevolezza in tutti i momenti di cosa sta succedendo e hai anche tutta una serie di informazioni in più. Banalmente la scelta di una tattica rispetto all’altra, la scelta di c’è la squadra che fa il giropalla come dicono quelli bravi dal basso e tu te la tocchi quella cosa. Io ho un’associazione che si occupa dei bambini ciechi, magari un bambino sa riconoscere una moto da un’altra dal rumore del motore e poi però non sa che la moto ha il manubrio, non sa che la moto ha due ruote. Quando tu delle cose non le puoi conoscere guardandole da lontano devi proprio toccarle, devi entrarci dentro e questo è un modo per entrare ulteriormente dentro alla dinamica del gioco”.

Hai qualche bella storia vissuta allo stadio che vuoi condividere con noi?

“Personalmente, quando Pisilli segnò il 2-1 contro il Venezia ero lì grazie alla Roma che mi ci ha portato e l’ho incontrato negli spogliatoio. Gli ho chiesto di farmi toccare la testa dove aveva colpito il pallone prima di buttarlo dentro e ovviamente quella cosa per me era affascinante. Mi viene in mente una storia che ci arriva dalla pallavolo di questi due bimbi, entrambi non vedenti che hanno conosciuto Carlotta Cambi a un camp dell’associazione che ho fondato. Carlotta oltre ad essere un oro olimpico è una persona speciale, una giocatrice straordinaria. Carlotta ha conosciuto questi bimbi al nostro camp d’estate e ha deciso di invitare la famiglia ad assistere a una partita. Alla fine fortunatamente i genitori sono un po’ andati oltre quello che è un vero e proprio pregiudizio e sono andati alla partita. Da quel momento in poi è stato un disastro per i genitori, dato che questi bambini vogliono andare a tutte le partite e soprattutto sono i bambini che raccontano ai genitori quello che succede”.

Secondo la tua esperienza quanto sono accessibili gli stadi e i palazzetti italiani?

“Mediamente l’accessibilità è un disastro sotto tanti profili. Ci sono pochi posti dedicati alle persone con disabilità. C’è l’idea che la persona con disabilità debba andare nel settore dei disabili. Quindi se io voglio vedere la partita in curva, o in tribuna top, o nel distinto ospiti non posso farlo in quanto disabile. Questo per me è inaccettabile, deve cambiare oltre al fatto che tanti stadi ovviamente hanno scalini, non puoi parcheggiare la macchina comodamente. C’è tantissimo da fare. Parte sempre dalla cultura, perché se io penso che sia sacrosanto che una persona con disabilità possa scegliere in che settore dello stadio andarsi a vedere una partita, allora poi lo rendo possibile”.

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Quanto costa per una persona non vedente andare allo stadio in termini sia economici ma anche di fatica?

“In termini economici non costa perché ci sono dei posti appunto riservati e sono anche per l’accompagnatore. Chiaramente però tu devi accettare il fatto che andrai lì. In certi stadi per esempio mi hanno detto che io da non vedente per ragioni di sicurezza devo andare nei posti riservati ai disabili. Quindi se io ho 10 amici o vado con 10 amici disabili o gli taglio una mano prima di entrare così siamo tutti insieme, oppure quel tipo di esperienza non la vivi”.

Secondo te lo sport oggi è inclusivo?

“No, secondo me lo sport oggi non è inclusivo. Intanto lo sport oggi non è valorizzato perché abbiamo un drop off, ossia un abbandono della pratica sportiva da parte dei ragazzi che dovrebbe preoccuparci. Poi no, non è inclusivo perché appunto una persona con disabilità che vuole andare a fare una camminata, una corsa, una nuotata quasi mai trova personale pronto. Quindi ci sono tanti contesti, tante società sportive e associazioni sportive straordinarie però sono ancora troppo dei casi isolati”.





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