Nagib Mahfuz (1911-2006), premio Nobel per la Letteratura nel 1988 – Barry Iverson / Alamy Stock Photo
Nella sua lunga vita (nato l’11 dicembre 1911 al Cairo, al Cairo morì il 30 agosto 2006), Nagib Mahfuz finì sulle prime pagine dei giornali occidentali in almeno due occasioni, solo in apparenza contrastanti l’una con l’altra. Nel 1988 fu il primo – e finora unico – scrittore di lingua araba insignito del Nobel per la letteratura. Sei anni più tardi, nel 1994, fu accoltellato sotto casa da un estremista islamico, restando ferito nel fisico ma non nello spirito. «La vita è imperfetta, contraddittoria –commentò –. Gli uomini sono fallibili». Poche parole, che bastano a comprendere come in effetti tra il premio e la stilettata non corresse alcuna contraddizione. Mahfuz era un modernizzatore, per questo l’Accademia di Stoccolma lo aveva acclamato («attraverso impianti ricchi di sfumature, ora con limpide vedute realistiche, ora evocativamente ambigue, ha creato un’arte narrativa araba che si applica a tutta l’umanità», si leggeva nella motivazione); ancora per questo i fanatici non potevano che detestarlo. In Italia la sua opera era stata portata da Tullio Pironti, il geniale e assai irregolare editore napoletano presso il quale era originariamente uscito il capolavoro di Mahfuz, la Trilogia del Cairo ora opportunamente riproposto da Crocetti. Si comincia con Tra i due palazzi (traduzione di Clelia Sarnelli Cerqua, pagine 540, euro 25) e non si vede l’ora di proseguire, inoltrandosi di nuovo nei meandri di Il palazzo del desiderio e La via dello zucchero. I tre libri furono pubblicati nell’arco di due anni, tra il 1956 e il 1957, e immediatamente segnarono un punto di svolta nella letteratura araba del Novecento. La Trilogia del Cairo è una grande saga familiare, per molti aspetti simile a quelle che i lettori europei e americani avevano imparato ad apprezzare già nel corso dell’Ottocento. Nelle mani di Mahfuz, però, il genere si trasforma in qualcos’altro: in uno strumento di denuncia sociale e in un’occasione di ripensamento politico, nel programma di un futuro possibile e nell’esame di coscienza di un’intera generazione. Elogiati dalla giuria del Nobel, i medesimi elementi sarebbero poi serviti da capo d’accusa per gli integralisti.
Mahfuz non se ne lasciò intimidire, neppure quando la persecuzione nei suoi confronti scelse come bersaglio l’amatissimo caffè nel quale lo scrittore si fermava a conversare e lavorare. Un luogo letterario sotto ogni punto di vista, se si considera la frequenza con cui anche in Tra i due palazzi il rito del caffè viene celebrato e condiviso. Tornare oggi alla Trilogia del Cairo, appassionandosi ai destini dell’ingiusto patriarca Ahmad – lo sayyed proprietario di un bazar che è estensione e giustificazione del suo dominio domestico – e della sua numerosa discendenza, significa non solo rendere omaggio a uno dei massimi narratori del secolo scorso, ma anche e specialmente fermarsi a riflettere su un’evoluzione geopolitica che purtroppo non ha più avuto corso. Di questo sentiero interrotto, smarrito da qualche parte tra la riva meridionale del Mediterraneo e le prime sabbie del deserto, è responsabile in buona parte anche la cultura degli ultimi decenni. Lo stesso Nobel, dopo aver giustamente celebrato Mahfuz, ha preferito in seguito distogliere lo sguardo dagli esiti straordinari di autori come il palestinese Mahmoud Darwish e il libanese Adonis, trincerandosi in una superficiale imparzialità che, con il passare del tempo, rende sempre più limitata la prospettiva del premio. Quello aperto dalla Trilogia del Cairo è, al contrario, uno scenario vasto e generoso, all’interno del quale trova posto ogni aspetto della storia egiziana a partire dalla Prima guerra mondiale. Vero è che Ahmad non passa molto tempo in casa, intento com’è a godersi i piaceri che puntigliosamente nega ai familiari, prima fra tutti la sottomessa moglie Amina. Sotto quel tetto, però, convivono le illusioni patriottiche dell’ingenuo Fahmi e le tragiche meschinità del primogenito Yasin, la bellezza irrimediabile della dolce Aisha e la dura tenacia della meno attraente Khadiga, mentre il giovanissimo Kamal stringe un’effimera alleanza con i soldati inglesi incaricati di far rispettare le regole del Protettorato. Amori e passioni, sventure e colpi di scena: servendosi delle malizie tipiche del feuilleton, Mahfuz allestisce una trama che, a quasi settant’anni di distanza, non ha perso nulla della sua attualità. Non fosse che per questo, ce ne sarebbe abbastanza da riportare il suo nome in prima pagina.
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