Non temiamo i dazi di Trump

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Donald Trump continua a minacciare di porre dazi sui prodotti europei, e quindi anche italiani. Non mancano le preoccupazioni ma c’è pure chi non si scompone e anzi invita a non preoccuparsi. Diamo voce a questa corrente di ottimisti, per i quali l’economia deve guardarsi da altri problemi e non sopravvalutare quello dei dazi.

Diminuire il surplus, è la posizione di Fabrizio Pezzani, docente emerito alla Bocconi

Avverte Fabrizio Pezzani, docente emerito alla Bocconi: «Il problema degli Stati Uniti è quello di avere finanziarizzato l’economia reale e la manifattura mediante una sistematica delocalizzazione nei Paesi a più basso costo di mano d’opera, specie quelli in Oriente. Questa situazione ha generato un sistematico deficit della bilancia commerciale che lo scorso anno, nel mese di novembre, ha sfiorato i 100 miliardi di dollari di deficit, a cui ha contribuito il volume del debito pubblico ormai alle stelle, 37mila miliardi di dollari e la bassa propensione al risparmio del Paese. Il piano Trump si propone di ridurre il deficit commerciale. La posizione dell’Europa finora è stata di sudditanza nei confronti delle sanzioni derivanti da una guerra dei dazi che può essere evitata e che sembra avviarsi verso una soluzione simile a quella proposta prima che la guerra incominciasse». Insomma, i dazi non arriveranno o saranno poco incisivi poiché l’Europa accetterà di ridurre il surplus verso gli Usa.

Concorda Marco Simoni, docente di Politica economica alla Luiss

«Non dobbiamo dimenticare che il grosso del capitalismo americano è con Trump. E allora, forzando un po’, se i dazi di Trump innescano una reazione da parte dell’Europa e per questo Tesla, dunque Elon Musk, comincia ad avere difficoltà a vendere auto in Ue, non credo che sia una buona notizia per lo stesso Musk. Questo per dire che tra l’aggressività verbale e la realtà, ce ne corre. E io non credo che Trump voglia danneggiare l’industria statunitense, quella stessa industria che lo sostiene. Non dimentichiamo che l’Europa è un mercato unico gigantesco, più grande di quello americano. All’indomani dell’invasione dell’Ucraina abbiamo avuto la crisi energetica eppure l’abbiamo superata, nonostante sia stato difficile fare a meno del gas russo, da cui il Continente ha attinto per anni. E ci sono dati che raccontano di un Sud d’Europa che va meglio del Nord. Insomma, siamo abbastanza resilienti e resistenti per non dovere avere paura dei dazi di Trump».

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Che l’effetto-boomerang dei dazi finirà per disinnescarli ne è convinto anche l’ex direttore di Confindustria e presidente dell’Aifi, Associazione italiana del private equity, Innocenzo Cipolletta

«Una stretta tariffaria impatterebbe molto più sull’America, che andrebbe incontro a una nuova ondata di inflazione. Quindi i d azi sono una tigre di carta, anche perché l’Europa potrebbe tranquillamente dirottare le proprie esportazioni su altri mercati. Non c’è assolutamente da preoccuparsi. E vale anche per la Cina, che più che un concorrente è solo una grande fonte di esportazioni. Anzi, visto che l’Europa è molto indietro sul fronte delle auto elettriche, potremmo anche immaginare di aumentare le importazioni di veicoli green dalla stessa Cina».

Pure l’economista Giuseppe Russo, docente alla Scuola di amministrazione aziendale dell’università di Torino e direttore del Centro Einaudi non pronostica catastrofi

«Gli Stati Uniti non sono proprio un Paese low cost, anche se l’energia costa molto meno che in Europa e anche se Trump agita la promessa (probabilmente irrealizzabile) di abbassare la corporate tax al 15%. Il dollaro si è apprezzato in termini reali sull’euro, dalla nascita di quest’ultimo, del 37%, quindi difficilmente un industriale europeo sposterebbe una produzione negli Stati Uniti per evitare un dazio del 10 o anche del 25%, peraltro non su tutta la sua produzione, ma solo su quella esportata in America. Con il super dollaro anche il reshoring (riportare a casa le aziende) è destinato a restare una parola vuota. Gli incentivi dell’IRA (Inflation Reduction Act) di Joe Biden miravano esattamente a quello, e sarebbero stati efficaci per insediare in Usa stabilimenti che avessero venduto negli Usa. Ma Trump ha dichiarato che cancellerà l’Ira e la sostituirà con i dazi. Meno spesa pubblica e più entrate nell’erario, secondo lui. Ma sarà proprio così? A dire il vero non proprio. Senza Ira il reshoring non ci sarà. E i dazi sono uno strumento spuntato, che determina guerre, vendette e che non ha quasi mai funzionato».

Che gli imprenditori non abbiano eccessivi timori lo conferma Claudio Feltrin, presidente di Federlegno-Arredo

«Osservando come gli Usa hanno gestito le tensioni commerciali con Messico e Canada appare chiaro che la loro strategia consiste nell’intraprendere una linea dura inizialmente per poi negoziare soluzioni più accomodanti. Questo fa sperare che anche l’Europa, quando sarà chiamata al tavolo delle trattative, possa arrivare preparata. Ma serve tenere alta la guardia».

È tranquillo Giancarlo Guidoli, presidente del Consorzio di tutela del Prosecco Doc

«Non siamo particolarmente preoccupati. Le decisioni non sono nostre ma di terzi, quindi non possiamo far altro che aspettare e vedere dove arriveremo. Per la nostra denominazione e per i nostri 650 milioni di bottiglie anche una lieve flessione negli Stati Uniti, qualora ci fosse, non ci preoccupa perché siamo presenti in tutto il mondo».

Getta acqua sul fuoco Lucio Miranda, laurea alla Bocconi, master alla Stern School of Business della New York University

 Miranda vive negli Usa dov’è presidente di ExportUsa Corp, con cui promuove l’esportazione delle aziende italiane, quindi in prima fila nella questione dei dazi: «Sembrava che la firma degli ordini esecutivi dovesse essere il giorno dell’Apocalisse, e invece i dazi all’Europa non sono stati inseriti. È stata solo istituita una commissione per studiare la situazione. Poi entro 90 giorni verrà prodotto un report e sulla base di quello si discuterà e si deciderà il da farsi. Ma la posizione si è molto addolcita, anche rispetto a Cina, Messico e Canada. Trump vuole negoziare e alla fine i dazi non ci saranno».

Conclude Francesco Giavazzi, docente di Politica economica alla Bocconi

 «La minaccia dei dazi è solo un costoso strumento negoziale che viene usato per indurre l’interlocutore a mettere sul tavolo una contro-proposta. Affrontare una discussione sui dazi minacciando che ad una tariffa sul vino italiano risponderemmo con una tariffa sugli hamburger americani non è quindi una buona idea. Bisogna essere più scaltri, capire che cosa davvero interessi al neo-eletto presidente in questo mandato. E rendersi conto che la sua preoccupazione è legata alla macroeconomia, più che agli aspetti commerciali. L’Ue ha un eccesso di risparmio: investe al proprio interno 350 miliardi di euro in meno di quanto riparmia. Questi 350 miliardi di extra risparmio vengono investiti altrove nel mondo, in progetti certamente redditizi, ma che ci possiamo permettere, come spesso dice Trump, solo perché qualcun altro, e cioè l’America, paga per la nostra difesa. E’ questo il nodo da negoziare e risolvere, altro che dazi».

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