«L’impatto della cannabis non va negato o banalizzato»

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Assistenza per i sovraindebitati

Saldo e stralcio

 




La questione “cannabis” è molto seria per la salute mentale. Purtroppo è banalizzata o addirittura negata nelle sue pesanti implicazioni a medio e lungo termine. Anzi, i movimenti sociali e politici in atto per legalizzarne l’uso negli adulti mostrano bene la strumentalizzazione in corso, che ne amplifica solo gli aspetti positivi, fra cui il rilancio del “mercato ricreativo”. Business is business. A chi interessa se il prezzo in salute è sempre più alto? La cannabis contiene circa 400 diverse sostanze chimiche, di cui oltre 100 cannabinoidi identificati. Tra questi i più attivi sono il delta-9-tetraidrocannabinolo (THC) e il cannabidiolo (CBD). Hanno caratteristiche d’azione quasi opposte: ansiogeno, quindi generatore d’ansia, il THC, mentre il CBD ha un’azione più morbida di tipo ansiolitico, antipsicotico e pro-cognitivo.

Quando si usa la cannabis, i rischi di conseguenze negative sono maggiori soprattutto in due gruppi di persone, maschi e femmine, più vulnerabili alla depressione maggiore (Major Depressive Disorder, MDD), che interessa fino al 15% della popolazione, e al disturbo bipolare (Bipolar Disorder, BD). Quest’ultimo, caratterizzato dall’alternarsi di depressione grave che rimbalza in umore maniacale, esasperatamente euforico, ha una prevalenza dell’1,9%, cui va aggiunto quel 4,6% di persone con un disturbo “sottosoglia”, con più ampia fluttuazione dell’umore di tipo ciclotimico rispetto alla popolazione generale. Il punto: il 20-21,5% della popolazione è quindi vulnerabile a seri disturbi dell’umore che possono essere amplificati dall’uso della cannabis.

L’uso di questa droga considerata “leggera”, e perfino innocua, è in rapida crescita. Oltre 219 milioni di persone la usano nel mondo (dati 2021), con aumento del 21% nell’ultimo decennio. Interessante: la percentuale di persone con disturbi maggiori dell’umore che la usa quotidianamente è maggiore rispetto alla popolazione generale. Di fatto, la usa di più chi è più a rischio di subirne poi gli effetti peggiori, proprio perché è più vulnerabile agli effetti ansiolitici ed euforizzanti, tipici delle prime fasi di uso. Per esempio, uno studio condotto tra il 2005 e 2006 ha dimostrato che le persone con MDD avevano una probabilità di usarla del 30% in più rispetto alla popolazione generale. Tra il 2015 e il 2016 la percentuale è salita al 216%.

Prestito condominio

per lavori di ristrutturazione

 

Quale fonte lo rivela? Un corposo studio di Maryam Sorkhou e collaboratori (Frontiers in Public Health, 2024), che merita di essere condiviso perché interessa migliaia di giovani e le loro famiglie. Gli autori hanno analizzato ben 3.262 studi, di cui 78 così rigorosi e stringenti da meritare una valutazione integrata. Due i risultati più importanti: primo, l’uso di cannabis è associato a un aumentato rischio di depressione e disturbi ciclotimici nella popolazione generale; secondo, a effetti negativi ancora più amplificati nei soggetti già colpiti da questi disturbi.

Depressione maggiore e sintomi maniacali sono condizioni difficili da gestire per il loro pesante e crescente impatto sul profilo di vita, sulle relazioni, sul profitto scolastico e poi sull’inserimento professionale e sociale. Se i dati sono così inquietanti, perché l’impatto della cannabis sul cervello e sulla salute mentale continua a essere banalizzato o negato? Innanzitutto perché la cannabis, come l’alcol, è una seduttrice pericolosa, soprattutto per le persone più vulnerabili. Interagisce infatti con i recettori degli endocannabinoidi, ossia di molecole simili prodotte dal nostro stesso corpo, come una chiave nella serratura. Inserita nella serratura cellulare, la cannabis attiva molteplici processi chimici, agendo sull’ansia e sull’umore. Di fatto sviluppa rapidamente un potente e gradevole effetto ansiolitico: «Mi faccio una canna e mi rilasso un po’». Anche l’umore sorride, per il parallelo effetto che la riduzione dell’ansia ha sullo sguardo con cui si percepisce la vita, con un effetto ancora più piacevole se la fumata è condivisa con gli amici. Ed ecco l’immediata attivazione dei circuiti mentali di ricompensa, quelle aree cerebrali che ci inducono a ripetere un comportamento che ci fa stare meglio, che ci gratifica, che allontana le inquietudini che fanno sentire ai margini della vita e alimentano uno sconfortante senso di sconfitta sociale.

Come tutti i seduttori pericolosi, e le seduttrici, la cannabis intrappola la volontà e crea piano piano un percorso obbligato: il “farsi una canna” non è più una piacevole scelta occasionale, diventa un bisogno pervadente, per affrontare meglio il male di vivere. Purtroppo i cambiamenti indotti a livello cerebrale, le conseguenze in termini di depressione maggiore e disturbo bipolare, e la minore risposta ai farmaci per curarle presentano poi un conto altissimo e a due volti: rende più fragili e più manipolabili. Pensiamoci e non banalizziamo!

www.alessandragraziottin.it

Ultimo aggiornamento: 08:26 © RIPRODUZIONE RISERVATA





Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link

Assistenza per i sovraindebitati

Saldo e stralcio