«Ci vuole molta pazienza…». Antonio Tajani tira un lungo sospiro, mentre si concede i primi dieci minuti di pausa di una giornata stipata di appuntamenti, tra una focaccina e un hummus con verdure nella residenza dell’ambasciatore italiano a Tel Aviv. Preferirebbe parlare del bilaterale appena terminato col suo omologo Gideon Sa’ar, il vicepremier. Del successo del piano della Farnesina Food for Gaza («vogliamo fare ancora di più, l’Italia può dare un contributo enorme sul piano umanitario»). Del colloquio telefonico («in spagnolo») con Marco Rubio qualche giorno fa: «È stata la sua prima telefonata con un ministro degli Esteri europeo – sottolinea – c’è grande sintonia». Ma le polemiche sul caso Almasri, tutt’altro che sopite dopo il pomeriggio infuocato di ventiquattr’ore prima tra Camera e Senato, e le voci di un’inchiesta della Corte penale internazionale sul governo italiano (che poi si rivelano infondate) lo inseguono, inevitabilmente, fino in Israele. Lui, dal porto di Ashdod, ci mette del suo: «Un’inchiesta della Corte sul governo italiano? Forse bisogna aprire un’indagine sull’operato della Corte. Dalla quale dobbiamo avere dei chiarimenti su come si è comportata. Sto al cento per cento con ciò che ha detto il ministro Nordio ieri». Eppure, spiega chi ha seguito il dossier, tecnicamente l’indagine potrebbe ancora arrivare: contro quattro membri dell’esecutivo è stata formalizzata una denuncia, all’Aia.
TONI ACCESI
«Possono fare tutti gli esposti che vogliono… Ci vuole molta pazienza», commenta con una buona dose di irritazione Tajani. I toni insomma restano accesi. Nonostante quel richiamo di Sergio Mattarella arrivato soltanto ventiquattr’ore prima, da Marsiglia, tutto centrato sul ruolo imprescindibile degli organismi internazionali per le democrazie occidentali. E l’Italia, che della Cpi ha ospitato la fondazione a Roma, non rischia di delegittimare l’Alta corte, con quella che somiglia a una dichiarazione di guerra? «Vale quello che vale per l’Europa», replica Tajani. «Non è che se sei europeista devi dire sempre che va tutto bene: criticare non significa essere contro le istituzioni, che sono fatte da uomini». E quindi è «legittimo – prosegue – contestare certi atteggiamenti della Corte che ha preso decisioni politiche. Non è che se obietto che l’Onu si è mossa tardi sull’Ucraina, allora sto mettendo in discussione la nostra partecipazione all’Onu».
Le opposizioni intanto continuano a incalzare l’esecutivo, accusano il governo e la premier Meloni di scappare. Il ministro degli Esteri è convinto che non tocchi a lui, rispondere: l’hanno già fatto i colleghi. Come non commenta l’altro caso su cui il centrosinistra dà battaglia: i giornalisti spiati dal software di un’azienda che – secondo il Guardian – avrebbe rescisso da poco un contratto con il governo italiano. Un tema di cui si è occupato – e si occuperà – direttamente Palazzo Chigi. Ciò su cui invece il capo della Farnesina si sofferma è il piano di Donald Trump di «svuotare» la striscia di Gaza dai suoi abitanti prendendone il controllo.
Per farne, forse, la «riviera del Medio Oriente». La parola d’ordine è «cautela».
«Rubio ha già precisato meglio quelle parole», è il primo commento di Tajani sul volo diretto a Tel Aviv. «E Israele ha sottolineato che nessuna soluzione potrà essere adottata contro la volontà dei civili che abitano la Striscia». Più tardi però il giudizio si fa più netto, diretto. Complice, forse, il sì entusiasta di Matteo Salvini al progetto del tycoon. Un’idea «da premio Nobel per la pace, se ci riesce», interviene il leghista.
Così, pur senza riferimenti al collega («ognuno può dire quello che vuole…»), tocca a Tajani correggere il tiro su quale sia la linea di Roma. «La nostra posizione è chiara», avverte: «L’Italia è attiva perché la tregua possa proseguire verso la soluzione dei due popoli, due Stati». Attraverso «la riunificazione della Palestina, che dovrà riconoscere Israele. E che a quel punto dovrà a sua volta essere riconosciuta». Poi la stoccata: «Ogni altra mossa – mette in chiaro Tajani – in questo momento sarebbe velleitaria, sbagliata e direi controproducente». Il piano di esodo volontario dalla Striscia evocato da Trump invece sembra soltanto abbozzato. «Poco chiaro» e «difficile da comprendere» in questa fase, è il giudizio che trapela dalla Farnesina. Che guarda alle parole del tycoon più come a un contributo di idee, una «volontà di impegnarsi» nella regione in direzione di uno sforzo di pace. Toni diversi da quelli del suo omologo Sa’ar, che invece nella conferenza stampa congiunta ad Ashdod dichiara «fallita» l’esperienza di Gaza e vede negli Usa un «ottimo candidato per ripristinare la Striscia dopo la guerra».
L’UCRAINA E NETANYAHU
Con la Casa Bianca, in ogni caso, Tajani avrà modo di approfondire nella prossima riunione dei ministri degli Esteri del G7 a Monaco, in agenda per sabato 15. «Con Rubio ci confronteremo su Medio Oriente e Russia. Si sono intensificati i contatti tra Mosca e Washington, e questo ha allarmato Zelensky», spiega il vicepremier. Nel frattempo, ironia della sorte, anche da Washington è partito un affondo contro la Corte dell’Aia, per il mandato di cattura emesso nei confronti del premier israeliano Netanyahu, in visita alla Casa Bianca in questi giorni. L’Italia sarebbe costretta ad arrestarlo, se mai venisse in visita a Roma? «E che facciamo, la guerra a Israele perché l’ha detto la Corte penale internazionale?», sbotta Tajani. «O meglio», chiosa con quella che ha tutto il sapore di un’ ultima stoccata all’Aia: «Perché lo hanno detto tre giudici della Corte, uno dei quali poi è andato a fare il presidente del Consiglio in Libano, per dire che il suo nemico principale è Israele?».
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