C’è stato un periodo durante il quale si dava la colpa alla signora Thatcher. Se il gioco languiva, se i Dragoni rimediavano troppe sconfitte e per troppo tempo, se nei pub di Cardiff, di Llanelli o dei paesi delle valli le facce erano immalinconite, la ragione stava nella chiusura delle miniere e dunque della signora di Downing Street che negli anni Ottanta quel traumatico processo aveva guidato. Con la fine delle miniere si diceva se ne fosse andata l’anima del rugby gallese. Ma sebbene vi fossero tanti buoni motivi per dare contro alla Lady di ferro, non vi è dubbio che quella lettura interpretativa fosse un po’ troppo ideologica. Dopo tutto ogni squadra ha i suoi cicli, i suoi momenti di gloria, legati a un insieme di fattori, cui seguono inevitabilmente le fasi di reflusso. Nei primi anni del nuovo millennio la nazionale gallese andava veramente male. Nelle tre edizioni dal 2002 al 2004 dodici sconfitte, tre sole vittorie, un cucchiaio di legno. Pareva la fine di tutto: di una storia fin lì durata centoventi anni, di una identità ben definita. L’anno dopo, 2005, il Galles vinceva il titolo con tanto di grande slam: cessato allarme. Adesso siamo nuovamente nello sprofondo e i fantasmi di un declino irreversibile sono tornati a palesarsi. I Dragoni non vincono un test match dall’autunno 2023, contro la Georgia ai mondiali in Francia. Il 2024 è stato traumatico: cinque sconfitte su cinque nel Sei Nazioni più altre sei rimediate nel tour estivo e nelle serie d’autunno, compreso il rovescio in casa contro Figi. Il 2025 è incominciato in modo ancor peggiore: travolti e umiliati (43 a 0) dalla Francia nel match di apertura del torneo. Warren Gatland aveva presentato un Galles con molte novità e qualche speranza presto naufragata. Adesso c’è l’Italia contro la quale i gallesi hanno perso due degli ultimi tre match, entrambi disputati a Cardiff.
I Dragoni non vincono un test match dall’autunno 2023. Il 2024 è stato traumatico: cinque sconfitte su cinque nel Sei Nazioni più altre sei rimediate nel tour estivo e nelle serie d’autunno, compreso il rovescio in casa contro Figi
DI FRONTE a questi numeri nessuno se la sente di parlare di fine di un ciclo. La crisi del rugby gallese è qualcosa di ben più profondo e investe sia l’aspetto tecnico che quello finanziario. Si è persino scritto che il rugby non attira più, che c’è una crisi di vocazione (orrore!) tra i giovani. Di sicuro si è rotto qualcosa: tra federazione e franchigie e tra queste e i club che sono sempre stati i grass roots del rugby gallese. Tutto questo è triste. Lo è per i gallesi, ovviamente, ma lo è anche per chiunque abbia rivolto lo sguardo alla storia di questo sport venendone rapito. “Il rugby deve essere sempre il nostro patrimonio aristocratico”. La pensava così Carwyn James, bardo, allenatore, insegnante, educatore, intellettuale e tante altre cose. Gallese, sopra ogni cosa. Lo diceva ben sapendo di rivolgersi a un paese di operai e minatori che nel rugby aveva trovato una ragione identitaria. Un paese che alla fine dell’Ottocento aveva dato vita al più forte movimento sindacale del Regno Unito e aveva eletto il primo deputato laburista del parlamento. Un paese nel quale la lotta di classe era il pane quotidiano. Non deve dunque stupire se, come in un tardivo regolamento di conti, la prima vittima del turbo-professionismo sia proprio il Galles: se a comandare sono i fondi di investimento e i flussi di cassa, se la logica è quella di aumentare il fatturato e per farlo bisogna cambiare tutto – regole, calendari, formule –per l’identità gallese nel mondo ovale non c’è posto, è folklore, roba da patrimonio dell’umanità Unesco, una menzione e via. Phil Bennett, che negli anni Settanta fu mediano di apertura della nazionale e di Llanelli, era un giocatore spavaldo e sfrontato, in campo e fuori. Tra le molte cose di lui rimaste celebri c’è anche il discorso di incoraggiamento che rivolse ai suoi compagni prima di un match con l’Inghilterra. Il pep talk di Bennett fu, diciamo così, alquanto incendiario: rammentò qualche secolo di soprusi patiti per mano inglese, il furto dell’acqua, del carbone e dell’acciaio, lo sfruttamento e la repressione, li chiamò “bastardi”. E concluse con “e noi oggi giochiamo contro di loro”. Inutile dire chi vinse: il Galles nel rugby è stato questa cosa qui. E noi sabato giochiamo contro di loro.
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