chi protegge gli agenti violenti nelle carceri

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Chi era al comando durante il pestaggio di stato avvenuto nel carcare di Santa Maria Capua Vetere il 6 aprile 2020, è tornato in servizio. Intanto prosegue il processo a loro carico per decine di capi di imputazione a partire da quello più grave: tortura. E di tortura rispondono anche altri agenti, comandanti, ispettori, vice, che sono tornati in carcere a svolgere il proprio lavoro.

Mentre il governo propone uno scudo per gli agenti, in modo da evitare l’iscrizione automatica nel registro degli indagati di chi appartiene alle forze dell’ordine, nel sistema carcere questo “scudo” già c’è e si chiama Andrea Delmastro Delle Vedove.

Il sottosegretario alla Giustizia è in attesa di incassare la nomina di una sua fedelissima a capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Lina Di Domenico. Una nomina che ha generato non pochi malumori.

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In fondo era stato proprio Delmastro, poche settimane dopo i fatti di Santa Maria, a proporre un economio solenne per i poliziotti penitenziari coinvolti. «Le sospensioni sono materia del Dap, il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, ma non possono essere così discrezionali perché negli ultimi tempi sembrano condizionate anche dal peso sindacale di chi è coinvolto. Ci sono agenti indagati per tortura che lavorano, alcuni neanche sospesi, e altri indagati per traffico d’influenze che hanno dovuto subire mesi di purgatorio, è normale? Mi chiedo giuridicamente come si spiegano questi due pesi e due misure, la confusione aumenta la sfiducia tra i vertici e i sottoposti», dice il sindacalista Aldo Di Giacomo, segretario generale del S.p.p (sindacato polizia penitenziaria).

L’amore dei sindacati

Le indagini per tortura non significano, in alcun modo, responsabilità accertate, ma raccontano in maniera evidente come le sospensioni rispondano a logiche discrezionali, siano di fatto dei regolatori di conflitti per evitare uno scollamento definitivo tra i vertici e i sottoposti. Il tutto in un contesto nel quale alcuni sindacati sono vicini al governo, a volte troppo vicini.

«Noi Delmastro lo amiamo e lo seguiamo», diceva a Domani il sindacalista Raffaele Tuttolomondo, agente penitenziario, segretario di un sindacato con cinquemila iscritti, il Sinappe, ma anche chef e organizzatore di eventi culinari.

C’è chi non solo applaude il governo, ma ha deciso proprio di lavorarci, per portare l’esperienza del sindacato di appartenenza. Se Tuttolomondo tifa e sponsorizza Delmastro, Antonio Fellone, segretario aggiunto del Sinappe, è diventato capo del dipartimento carceri e penitenziaria della Lega. Oltre all’attività sindacale svolge il compito di assistente capo coordinatore della penitenziaria nel carcere di Brescia, ma da due anni ormai segue come un’ombra Andrea Ostellari, sottosegretario alla Giustizia in quota Carroccio. Il sindacato è in costante crescita tra gli agenti.

Dall’Albania a Foggia

Proprio il Sinappe, in una recente riunione al Dap, si è prodigato per chiedere un ulteriore incentivo per gli agenti impegnati in missioni internazionali. Al momento gli unici poliziotti penitenziari sono quelli di stanza in Albania, in realtà già destinatari di uno stipendio più alto e, non per colpa loro, da mesi pagati per guardare una struttura vuota (anche i randagi di cui si occupavano ora non ci sono più).

Sempre del Sinappe è Annalisa Santacroce, segretaria generale del sindacato. Non ha voglia di parlarci e di chiarire. Volevamo chiederle di quanto emerso lo scorso marzo quando è finita ai domiciliari coinvolta in una storiaccia di presunte torture in carcere e omissioni d’atti d’ufficio.

Alla sindacalista viene contestato di aver assistito alle denunciate violenze, avvenute il giorno 11 agosto 2023 nel carcere di Foggia ai danni di due detenuti. Ci sono i video al vaglio dell’autorità giudiziaria. In un fotogramma Santacroce è con un collega all’esterno della cella. «Osservavano inermi quello che i colleghi stavano perpetrando ai danni dei due detenuti. In particolare, emergeva dai video che, in queste fasi le grida diventavano sempre più significative quando, ad un tratto, lasciavano il posto a vere e proprie urla e suppliche di dolore», si legge negli atti.

Quando è stata interrogata ha negato di essersi affacciata nella cella dove era in corso la perquisizione poi sfociata in violenza, una versione che le immagini smentiscono. A settembre è arrivato l’avviso di conclusione delle indagini. Passata la bufera, Santacroce, che si dichiara totalmente estranea alle contestazioni, è tornata a fare la sindacalista e a rappresentare la penitenziaria. È in servizio nel carcere di Ancona. Da tutto questo emerge un quadro confuso e incerto nell’uso del sistema sanzionatorio che aumenta discrezionalità e allontana la trasparenza.

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«Fermo restando i casi di sospensione obbligatoria (quelli disposti dall’autorità giudiziaria, ndr) noi valutiamo posizione per posizione (ciascuna delle quali ha la propria specificità) sulla base delle risultanze dei procedimenti atti giudiziari e il criterio generale che seguiamo è la misura in cui il rientro può nuocere al buon andamento dell’amministrazione», è la risposta del Dap. Una discrezionalità evidente che diventa un elastico piegato alla volontà politica del momento.

Torna Colucci

Il 6 aprile 2020, nel carcere Francesco Uccella di Santa Maria Capua Vetere, è avvenuto un pestaggio senza precedenti. I video e le testimonianze, pubblicate da questo giornale, hanno raccontato l’orrore di quel giorno, l’accanimento degli agenti, l’indecenza del successivo depistaggio.

La gestione del sistema sanzionatorio da parte del ministero della Giustizia è stata criticata da più parti e chiaramente racconta di una confusione e di una discrezionalità evidente. Come ha svelato questo giornale ci sono alcuni imputati, ai quali è contestato anche il reato più grave, quello di tortura, che non sono mai stati sospesi e altri che hanno dovuto subire un lungo purgatorio. Con l’arrivo del nuovo governo delle destre sono tornati definitivamente in servizio tutti i vertici della catena di comando. La responsabilità penale sarà accertata dal processo giudiziario in corso. Mentre il sistema carcere è al collasso, con il ministro Carlo Nordio impegnato a fare la guerra alle toghe, tra suicidi, aggressioni e violenze, qualcosa accade. Il ritorno di agenti, dirigenti, vertici imputati è stato salutato positivamente da alcuni sindacati. Lo scorso luglio Domani aveva dato notizia del ritorno in servizio di Gaetano Manganelli e Anna Rita Costanzo, tra i principali imputati del processo in corso non solo per il pestaggio, ma anche per il depistaggio conseguente.

Era proprio Costanzo, nelle chat sequestrate dagli inquirenti, a imbastire la macchinazione. «Con discrezione e con qualcuno fidato fai delle foto a qualche spranga di ferro… In qualche cella in assenza di detenuti fotografa qualche pentolino su fornellino anche con acqua», scriveva la commissaria capo responsabile del reparto Nilo, a un collega. Foto che dovevano servire, dopo averle retrodatate, a giustificare l’orrenda mattanza. Costanzo, lo scorso dicembre, è stata anche impegnata in una tavola rotonda organizzata dall’ordine dei giornalisti della Campania e da quello dei medici, il dibattito ruotava attorno alla normativa sulla privacy. È andato a comandare il nucleo traduzioni del carcere di Ancona, invece, Pasquale Colucci. Colucci guidava il gruppo d’intervento che ha fatto irruzione al Francesco Uccella. Al ministero è tornato anche Antonio Fullone, lui aveva ordinato la perquisizione straordinaria ed è il principale imputato del processo in corso a Santa Maria Capua Vetere. Sia Colucci sia Fullone sono tornati dopo una lunga sospensione.

Rispondono di decine di capi d’imputazione. Come gli altri sono innocenti fino a sentenza definitiva di condanna. Ma gli uomini comandanti da Colucci, nella perquisizione disposta da Fullone, quel giorno sfregiarono la carta costituzionale e trasformarono la civiltà in barbarie. I video sono lì a provarlo.

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