“Tutti sentiamo costantemente dire che il sistema sanitario non è sostenibile, ma questa insostenibilità probabilmente non è legata solo al suo costo, bensì alla mancata produzione di risultati apprezzabili in termini di salute, sia dal punto di vista diagnostico che terapeutico”.
Un caso concreto per spiegare dove sta andando la sanità in Italia. Inizia così la requisitoria del professor Alessandro Capucci al Convegno ECM e di presentazione della Fondazione TDC19 ETS: “Sanità alla luce dell’esperienza pandemica: strategie di prevenzione e cura”.
“Recentemente, un caso di due mesi fa: una persona di 72 anni, che sviluppa una patologia da Covid, positiva anche al tampone, viene ricoverata dopo 6-7 giorni per dispnea importante, e presenta un classico quadro polmonare con una PO2 bassa e una PCO2 normale. Quindi, un problema trombotico e non da polmonite intestinale vera, un classico caso di Covid, e decede senza essere stato trattato con eparina, nonostante fosse trivaccinato. Questo per dire come uno dei mantra fosse che il vaccino vi impedirà una malattia severa. Ancora oggi, purtroppo, ci stiamo dirigendo in questa direzione.
Quindi, quando si parla di un sistema in crisi e ci viene detto che la sanità è in crisi, è uno dei dibattiti che ascoltiamo tutte le sere.
Crisi, in greco, vuol dire cambiamento, per cui dovremmo già pensare a un cambiamento. Tuttavia, ciò che sentiamo ripetere è rifinanziamo, finanziamo di più ciò che già esiste. Non c’è, dunque, alcuna idea di cambiamento.
Guardiamo brevemente i modelli che hanno affrontato la sanità negli ultimi tempi. Il modello Bismarck, tedesco, nasce nel 1883 ed è una legge di assicurazione finanziata dai singoli con un sistema di deduzione dallo stipendio, un sistema di tipo mutualistico. I medici e gli ospedali, in quel caso, sono legati ai contributi versati, quindi c’è un rapporto do-ut-des.
Il secondo modello, più vicino a noi, è il modello Beveridge, basato su pagamenti singoli attraverso le tasse, con un controllo assoluto dello Stato sul medico, determinando cosa può o non può fare. Questo genera il rischio di overuse, cioè di eccessivo utilizzo di prestazioni, che possono essere anche inutili e non necessarie. Torneremo su questo punto, poiché è uno degli aspetti che considero molto importanti, come si vedrà parlando dell’Health Technology Assessment.
Il terzo modello è quello del libero mercato, americano, basato sulle assicurazioni, dove le prestazioni vengono fornite in base al tipo di copertura assicurativa sottoscritta.
Che cos’è l’Health Technology Assessment? È un sistema per valutare la giustezza delle prestazioni, nato per rispondere all’aumento delle richieste sanitarie della popolazione, con una domanda sempre più rilevante.
In Europa ci sono diversi aspetti di questo sistema, e l’Italia teoricamente ne possiede molti o quasi tutti. Tuttavia, ci sono alcuni aspetti da considerare. Le linee guida o raccomandazioni emanate da agenzie integrate nel processo decisionale politico sono prese fortemente in considerazione dalle istituzioni governative, il che implica una significativa interferenza politica.
Un report viene accettato in base alla credibilità scientifica e indipendenza dell’agenzia che lo produce, ma la pubblicazione di un report post implementazione di una tecnologia può ostacolare la sua diffusione. Inoltre, un report accettato in base alla robustezza dell’evidenza può essere difficile da accogliere se mette in cattiva luce le visioni dei clinici. Infine, i report che trattano principalmente tecnologie emergenti possono mettere in ombra quelle già esistenti, creando una situazione non del tutto obiettiva, con interferenze politiche e commerciali, poiché la nuova tecnologia significa nuovi finanziamenti.
Ad esempio, vediamo come i farmaci antiaritmici siano oggi trascurati perché non hanno un grande mercato: il loro costo è basso, essendo farmaci di vecchia generazione. Tuttavia, negli ultimi anni si è verificato un aumento del loro utilizzo negli Stati Uniti, dove vengono impiegati insieme a procedure ablative per l’aritmia. Quindi, invece di un calo, c’è stato un aumento, rappresentando una discrepanza rispetto a quanto ci si aspetterebbe secondo le regole del mercato.
Le riforme sanitarie italiane nel dopoguerra sono state tre. Attualmente stiamo seguendo la terza, con le leggi 833 e 502. L’Emilia Romagna, come sempre, è stata la prima regione a intraprendere la strada dell’aziendalizzazione della sanità. Contestualmente, sono stati introdotti sgravi fiscali per la sanità privata e un progressivo sottofinanziamento di quella pubblica. Questo processo ha portato alla situazione che viviamo oggi, e gli stessi protagonisti che hanno fondato questa legge oggi affermano che bisogna combattere la privatizzazione, che è stata favorita dalle leggi stesse, come si è visto anche con l’intervento di Draghi.
Nel 1992, già prima della Legge Bindi, si aprì la strada all’aziendalizzazione, con nomine politiche dei leader delle aziende sanitarie e dei primari ospedalieri, creando un sistema di valutazione degli obiettivi focalizzato sui risparmi, anziché sulla qualità delle cure. Più risparmi, più premi.
Infine, l’analisi dell’Oxia del gennaio 2023 mostra come la crisi economica stia esasperando la contraddizione tra risorse e sanità, in particolare nel rapporto tra pubblico e privato, mettendo in pericolo la sopravvivenza del sistema pubblico. Il privato è agevolato fiscalmente, come dimostrato dall’ultimo decreto del governo Draghi. Le proposte per il rifinanziamento del sistema, come quelle avanzate dal CGIL, dalla Regione Emilia-Romagna e dal Gimbe, prevedono di mantenere lo stesso sistema, semplicemente rifinanziandolo, senza alcuna riforma strutturale.
L’ultimo punto riguarda l’integrazione tra territorio e ospedali, come il caso del CAU (Centro di Assistenza Urgente) introdotto in Emilia-Romagna. Tuttavia, anche qui, senza una preparazione medica adeguata alla base, le strutture non sono sufficienti a garantire un sistema efficiente. Questo emerge anche da un recente caso clinico a Bologna: un paziente di 62 anni con colesterolo leggermente alto, normoteso e senza patologie gravi, ha sviluppato dolori al torace e, rivolgendosi al medico di medicina generale, è stato indirizzato al CAU. Il CAU ha suggerito di recarsi al pronto soccorso, dove, dopo una serie di esami negativi, è stata prenotata una visita cardiologica a distanza, lasciando il paziente insoddisfatto, che si è rivolto al settore privato. Questo evidenzia che nessuna struttura è veramente funzionale se non c’è un’adeguata preparazione medica alla base.
I costi della sanità, infatti, sono in gran parte legati all’amministrazione, e la regionalizzazione ha comportato un aumento dei costi. Quando si parla di rifinanziare, bisognerebbe invece parlare di rirazionalizzare, per rendere il sistema sanitario più efficiente e sostenibile.”
Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore.
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