In Italia il ristorante è da sempre un affare di famiglia, un’eredità genetica che si tramanda di generazione in generazione, quasi un tratto distintivo del nostro Dna. L’immagine del “owner-chef” – proprietario-cuoco – con il grembiule macchiato di farina e la penna rossa tra le mani, non è solo un’icona romantica, ma lo specchio di una realtà che ha retto per secoli.
Le statistiche della Fipe lo confermano: oltre il 70% dei ristoranti italiani è gestito direttamente dai proprietari, che nel 65% dei casi sono anche gli chef principali. Ma nell’era della digitalizzazione e della complessità gestionale, questa tradizione rischia di trasformarsi in una zavorra, un freno a mano tirato sulla strada dell’innovazione.
Immaginate di dover essere contemporaneamente direttore d’orchestra, primo violino, addetto alle vendite dei biglietti e responsabile delle pulizie del teatro. Un’immagine paradossale che, tuttavia, riflette la quotidianità di migliaia di ristoratori italiani. Un sovraccarico di competenze e responsabilità che, secondo gli ultimi dati delle Camere di Commercio, contribuisce a un tasso di fallimento dei ristoranti nei primi tre anni superiore al 60%.
L’evoluzione internazionale
Mentre in Italia ci aggrappiamo al modello del “one-man-show”, il resto del mondo ha già imboccato una strada diversa. In Francia, il 70% dei ristoranti stellati ha un manager professionale e non a caso i ristoranti francesi mostrano una longevità media superiore del 40% rispetto a quelli italiani. Negli Stati Uniti, dove il 62% dei ristoranti ha un manager dedicato (dati National Restaurant Association), il tasso di sopravvivenza a 5 anni è del 40%, contro il nostro 25%. Anche la Spagna, con la sua “rivoluzione gastronomica” degli ultimi 15 anni, ha visto un aumento del 20% dei ristoranti gestiti professionalmente e il settore gastronomico, che rappresenta il 27% del PIL nazionale, contribuisce con 375.000 milioni di euro e genera quasi 7 milioni di posti di lavoro (studio KPMG gennaio 2025).
Oltre il 70% dei ristoranti italiani è gestito direttamente dai proprietari
Non dimentichiamo poi che la Catalogna sarà la Regione Mondiale della Gastronomia nel 2025, diventando così la prima regione europea a ricevere questo riconoscimento che conferma il consolidamento di un modello turistico innovativo e rigenerativo, in cui la rivoluzione gastronomica della Catalogna va ben oltre il ristorante e apre le porte alla scoperta del territorio e della produzione alimentare locale con la sua unicità (Assocamereestero 2024).
Il costo di un manager e il ritorno sull’investimento
“Un manager? Costa troppo!”. Questa è la risposta istintiva di molti ristoratori italiani, spaventati dall’idea di un investimento che, in realtà, potrebbe rivelarsi la chiave di volta per il successo. Facciamo due conti: il costo medio di un manager (45-60.000€ RAL annui) rappresenta spesso meno del 7% del fatturato di un ristorante medio. E il ritorno sull’investimento? Secondo uno studio della Cornell University, il ROI medio è del 127% nel primo anno. Grazie a una gestione professionale, la riduzione del food cost può arrivare al 18% e il fatturato medio aumentare del 30%, grazie all’ottimizzazione dei processi e dell’intero sistema di gestione dell’attività.
Soluzioni intermedie innovative e formazione
Per chi non è pronto al grande salto, esistono soluzioni intermedie innovative: “manager in sharing” che seguono 2-3 locali con costi dimezzati, “management consulting on-demand” per un supporto specializzato in fasi specifiche, formazione ibrida che combina teoria e pratica sul campo e piattaforme di digital management che automatizzano parte della gestione.
Il nuovo manager della ristorazione: un “Chief experience officier”
Il nuovo manager della ristorazione, inoltre, non è solo un amministratore, ma un vero e proprio “Chief Experience Officer”. Implementa sistemi di dynamic pricing basati sui big data, gestisce la reputazione digitale e l’engagement sui social, ottimizza i processi attraverso l’automazione intelligente e sviluppa strategie di marketing basate sul comportamento dei clienti.
La sfida della ristorazione italiana
La vera sfida della ristorazione italiana non è preservare la tradizione, ma evolverla. I numeri parlano chiaro: i ristoranti con gestione professionale non solo sopravvivono di più, ma mantengono meglio la loro identità. Perché, quando il proprietario-chef può tornare a concentrarsi sulla sua vera passione – la cucina – è l’intero settore che ne beneficia.
Per quanto ancora la ristorazione italiana può fare a meno di manager professionisti?
La domanda non è più se la ristorazione italiana abbia bisogno di manager professionisti, ma quanto ancora possiamo permetterci di rimandare questa evoluzione. E per chi ancora dubita, un ultimo dato: il 90% dei ristoranti stellati che hanno mantenuto le stelle per più di 10 anni ha un manager professionale. Forse non è un caso.
La verità sul costo del non avere un manager
Le migliori decisioni sono spesso quelle che sembrano andare contro l’intuito. L’assunzione di un manager in un ristorante appare inizialmente come un lusso, un costo aggiuntivo in un settore dai margini già risicati. Ma è proprio questo pensiero che sta tenendo la ristorazione italiana prigioniera di un modello non più sostenibile.
L’assunzione di un manager in un ristorante appare inizialmente come un lusso, ma porta benefici
La verità è che il costo di non avere un manager è molto più alto del suo stipendio. Si nasconde nelle ore piccole passate a fare il bilancio dopo una serata in cucina, negli sprechi invisibili, nelle opportunità mancate, nel burnout dei proprietari che, cercando di essere ovunque, finiscono per non essere veramente da nessuna parte.
Un nuovo paradigma della ristorazione
Il nuovo paradigma della ristorazione non è più basato sull’eroismo del singolo, ma sull’intelligenza dell’organizzazione. Non si tratta di cedere il controllo, ma di guadagnare la libertà di tornare a fare ciò che si ama davvero: creare, innovare, cucinare. Perché alla fine, la vera domanda non è quanto costa un manager, ma quanto costa non averlo. E la risposta, sempre più spesso, è: troppo!
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