ROMA – Almeno 3 miliardi di perdite con i dazi al 10%. Tra i 9 e i 12 se gli Usa imporranno all’Unione Europea tariffe doganali del 20%. Le previsioni degli analisti, dall’Ocse a Svimez, Prometeia, Confartigianato fino al National Board of Trade svedese sono molto pessimistiche. E gli imprenditori italiani molto preoccupati, anche perché sull’export italiano si sono già abbattuti i maggiori costi dell’energia e i rischi geopolitici. Il mercato statunitense vale circa 67 miliardi di euro, e per 43 prodotti, stima un report di Confartigianato, è il primo mercato di sbocco all’estero. Gli Stati Uniti rappresentano il secondo mercato dopo la Germania per valore del nostro export, con un aumento del 58,6% tra il 2018 e il 2023. Nel 2024 gli aumenti maggiore di export italiano si sono registrati per i prodotti farmaceutici (+19,5%), alimentari, bevande e tabacchi (+18%), apparecchi elettrici (+12,1%), macchinari (+3,7%), gomma, plastica, ceramica e vetro (+3,2%), legno, stampa e carta (+2,4%).
I macchinari: Usa primo mercato di esportazione
Dal 2021 gli Stati Uniti sono diventati il primo mercato di destinazione dei macchinari Made in Italy, con esportazioni che nel 2024 ammontavano a 13 miliardi di euro, pari al 12,9% delle vendite all’estero di questo tipo di prodotti. I produttori si sentono però abbastanza sicuri di non subire troppi contraccolpi dai dazi, grazie all’elevatissimo grado di innovazione tecnologica del settore: «In prima battuta ci sarà una tensione commerciale, quindi le aziende faranno un po’ più fatica a vendere- ragiona Enrico Turoni, presidente di Cermac, consorzio per l’export di aziende produttrici di soluzioni e tecnologie per l’agricoltura – ma con l’andare del tempo l’impatto peggiore sarà per i consumatori americani. Il nostro consorzio raggruppa 30 aziende produttrici di alta tecnologia per la filiera ortofrutticola. Noi abbiamo macchine molto più performanti
rispetto alla media, e quindi gli agricoltori americani si troverebbero in difficoltà senza, anche perché la politica Trump sui migranti li ha anche privati di braccianti a basso costo. Non avendo più manodopera a sufficienza, avranno ancora più bisogno di tecnologia, e in particolare della nostra tecnologia. Chiaramente ci sarà una fase iniziale di minor export, ma poi si dovranno adeguare a un maggiore costo, che scaricheranno sui consumatori».
La moda: emergeranno le produzioni artigianali
Maggiore preoccupazione per la moda, che già soffre una crisi dovuta anche al calo di potere d’acquisto dei consumatori americani. «Nel 2024 il valore dell’export moda negli Stati Uniti è di 5,6 miliardi di euro. – spiega Moreno Vignolini, presidente di Confartigianato Tessile – Per le imprese del settore è il 18,7% del totale, le piccole imprese sono anche più esposte, con una quota del 31% delle esportazioni. E quindi l’impatto sarà pesante, soprattutto per le piccole imprese. I grandi marchi della moda possono contare magari su un mercato che non bada troppo ai prezzi».
I dazi arrivano «nel terzo annus horribilis della moda», spiega Vignolini, “con perdite di produttività fino al 10%”. Eppure, potrebbero anche rappresentare un’opportunità di rilancio: «Per le imprese artigiane italiane è il momento di garantire un prodotto di altissima qualità, fatto a mano, su misura, che giustifica i prezzi un po’ più alti, anche a causa dell’aumento dei costi di produzione e dei dazi. Abbiamo appena concluso “Bitti Filati”, con un forte ritorno di compratori dagli Usa. Il clima diffuso è di ottimismo, non solo di facciata. Sul piano della qualità, e della sostenibilità, possiamo essere concorrenziali anche rispetto ai prodotti a basso costo che arrivano dai Paesi asiatici».
Mobili e legno: “Coordinamento con la Ue”
«Tra le prime cinque destinazioni della nostra filiera, e secondo mercato di riferimento – spiega il presidente di Federlegno-Arredo Claudio Feltrin – sono sempre gli USA a performare meglio, almeno in base all’analisi dei flussi commerciali del periodo gennaio-ottobre 2024, con un +3,5% per un valore di quasi 1,8 miliardi di euro». Proprio per questo, argomenta però Feltrin, «è indispensabile che l’Europa si faccia valere e agisca come un mercato unico capace di difendere la sua produzione e la sua forza lavoro. Ricordiamoci che l’introduzione dei dazi non solo fa male al nostro export, ma potrebbe spingere la Cina a individuare l’Europa come mercato di sbocco alternativo». «Una cosa è certa, – conclude – nessuno può salvarsi da solo, si rende pertanto necessaria un’azione corale del sistema imprenditoriale e della politica unite per un comune obiettivo».
L’agroalimentare, perdite fino al 30%
I nuovi dazi, secondo il presidente di Confcooperative Maurizio Gardini, potrebbero tradursi «in una perdita di fatturato per il settore di circa 1,5-2 miliardi di euro annui, considerando che gli USA rappresentano il terzo mercato di destinazione dell’export agroalimentare italiano con un valore di circa 6 miliardi di euro». «Le piccole e medie imprese agroalimentari sarebbero tra le più colpite, – aggiunge – poiché hanno minore capacità di assorbire l’aumento dei costi o di diversificare rapidamente verso altri mercati. Si stima che circa il 30% potrebbe dover ridurre la produzione e l’occupazione, con particolare impatto sui distretti alimentari specializzati su formaggi e vini. L’export – sottolinea il presidente di Confcooperative – è un volano importante della nostra economia soprattutto alla luce della contrazione dei consumi interni. Le imprese per fare margine hanno investito su aggregazione, export e internazionalizzazione. Fare più export per remunerare al meglio i produttori e il territorio».
Il vino: preoccupazioni per l’impatto
“Dal nostro osservatorio i vini, e non solo i nostri ma anche quelli dei concorrenti, segnano numeri negativi. – afferma Paolo Castelletti, segretario generale dell’Unione Italiana Vini – E’ chiaro quindi che l’applicazione dei dazi andrebbe a impattare su un mercato di sbocco che assorbe il 24% dell’export di vini italiani, per il valore di un miliardo e 900 milioni. Un mercato in cui siamo sovraesposti, anche più dei francesi, e dove, a causa dell’inflazione che ha già messo in difficoltà le famiglie americane, non sarà possibile scaricare i maggiori costi sui consumatori”. Un eventuale aumento, dice Castelletti, “ci farebbe uscire dalla fascia di prezzo compresa tra i 10 e i 20 dollari a bottiglia, ritenuta ragionevole dalle famiglie americane. E quindi i dazi sarebbero interamente a carico delle aziende italiane. Se la potrebbero cavare solo i vini superpremio, o quelli servizi al ristorante dove un aumento tra il 10 e il 20% ha un impatto minore”.
I prodotti e i territori più esposti
Dallo studio di Confartigianato, emerge che l’Italia è al primo posto tra i 27 paesi dell’Unione europea per esportazioni negli Stati Uniti per i prodotti della moda e per i prodotti alimentari con 4,0 miliardi di euro e di mobili con 1,6 miliardi. L’Italia è inoltre il primo esportatore europeo negli Stati Uniti sia per la gioielleria che, nell’ambito delle pelli, per le calzature.
In chiave territoriale, le regioni maggiormente esposte sul mercato americano sono la Toscana con un valore dell’export nei settori in esame che è pari al 2,3% del Pil regionale, il Veneto con l’1,9% del Pil, l’Umbria con l’1,3% del Pil, il Friuli-Venezia Giulia con l’1,2%, le Marche con l’1,1% e la Lombardia con l’1,0% del Pil.
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