Per la Cassazione nelle società di persone è socio chi risulta tale dai documenti statutari

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La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 326 dello scorso 8.1.2025, si è pronunciata in ordine al tema dell’imputazione per trasparenza, ex articolo 5, Tuir, del reddito imponibile conseguito da una società di persone ad un socio, che la giurisprudenza di merito aveva potuto appurare essere uscito dalla società anteriormente agli anni d’imposta oggetto degli avvisi di accertamento, anche se l’atto costitutivo della Snc non era mai stato oggetto di aggiornamento rispetto all’originaria compagine sociale. La Ctr aveva in particolare ritenuto che il ricorrente avesse provato sia l’uscita dalla società e sia lo svolgimento di una diversa attività lavorativa, considerando testualmente: ‘effettiva e naturale’ l’estromissione del ricorrente dalla società, ‘anche se formalmente non corretta”.

Per la Cassazione, invece, a fronte del ricorso erariale che invocava la violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 5, Tuir, in relazione agli articoli 2285, 2300 e 2193 cod. civ., sulla premessa che il contribuente (l’ex socio), pur impugnando gli avvisi di accertamento, aveva ammesso di non aver posto in essere alcun atto formale di recesso dalla società, di aver solo comunicato nel 2004 alla Camera di Commercio la cessazione dell’attività lavorativa, in conseguenza di un gravissimo infortunio subito l’anno precedente e di aver ceduto, solo in via di fatto, la propria quota all’altro socio, senza formalizzarne la cessione, riteneva fondato il motivo del patrocinio erariale, assumendo come inopponibile al Fisco la cessione di fatto della quota sociale. Così testualmente per il giudice di Cassazione: “In tema di IRPEF, con riguardo ai redditi prodotti in forma associata, il socio di società in nome collettivo che non provveda tempestivamente – in conseguenza di recesso, esclusione, cessione della quota – a richiedere l’iscrizione nel registro delle imprese della modifica dell’atto costitutivo, o non provi che l’amministrazione finanziaria ne fosse a conoscenza, non può opporre, ai fini dell’applicazione dell’imposta sul suo reddito di partecipazione, la perdita della qualità di socio non iscritta e non comunicata“.

Sempre per il giudice di Cassazione, la perdita della qualità di socio nelle società di persone, integrando una modificazione dell’atto costitutivo (specificamente per la società in nome collettivo, articolo 2295 cod. civ.) è soggetta ad iscrizione nel registro delle imprese a pena di inopponibilità ai terzi, a meno che si provi che questi ne fossero a conoscenza (articolo 2300, comma 3, cod. civ.). Così il regime di cui agli articoli 2290 e 2300 cod. civ., in forza del quale il socio di una società in nome collettivo che cede la propria quota risponde, nei confronti dei terzi, delle obbligazioni sociali sorte fino al momento in cui la cessione sia stata iscritta nel registro delle imprese o fino al momento anteriore in cui il terzo sia venuto a conoscenza della medesima, è di generale applicazione, non riscontrandosi alcuna disposizione di legge che ne circoscriva la portata al campo delle obbligazioni di origine negoziale, con esclusione di quelle di fonte legale. Tanto premesso, conclude la Cassazione, in forza delle previsioni di cui agli articoli 2207, 2290 e 2300 cod. civ., il socio di una società in nome collettivo che abbia perduto tale qualità risponde, nei confronti dei terzi, delle obbligazioni sociali sorte fino al momento in cui la cessione sia stata iscritta nel registro delle imprese o fino al momento (anteriore) in cui il terzo sia venuto a conoscenza della cessione (ed è appena il caso di rilevare), sottolinea sempre il giudice di legittimità, che l’Amministrazione finanziaria assume la posizione di soggetto terzo rispetto al rapporto sociale. L’indicata pubblicità costituisce, dunque, fatto impeditivo di una responsabilità altrimenti normale per le obbligazioni sociali del socio.

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Corretta ricostruzione didattica sul fronte civilistico della Corte di cassazione in ordine al regime della responsabilità del socio per le obbligazioni sociali contratte dalla società, ma di nessuna pertinenza causale in ordine all’obbligazione tributaria che il meccanismo impositivo della trasparenza riversa nella sfera fiscale personale del socio, per la ragione, persino elementare, che l’obbligazione tributaria del socio non è un’obbligazione sociale.

Per la delineazione strutturale della soggettività rilevante per il diritto tributario non basta una funzione prettamente strumentale rispetto al prelievo fiscale, come quella perseguita dalla società di persone, in quanto l’individuazione del centro soggettivo si raccorda con il solo effettivo possessore dell’indice della capacità contributiva tassabile, che nel rapporto d’imposta società di persone – socio s’incentra nei soli confronti di quest’ultimo. Il possesso del reddito che configura il presupposto d’imposta sia dell’Irpef (articolo 1, Tuir) e sia dell’Ires (articolo 72, Tuir), costituisce il criterio di collegamento dell’obbligo impositivo con la persona (fisica o giuridica) e trova, nella titolarità di situazioni giuridiche soggettive in ordine al reddito prodotto, la sua fondamentale prerogativa. Non è il possesso materiale della ricchezza alla base dell’individuazione del centro soggettivo, ma il dominio giuridico che il centro soggettivo esercita sul reddito, disponendone secondo unilaterali facoltà potestative. Il principio della personalità alla base delle imposte sui redditi richiede il riscontro imprescindibile di concreti criteri di interazione tra l’elemento oggettivo del presupposto e il soggetto. Nella sentenza della Corte costituzionale n. 201/2020 è dato testualmente rinvenire il passo del tutto dirimente la questione in controversia:

“3.1. – … Le società di persone residenti e gli enti ad esse assimilati non costituiscono un autonomo soggetto passivo d’imposta, ma sono assunti alla stregua di centri di riferimento per la determinazione del reddito, che viene attribuito ai soci (autenticamente e non apparentemente assumibili come tali) al termine dell’esercizio.”.

L’obbligazione tributaria non potrà mai essere prevaricata da inadempienze meramente formalistiche, perché presidiata dall’ineludibile principio della capacità contributiva, per cui una volta appurata la mancanza del raccordo costitutivo tra il presupposto d’imposta ed il centro soggettivo di effettivo riferimento, i presidi costituzionali del prelievo fiscale non consentono di tutelare con forme supplettive il diritto erariale nei confronti di soggetti estranei alla dinamica dei fatti economici.

Nel caso in esame, la giurisprudenza di merito aveva appurato la fuoriuscita del socio dalla compagine sociale ed il trasferimento, sia pure di fatto, della quota ad un socio subentrante, per cui il ricorrente non assumeva più la condizione di socio alla data del 31 dicembre dell’anno d’imposta in questione, interrompendosi, consequenzialmente, la necessaria interazione soggettiva alla base della dinamica impositiva della trasparenza fiscale e degli stessi fondamenti giustificativi adotti dalla citata Corte Costituzionale nell’indagine sulla sua conciliabilità con i principi di governo costituzionale dell’obbligazione tributaria (sentenza n. 201/2020)

Neppure sul piano più prettamente societario e dei principi che la Cassazione intenta di perseguire con l’ordinanza in commento appare più di tanto incisiva (a parte la totale inconcludenza della disamina prospettata in ordine al regime civilistico delle obbligazioni sociali) in quanto:

  • omette di considerare che nel corredo normativo della società di persone manca del tutto una norma ricalcante quella prevista per le società di capitali in ordine all’efficacia e pubblicità delle partecipazioni (articolo 2470 cod. civ.);
  • che la cessione della quota di una società di persone costituisce un negozio a forma libera, non richiedente la forma scritta “ab substantiam” (C. Conforti, “La società in accomandita semplice” Giuffrè Editore, Trib. Vercelli 4.7.1990).
  • che le iscrizioni al Registro delle Imprese per le società di persone hanno effetto soltanto dichiarativo e non costitutivo, per cui la mancata iscrizione non pregiudica la validità e l’efficacia del contratto sociale e delle sue articolazioni come venutesi a definire nel concreto.

Conclusivamente, la sentenza appare sin troppo cautelativa nei confronti del Fisco, ma come l’Amministrazione finanziaria, per detta valutativa della stessa Corte di cassazione, va trattata alla stregua di un qualsiasi terzo, si ritiene che debba essere condiviso che anche il Fisco debba essere considerato come un qualsiasi terzo, senza la concessione di franchigie o presunzioni non previste dalla legge. Assumere un’apparente fonte informativa alla base di un’imposizione del tutto antitetica all’autentica manifestazione d’imposta, significa solo convalidare un’irrazionale sanzione costituita da anomali addendi rappresentati dall’imposta corrispondente ad un inesistente fatto economico, dalla sanzione commisurata all’imposta liquidata sull’inesistente fatto economico e da oneri finanziari raccordati ad un diritto erariale giustificato a monte da un inesistente fatto economico. Inutile sottolineare che non è questa la democrazia del rapporto d’imposta pensato in Costituzione.



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