Dev’essere iniziato sugli alberi, tra i primi ominidi dubitanti che esprimevano la loro ritrosia con vaghi mormorii di dissenso, e con i fratelli affamati, i primi a sollevarsi confusi sulla terra ferma, lontano dalla vertigine delle foglie, per afferrare cibo e gravità. Umberto Eco li chiama apocalittici e integrati, i primi in preda al terrore del futuro, dispettosi nei confronti della novità, volenterosi di trascinare al suolo le idee vaganti nell’atmosfera del divenire, mentre i secondi remano controcorrente, salpano con carabattole dondolanti per arrivare sulle rive del successo. Eccola, l’eterna lotta tra passato e futuro che ribolle nel sangue delle generazioni, che si muta nella forma mentis di chi pensa e anche, o soprattutto, di chi agisce d’istinto. Nell’uomo senza qualità di Robert Musil, tra le impalcature imperiali che lasciano già intravedere il disegno del tracollo, il pensiero austriaco si divide in senso del reale e senso del possibile. Il senso del reale analizza la realtà, fa passare il superfluo in cavalleria, reagisce allo stimolo con una risposta calcolata per economia, per esperienza, per salvare fino allo stremo il margine del profitto. Il senso del reale è legato alla realtà materiale, alla sua inevitabile consequenzialità; ma tanto preciso riesce a rivelarsi nella costruzione del presente, tanto sbadato si fa quando è costretto a fare i conti con l’imprevedibile.
È il dato y che non dipende dal fattore x, e che sconcerta il matematico in fervente e religiosa attesa di una variabile dipendente che non è scontata, soprattutto quando si tratta di futuro. Soprattutto quando si tratta di possibile. E del resto, il senso del possibile reinventa la realtà, sublima il reale in favore dell’irreale e affida all’idea il potere di realizzare la realtà, di costituire dagli atomi prima le forme e poi la sostanza, in un gioco di specchi che finisce in un pozzo profondo, lo si chiami mondo iperboreo o iperuranio.
I primi ominidi aggrappati saldamente ai propri rami hanno forse criticato anche il fuoco, spaventati come mai in vita loro, messi all’angolo come pugili stremati dai rivoluzionari con le torce fiammanti in pugno. Forse hanno difeso le loro primitive divinità alzando austeri l’indice primitivo all’antico cielo dove non era possibile l’accesso agli uomini, per ricordare loro il potere distruttivo della realtà. E, forse, sempre questi hanno esultato al primo incendio, alla prima cava che sputava fuoco: cavernicoli fumanti per difendere la loro incontrovertibile opposizione al fuoco. E quando la prima ruota è scivolata sulla sabbia africana, devono aver sentito drizzarsi in capo gli antichissimi capelli, gli antichissimi peli d’oca sulle braccia. Perché il reale è un porto sicuro, mentre il possibile è un porto di nebbia. Eppure, entrambi si muovono, scricchiolano, si allungano, si modificano fino a confondere la propria morfologia. Ecco, similmente, che ora come allora l’intelligenza artificiale spaventa, i social spaventano; il fuoco e la ruota, l’aeroplano e la penicillina, spaventano. E Internet somiglia a un Mefistofele dalle braccia infinite, a una macchina sbizzarrita che si mette in moto per mezzo di comandi indecifrabili quali algoritmi casuali e foto di gattini.
La consumazione di massa spaventa, ma solo i non consumati: il marcire del cervello, in inglese brain rot, eletta parola del 2024, spaventa coloro che hanno protetto il cervello e che lo difendono dai social zombie, dalle notizie zombie, dalle idee zombie. La morte di Dio invocata da Nietzsche si è concretizzata in una resurrezione, sullo stile degli American Gods di Neil Gaiman, dei americani. Ovvero, la trasformazione in poteri divini della globalizzazione, della rete globale, del denaro e dei social. Zeus con la tunica saettante di emoji non è una visiona profana nel 2025. I valori sono stati rimpiazzati bene dal progresso, nonostante gli scettici. Perché il progresso non si può fermare, il fuoco non si può spegnere, la ruota non si può fermare, l’aeroplano non può recidersi le ali. Come Internet non ha diritto di riposare, come i social non possono dormire i sogni del black out e dello sciopero perché l’ultima volta sembrava fosse finito il mondo. E così gli apocalittici, coloro che hanno il senso del reale, cominciano a confondersi, a moltiplicarsi. E dall’altra parte, gli integrati perdono la loro coscienza, accecati dalla fame. Quando sono scesi dagli alberi, quando hanno domato il fuoco, ignoravano il potere della dopamina. La società occidentale si polarizza secondo principi per lo più inconsci, ma la realtà delle tematiche non cambia: ciò che cambia è il potere d’espressione, che si assottiglia, si nasconde dietro al generale appassimento dei lessici, dei dizionari che sono andati dal dietologo e ora seguono un regime di stecchetto. Le lingue si arricchiscono per impoverimento. Ma non c’è tempo per invertire la tendenza, allora bisogna investire nel futuro. I nostri discendenti, armati di intelligenze artificiali, tecnologie degne di dinastie ultraterrene e allarmi psicologici da catastrofe mondiale, alzeranno di nuovo le loro dita al cielo antico, antichissimo, violato dai bolidi umani, per recitare l’odiosa parte di Catone il Censore in massa. Ma è probabile che non riescano a proferire parola, afoni come i loro predecessori tra le frasche, muggendo nella loro lingua fatta di meme e tastiere spiffettanti. Per chiudere finalmente il ciclo. Come una cerniera.
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