Produrre elettricità dal calore, sfruttando la fisica per creare chip in grado di generare energia elettrica per altri dispositivi senza utilizzare batterie. È quanto ha messo in pratica un team di ingegneri elettronici dell’Università di Pisa, gettando le basi per una scoperta che apre le porte a dispositivi capaci di autoalimentarsi, basandosi su un elemento biocompatibile e abbondante in natura come il silicio, secondo solo all’ossigeno sulla crosta terrestre.
Il principio su cui si basa il loro lavoro è per molti aspetti unico al mondo, ma non opera solo a livello nanometrico. Un secondo filone di ricerca sta cercando di raggiungere delle economie di scala per produrre e convertire il calore in energia elettrica.
Tutto si basa sulla possibilità di sfruttare il calore, spesso sprecato. Si consideri che il 70% del calore prodotto per l’energia elettrica, nelle industrie, viene disperso. Ecco, allora, che la ricerca italiana condotta dagli scienziati dell’ateneo pisano apre a prospettive di enorme importanza, per l’elettronica e non solo.
Come produrre un chip in silicio nanostrutturato
Il primo filone della ricerca si basa sulla produzione di un chip in silicio nanostrutturato in modo da trasformare un dispositivo che solitamente consuma energia, per svolgere diverse attività, in uno capace di produrla. Il principio in base al quale si produce energia dal calore è noto da molto tempo, ed è il principio della termoelettricità. Fu Alessandro Volta, alla fine del XVIII secolo a rilevare il collegamento esistente fra elettricità e calore. È un principio alla base dei sensori, come le termocoppie. Queste ultime, però, producono un piccolissimo segnale elettrico a partire dal calore, più che sufficiente per effettuare la misura della temperatura, ma non certo per pensarla come sorgente di alimentazione.
“C’è uno sforzo, in tutto il mondo, di aumentare questa efficienza di conversione del calore e dell’energia con l’effetto termoelettrico. Quella messa a punto dal nostro team di ricerca guarda alla possibilità di usare la nanostrutturazione”. A introdurci sul lavoro svolto è Giovanni Pennelli, docente di elettronica al Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione (DII) dell’Università di Pisa e coordinatore del gruppo di ricerca.
È sempre lui a spiegare come il team – da anni, il gruppo di ricerca del DII studia l’uso del silicio per la produzione di energia elettrica – sia riuscito a creare le condizioni per convertire il calore in energia elettrica. “La termocoppia non è efficiente per trasformare il calore in energia elettrica perché è realizzata in metallo, che conduce bene il calore, non permettendo di sfruttarlo per conversione in energia elettrica. Invece la nanostrutturazione consente di sdoppiare la conduzione elettrica da quella termica. Quindi, se si prende un nanofilo di silicio, da 100 nanometri di diametro, e si fa passare la corrente elettrica, essa lo percorre senza problemi, fungendo invece da isolante dal punto di vista termico”. Quindi, questa unione di isolante termico e buon conduttore elettrico, fa sì che l’efficienza di conversione di una buona parte del calore che attraversa il dispositivo sia tale da essere tradotto in energia elettrica, in modo economicamente conveniente.
“Le nostre tecnologie, in teoria, sono compatibili con quei circuiti integrati e quindi possono essere usate per realizzare piccoli dispositivi in grado di alimentarne altri”.
Il secondo filone è altrettanto interessante. In una ricerca svolta in collaborazione con le Università di Warwick e di Milano-Bicocca, pubblicata sulla rivista “Nano Energy” i ricercatori hanno dimostrato che l’efficienza del silicio nel produrre energia può essere quasi triplicata rispetto a quanto supposto finora. Lo stesso docente conferma la bontà della ricerca: “lavoriamo in parallelo con un’altra tecnologia in grado di raggiungere delle economie di scala per produrre e convertire il calore in elettricità”.
Una ricerca di interesse mondiale
Qual è l’elemento peculiare della ricerca dell’ateneo pisano che la rendono per molti aspetti unica a livello mondiale, in tema di conversione di elettricità dal calore? “I dispositivi termoelettrici, come detto, esistono già da tempo. Si pensi, per esempio, alle celle di Peltier. Essi si basano, però, sul tellurio. Oltre a essere tossico, è un elemento raro in natura. La nostra proposta, basata sul silicio, intende proporsi come valida alternativa, contando sul fatto che il silicio è un materiale molto abbondante sulla Terra. Inoltre, è ecosostenibile, oltre che economico, ed è tecnologicamente maturo per l’impiego e per modificare la conducibilità elettrica in maniera controllata. La valenza della nostra ricerca è che per primi abbiamo dimostrato l’implementazione nella linea di produzione dei circuiti integrati, mettendo insieme numerose nanostrutture in silicio, connettendole in maniera opportuna, studiando la distribuzione del calore, e creando le condizioni per l’ottimizzazione della potenza elettrica”, specifica ancora Pennelli.
Il chip messo a punto dal team dell’Università di Pisa si basa sugli stessi principi di quelli tradizionali, a parte la modifica pensata per la termoelettricità. La linea che sta sviluppando impiega processi di metal assisted chemical etching, ovvero un processo di incisione chimica di semiconduttori che vede l’impiego di un catalizzatore metallico, solitamente depositato sulla superficie di un semiconduttore sotto forma di film sottile o nanoparticelle. Grazie a questo processo di litografia hanno realizzato un dispositivo di 5 millimetri quadrati, sufficiente per alimentare un nodo sensore.
“Pensando agli impieghi tipici di Industria 4.0, dove l’impiego di sensori è ampio, il nostro dispositivo on-chip assume una grande valenza poter pensare a dispositivi autoalimentati, senza bisogno di batterie. Per il secondo filone di ricerca, siamo alla ricerca di un investitore disponibile per lo sviluppo dimostrativo su grandi aree, con costi comparabili a quelli di pannelli fotovoltaici”.
Generare elettricità dal calore. I nodi da sciogliere e le potenzialità future
Il team di ricerca dell’ateneo pisano ora guarda avanti per la conversione in elettricità dal calore. Sul filone del dispositivo on-chip, “siamo abbastanza avanti. Il dispositivo termoelettrico c’è, manca la parte meccanica di assemblaggio, relativamente semplice rispetto a quello che è già stato fatto – spiega il coordinatore –. Per quanto riguarda, invece, la tecnologia di più ampia scala, occorre dimostrare la fattibilità su superfici più ampie di quelle condotte. Finora, infatti, si è lavorato su soluzioni di qualche centimetro quadrato e provata la scalabilità. Ora serve mettere a punto una linea pilota che produca dispositivi su aree di decimetri quadrati, verificando costi, fattibilità di fabbricazione e la caratterizzazione e l’efficienza. I risultati ottenuti finora sono stati eccellenti e molto promettenti”.
Le potenziali applicazioni del primo filone possono portare a dispositivi che rendano autonomi dal punto di vista energetico componenti come i sensori.
Inoltre, il dispositivo termoelettrico potrebbe trovare applicazione anche per raffreddare le superfici, quindi non solo come generatore ma anche integrato in sistemi che si riscaldano durante il funzionamento, come enormi data center. In questo caso, la ricerca è stata condotta in collaborazione con IMB-CNM, CSIC di Barcellona, ed è stata pubblicata con un articolo sulla rivista scientifica “Small”.
Il filone su larga scala, dal punto di vista delle potenzialità, potrebbe permettere sfruttare al meglio il calore oggi prodotto e disperso in molteplici ambiti industriali. Solo per fare un esempio: l’industria cartaria, per produrre un metro cubo di carta, pesante una tonnellata circa, genera 2-3 MW di energia termica di 200 °C che potrebbero essere sfruttati grazie a generatori termoelettrici, aprendo a possibilità di grande interesse.
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