La crioconservazione degli ovociti come “social freezing”. Ecco perché è una pratica barbara

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Il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, lo ha annunciato con grande enfasi, quasi alla stregua di un passo avanti epocale per l’umanità: ovvero che alle donne pugliesi di età compresa tra i 27 e i 37 anni, con un Isee inferiore ai 30mila euro, sarà consentito di congelare i propri ovociti nel caso in cui debbano sottoporsi a terapie che rischino di renderle sterili.

La decisione di Emiliano

Per questa pratica, la Regione ha assegnato una dotazione di 300mila euro, tramite l’approvazione del Bilancio per la «preservazione della fertilità per fini sociali Social Freezing», altresì detta crioconservazione. Per il presidente Emiliano si tratta di «un provvedimento che sicuramente ha a che fare anche con il salvaguardare la maternità e le nascite, diventato un evento sempre più prezioso, ma è soprattutto un gesto di attenzione e di cura nei confronti di tutte le donne di questa regione che sono un pilastro fondamentale ogni attività: dal lavoro, alla cura degli anziani ed educazione dei bambini». Ma siamo davvero di fronte a un progresso della scienza, che andrà a lenire tanti corpi e cuori feriti? 

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L’esperto: «Questione complessa, ma il social freezing è barbaro»

Filippo Maria Boscia, ginecologo, già presidente dell’Associazione Medici Cattolici Italiani (Amci), invita a razionalizzare la questione, ponendo dei distinguo molto rilevanti. La criobiologia, spiega lo studioso a Pro Vita & Famiglia, è un «campo molto complesso», paragonabile a un «diamante, da un lato splendente e dall’altro tagliente, è una disciplina di frontiera che si inserisce in un ambiente nuovo, difficile e pieno di trappole». Da tempo il professor Boscia si occupa di crioconservazione, rivolgendo il proprio interesse a quei pazienti che, affetti da tumori ad alta o intermedia malignità, necessitano proprio per le loro patologie neoplastiche di varia natura di affidarsi a questa tecnica, atteso che le chemioterapie e le radioterapie possono compromettere irrimediabilmente la funzionalità gonadica. «Queste persone, uomini e donne», afferma Boscia, «potrebbero trovare vantaggi, da programmi di crioconservazione di cellule o di tessuti gonadici perché si possa preservare in loro la possibilità di avere un figlio dopo il cancro». Dunque una pratica ammissibile perché prevede, sì, la crioconservazione, ma nell’ottica che gli ovociti siano poi nuovamente impiantati nel corpo della donna, senza dunque ricorrere alla cosiddetta “fecondazione in vitro”, che è e rimane inammissibile. In tal senso, dunque, ad avviso del presidente emerito dell’Amci, la crioconservazione è «eticamente ammissibile», in quanto viene svolta «a scopo precauzionale ed è una pratica clinica che permette di preservare la fertilità in uomini e donne per un futuro post malattia». La prassi ormai comune che, invece, non è condivisibile, secondo Boscia, è «il social freezing non legato a problemi sanitari ma ad imposizioni aziendali e lavorative, che impone alle donne di rinviare progetti di maternità per il rispetto di un welfare aziendale economicistico». Si tratta, in questo caso, di una procedura «certamente barbara e non condivisibile, anzi vera e propria schiavitù alla quale andiamo a sottoporre la donna e l’uomo, quasi per ricatto rispetto alla possibilità lavorativa, a loro offerta». Siamo così di fronte, commenta Boscia, a un «ulteriore condizionamento imposto dal post capitalismo, che giunge a stagionalizzare le nascite o a scegliere i tempi opportuni. Questa trasformazione culturale, parecchio agghiacciante, che va alla ricerca del momento migliore per diventare genitori, ha creato un vero e proprio mercato della crioconservazione di ovociti e sperma, ma anche embrioni». C’è, tuttavia, anche un’implicazione di carattere pratico, legato all’efficacia della crioconservazione: «Occorre che si sappia», rimarca Boscia, «che i gameti conservati in azoto liquido certamente non conservano tutta la loro energia e molti campioni prelevati si rivelano inadatti ad essere utilizzati a causa di una significativa perdita della loro intrinseca funzionalità». In una meta-analisi del 2013 di oltre 2.200 cicli utilizzando ovociti congelati, infatti, hanno scoperto che la probabilità di avere un parto vivo dopo tre cicli era del 31,5% per le donne che hanno congelato gli ovuli all’età di 25 anni, del 25,9% a 30 anni, del 19,3% all’età. 35 e il 14,8% all’età di 40 anni.  In ogni caso, ribadisce lo studioso, «l’agire per salvaguardare un’eventuale desiderio di genitorialità del futuro, attivando la crioconservazione pianificata dei gameti, solleva importanti e complesse questioni bioetiche, politiche e sociali».

Il business miliardario della crioconservazione

C’è poi il risvolto dell’interesse economico. Da un lato, alle grandi multinazionali fa gioco ritardare la genitorialità dei propri dipendenti (specie quando donne). Facebook è stato il primo colosso del web a offrire alle lavoratrici, come benefit, la possibilità di congelare gli ovociti per rinviare i progetti di maternità al momento più adatto. Hanno seguito l’esempio Apple, Google, Uber, fino a che la crioconservazione degli embrioni non è diventata la prassi comune tra i colossi della Silicon Valley. Con grande giubilo delle cliniche private specializzate in tecniche riproduttive. «In pochi anni il mercato della crioconservazione degli ovociti, o congelamento di ovuli, è esploso, arrivando a superare i 5 miliardi di dollari», fa notare Boscia. Quanto all’Italia, ricorda il docente, il congelamento è gratuito in ambito oncologico, «con un costo standard di circa 3 mila euro per il prelievo degli ovociti, ma la conservazione prevede un contributo annuale per le spese di crioconservazione pari a 200 euro all’anno». In Italia, le banche pubbliche sono pochissime, mentre in quelle private i costi sfiorano anche i 10mila euro.

In Puglia una marchetta elettorale

«L’utilizzo di queste tecniche al di fuori di contesti strettamente medici», afferma Boscia, «rappresenta un’indebita pressione sulle scelte riproduttive dei giovani e comporteranno diseguaglianze nell’accesso a queste procedure e costi sociali elevati. L’autonomia riproduttiva, pratica molto in voga soprattutto negli Stati Uniti, incontra la mia netta opposizione». Per Boscia, l’iniziativa di Emiliano per lo stanziamento di 300mila euro l’anno per il social freezing, oltre che non condivisibile, è una «boutade pre-elettorale». I politici, sostiene il ginecologo, dovrebbero piuttosto «preoccuparsi di mettere in condizione le donne di avere un figlio a prescindere dalla loro situazione lavorativa/sociale potendo contare su normative di flessibilità del lavoro senza rinunciare alla maternità che desiderano». Sarebbe meglio, dunque, che «la scelta di diventare madri vada a coincidere con il momento di maggiore fertilità della donna ovvero tra i 25 e i 35 anni e che questa scelta sia naturale», senza passare per «artifizi tecnici assolutamente intollerabili, rischiosi, costosi, strumentali da far west ad alta immoralità», conclude Boscia. 

 

 

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