Canda, Cina e Messico sono già nel mirino dell’Amministrazione Trump, la UE a quanto pare lo sarà presto. Quali conseguenza può avere tutto questo per l’IT?
Dal punto di vista economico, la notizia di queste ore è certamente l’imposizione, da parte degli USA, di dazi sulle importazioni di prodotti da Cina, Messico e Canada. La vicenda non interessa direttamente noi da questa parte dell’Atlantico, ma indirettamente sì. E comunque quello che vediamo accadere in questi giorni è probabilmente una anticipazione di quello che interesserà anche l’Unione Europea a breve-medio termine. In fondo ad affermarlo è stato lo stesso Presidente Trump, secondo cui i dazi anti-UE arriveranno “certamente”: non c’è una scadenza definita per questo ma sarà “piuttosto presto”.
In generale le affermazioni di Trump non costituiscono una certezza granitica, ma l’imposizione di dazi contro i prodotti e i servizi UE importati negli Stati Uniti non è affatto improbabile. Anche se non sarebbe una decisione da poco, perché la UE è il principale esportatore verso gli USA sia di prodotti sia di servizi, come anche il principale importatore di prodotti e servizi statunitensi. Le somme in gioco sarebbero quindi molto, molto elevate: secondo le cifre ufficiali dello US Trade Representative, gli Stati Uniti importano beni e servizi dall’Europa per 723 miliardi di dollari ed esportano per 592.
Considerando il mercato IT, le dinamiche che i dazi USA, attuali e ipotetici, potrebbero scatenare sono molteplici. In primis, i dazi già attivati contro Cina e Messico avranno l’effetto diretto di aumentare il costo della produzione dei prodotti IT. Il ruolo chiave della microelettronica cinese è più che noto, magari meno noto è che anche sanzionare il Messico ha effetti in campo IT: alcune aziende cinesi hanno delocalizzato la produzione in quel Paese, proprio per aggirare i dazi e le sanzioni dirette contro la Cina vera e propria.
È difficile fare stime precise dell’impatto dei dazi USA sul costo dei prodotti tecnologici, specie quando si tratta di prodotti B2B. In campo consumer esistono però quantomeno le stime di inizio anno della Consumer Technology Association statunitense, secondo cui i dazi (allora solo promessi) di Trump causerebbero un crollo del 68% negli acquisti di laptop e tablet e del 37% per gli smartphone. Cifre elevate ma da rivedere al ribasso, perché a inizio anno si temevano dazi contro la Cina ben più alti dell’attuale 10%.
Qualsiasi aumento dei prezzi dei prodotti IT colpirà ovviamente anche i clienti europei. Che potrebbero subire un rincaro più elevato se veramente gli USA decidessero di imporre dazi anche ai prodotti UE e l’Unione rispondesse con suoi propri dazi. Far aumentare il costo dell’IT aziendale anche solo di un 20-25 percento, tra dazi e contro-dazi, non aiuterebbe nessuno e rischierebbe di affossare molti progetti di digitalizzazione.
Il caso dei chip
Un ragionamento particolare lo merita il campo della microelettronica. Le sanzioni contro la Cina sono anche un modo per spingere le aziende orientali che producono chip a creare fabbriche e posti di lavoro negli Stati Uniti. Qualcosa era stato già fatto grazie ai fondi del Chips Act, ma ulteriori sviluppi di peso non sono probabili nell’immediato, perché avviare nuove produzioni in microelettronica richiede non solo investimenti ma anche un considerevole tempo. E i nomi interessanti in grado di fare questa mossa non sono rimasti poi molti.
La microelettronica non rappresenta tutta l’IT, ovviamente, ma è un caso di studio interessante anche nel capire se – come al momento pare – l’Amministrazione Trump voglia favorire la produzione Made in USA non più con stanziamenti diretti a fondo perduto ma lasciando fare quasi tutto al mercato, da pilotare con un difficile equilibrio tra dazi che danneggino i produttori esteri e crediti d’imposta che aiutino quelli locali. Meno Stato più mercato è d’altronde il mantra del momento negli USA.
È per questa dinamica che diversi osservatori prevedono una frenata dei programmi come il Chips Act – i cui 39 miliardi di dollari avrebbero in quasi due anni e mezzo attivato una novantina di progetti di sviluppo di impianti, secondo la Semiconductor Industry Association – per lasciare spazio ad altri come il recentissimo Semiconductor Technology Advancement and Research (Star) Act, basato appunto sul credito d’imposta. Tra l’altro, con questa dinamica possiamo tranquillamente dire ufficialmente addio agli investimenti USA per realizzare “fab” in Europa, peraltro di fatto già dimenticati da tempo.
Passando dall’hardware ai servizi il discorso si fa più complesso. È ovvio che un aumento nel costo dei prodotti IT ha un riflesso nei costi di gestione dei servizi provider, di qualsiasi tipo, e quindi nei prezzi dei loro servizi agli utenti finali. Ma nel mercato dei servizi digitali il terreno di confronto tra UE e USA è molto più articolato. Prendiamo come cartina di tornasole Mark Zuckerberg e la sua affermazione secondo cui le aziende tecnologiche dell’IT contano sulla nuova Amministrazione per un aiuto contro le norme europee che, secondo il solito refrain che da anni va di moda nell’IT americana, frenano l’innovazione e impediscono alle aziende USA di fare al meglio il proprio business. I dazi – si ipotizza da più parti – potrebbero rappresentare una leva per far digerire all’Europa la posizione americana in questo confronto.
In realtà l’idea che dazi commerciali possano spingere la UE a mettere in pausa certi requisiti di compliance per le aziende USA non convince moltissimo. È teoricamente possibile, certo, ma non tiene conto del fatto che oggi la situazione geopolitica è tale che norme come il Digital Services Act o l’AI Act – che alla Silicon Valley e ai suoi fan proprio non vanno giù – stanno diventando più questioni di sovranità digitale che di aspetti etico-commerciali. “Smontare” a colpi di dazi queste norme è meno banale e scontato di quanto non si creda.
Certo possiamo ipotizzare anche per i servizi digitali, e non solo per beni materiali, una guerra tra dazi e contro-dazi. Una guerra in cui la UE pagherebbe il fatto di avere assai pochi service provider che possono competere con quelli americani, i quali sono oltretutto ormai ben radicati nelle imprese e nelle PA europee. Ma qui gli scenari possibili sono così tanti che le aziende utenti oggi possono solo aspettare e vedere cosa succederà, per poi eventualmente muoversi di conseguenza. E se le istituzioni, europee e nazionali, dessero qualche indicazione preventiva non sarebbe poi male.
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