Molte serie ormai sono scritte per essere viste in sottofondo

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I dialoghi di molte serie prodotte da Netflix sono spesso didascalici e ricchi di informazioni: capita frequentemente che un personaggio riepiloghi ciò che è accaduto fino a quel momento, o che anticipi qualche sviluppo futuro della trama in modo più o meno arbitrario. Vengono scritti in questo modo per consentire agli spettatori più disattenti di riprendere il filo in qualsiasi momento, senza dover tornare indietro o interrompere la visione.

Le produzioni che includono dialoghi di questo tipo sono solitamente associate all’espressione “second screen” (“secondo schermo”), perché sono pensate e scritte in modo da poter essere seguite agevolmente anche mentre l’attenzione è focalizzata su un “primo schermo”: quello dello smartphone.

È una tendenza nota e di cui si parla già da qualche anno, e che di recente è stata approfondita dalla rivista letteraria statunitense N+1, che ha raccolto una serie di testimonianze di addetti ai lavori coinvolti nella scrittura di serie televisive per Netflix.

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La tendenza a privilegiare dialoghi più didascalici e descrittivi rientra in una più ampia strategia adottata dalla piattaforma per assecondare il casual viewing (visione occasionale), ossia l’abitudine di guardare una serie tv senza prestarci troppa attenzione, concependola come un sottofondo per accompagnare altre attività come fare il bucato, passare l’aspirapolvere, aspettare di addormentarsi, e per l’appunto guardare lo smartphone.

La scrittura della maggior parte dei film e delle serie prodotte da Netflix tiene conto di questo aspetto. Diversi sceneggiatori che lavorano o hanno lavorato per la piattaforma hanno detto a N+1 di aver ricevuto dai dirigenti direttive molto precise sulla scrittura dei dialoghi: una delle richieste più comuni è far descrivere al personaggio l’azione che sta compiendo in un preciso momento, in modo tale che possa essere compresa chiaramente anche da chi tiene la serie in sottofondo mentre guarda altre cose sullo smartphone.

In altri casi i dialoghi hanno una funzione riepilogativa, e vengono concepiti come una specie di “segnalibro”: devono cioè far comprendere velocemente lo sviluppo assunto dalla trama, riassumendo gli eventi passati e dando un’idea di ciò che accadrà di lì a qualche minuto.

Un esempio tra i tanti, citato anche da N+1, è un dialogo piuttosto ingessato e artificioso di Irish Wish – Solo un desiderio, una commedia romantica pubblicata su Netflix lo scorso anno. A un certo punto Maddie, la protagonista del film, dice al suo amante: «Ci conosciamo a malapena, siamo stati insieme un giorno. Sì, abbiamo passato una giornata insieme, piena di panorami fantastici e pioggia romantica, ma non puoi mettere in discussione le mie scelte. Domani sposerò Paul Kennedy». Lui le risponde: «Va bene. Questa sarà l’ultima volta che mi vedrai, perché dopo questo lavoro parto per la Bolivia per fotografare una lucertola arboricola in via di estinzione».

– Leggi anche: Lo sceneggiatore più richiesto di Hollywood è un cowboy

In un’intervista data al Telegraph, la sceneggiatrice statunitense Justine Bateman ha detto che una delle competenze maggiormente richieste a chi fa il suo lavoro è proprio rendere le sceneggiature «più da secondo schermo».

Secondo Bateman, con questa espressione i produttori chiedono implicitamente a chi scrive di «smorzare i toni» della sceneggiatura, rendendola «più facile da seguire mentre si invia un’e-mail o si scorre il feed di Instagram». «Il loro timore è che se distogli lo sguardo per una decina minuti per litigare su Twitter o altro, al tuo ritorno sarai confuso», ha detto Bateman, secondo cui richieste di questo tipo hanno come conseguenza un’abbondanza di narrazioni scontate, colpi di scena prevedibili e personaggi superficiali. In questo modo, ha aggiunto, le serie presenti nei cataloghi delle piattaforme finiscono per assomigliare sempre di più «alla controparte televisiva della musica di sottofondo che si ascolta in ascensore o nella sala d’attesa di uno studio medico».

Se Bateman considera queste richieste svilenti per chi fa la sua professione, altri sceneggiatori sostengono che bisogna farci i conti, adattando la scrittura alle nuove modalità di fruizione dei prodotti culturali. «Penso che sia giusto essere consapevoli di come i social abbiano ridotto in poltiglia la capacità di attenzione di tutti. Mentiremmo a noi stessi se non ammettessimo che la maggior parte degli spettatori trova difficile mettere da parte gli smartphone mentre la TV è accesa», ha detto al Guardian James Hamilton, che ha curato la sceneggiatura di Dogs in Space e Jentry Chau contro il regno dei demoni, due serie animate prodotte da Netflix. Secondo Hamilton anche una serie da “secondo schermo” può essere un’ottima serie, e una sceneggiatura ben scritta ormai dovrebbe essere in grado di catturare tutti gli spettatori, a prescindere dal loro livello di attenzione.

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Commentando questa tendenza, un dirigente di un «famoso servizio di streaming» intervistato dal Telegraph ha detto che «le piattaforme si stanno semplicemente adattando a ciò che fa il pubblico. Le loro abitudini di consumo [guardare serie mentre si guardano gli smartphone] sono una realtà del mondo moderno. E noi stiamo solo cercando di adattarci». Queste abitudini sono state confermate anche da alcune ricerche. Per esempio, secondo uno studio condotto dalla società di ricerche YouGov nel 2023, il 79 per cento degli statunitensi sbircia almeno qualche volta lo smartphone mentre guarda un film o una serie, e l’84 per cento degli italiani fa lo stesso.

Altri ancora hanno fatto notare che soluzioni di questo tipo esistevano già prima dell’avvento delle piattaforme di streaming. Ryan Broderick, un giornalista che si occupa di cultura pop, ha citato alcune produzioni che adottarono meccanismi narrativi simili ai dialoghi iper descrittivi di molte serie Netflix già nei primi anni Duemila.

Un esempio è quello dei Soprano, la serie incentrata sulla vita di una famiglia mafiosa italoamericana del New Jersey che andò in onda dal 1999 al 2007 sul canale televisivo statunitense HBO, ed è universalmente considerata tra le migliori di sempre. Broderick ha sottolineato che le frequenti sedute di psicoterapia del protagonista della serie, Tony Soprano, servivano proprio per consentire agli spettatori meno attenti di recuperare gli avvenimenti più importanti. Un altro caso citato da Broderick è quello di X-Files, in cui «prima e dopo qualsiasi cosa che richieda la partecipazione dei tuoi occhi, Mulder e Scully ti dicono cosa stanno per vedere o cosa hanno appena visto».

Anche la celebrata serie tv italiana Boris, una delle più amate degli ultimi vent’anni, prendeva in giro l’abitudine degli sceneggiatori di inserire spiegoni un po’ a caso.

– Leggi anche: C’è un prima e un dopo i Soprano

L’appiattimento della scrittura delle serie e l’attenzione delle piattaforme alla visione occasionale o su più schermi non sono una novità. Nel 2020 il giornalista del New Yorker Kyle Chayka parlò di questo aspetto in relazione a Emily in Paris, una serie considerata generalmente poco sofisticata, ma amata anche e proprio per la sua bassa qualità. Chayka la definì «un sottofondo simpatico da seguire distrattamente mentre fissi il tuo telefono e aggiorni i tuoi feed» e «una serie da fare andare mentre pulisci casa».

– Leggi anche: Di serie come “Scissione” ce ne sono sempre meno

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