Brexit. Enchelmaier (Un. Oxford): “Il 55% dei cittadini britannici pensa che sia stato un errore lasciare l’Ue”

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“Diversi sondaggi ci dicono che, oggi, il 55% dei cittadini britannici pensa che sia stato un errore, per il Regno Unito, lasciare la Ue. Solo tre inglesi ogni dieci, il 30%, il dato più basso mai registrato fino ad oggi, restano convinti che la Brexit sia stato un fatto positivo. Certamente, quindi, non esiste più quella maggioranza del 52% di elettori che ha portato, durante il referendum del 23 giugno 2016, la Gran Bretagna fuori dall’Europa”. È questo il bilancio che il professor Stefan Enchelmaier, politologo dell’università di Oxford, profondo conoscitore del Regno Unito e dell’Unione Europea, traccia a cinque anni dall’uscita ufficiale della Gran Bretagna dall’Europa che avvenne il 31 gennaio 2020.

(Foto Commissione Ue)

“Diversi sondaggi ci dicono che, oggi, il 55% dei cittadini britannici pensa che sia stato un errore, per il Regno Unito, lasciare la Ue. Solo tre inglesi ogni dieci, il 30%, il dato più basso mai registrato fino ad oggi, restano convinti che la Brexit sia stato un fatto positivo. Certamente, quindi, non esiste più quella maggioranza del 52% di elettori che ha portato, durante il referendum del 23 giugno 2016, la Gran Bretagna fuori dall’Europa. Tuttavia, un’analisi del modo in cui la domanda sulla Brexit viene posta agli intervistati e delle risposte ricevute ci conferma che quasi tutti sono insoddisfatti per quello che è successo, ma non hanno un punto di vista realistico su come sarebbe possibile, per i britannici, rientrare nella Ue”. È questo il bilancio che il professor Stefan Enchelmaier, politologo dell’università di Oxford, profondo conoscitore del Regno Unito e dell’Unione Europea, traccia a cinque anni dall’uscita ufficiale della Gran Bretagna dall’Europa che avvenne il 31 gennaio 2020.

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(Foto Lincoln College Oxford)

Professor Enchelmaier perché c’è oggi una maggioranza che spinge per il rientro del Regno Unito nell’Unione Europea?
Perché la Brexit non ha portato ai risultati sperati di chi l’ha voluta. L’immigrazione, per esempio, è fuori controllo e ha raggiunto livelli senza precedenti. La promessa fatta ai cittadini, di limitare l’arrivo di migranti e richiedenti asilo, dal partito “Leave”, che ha voluto la Gran Bretagna fuori dalla Ue, non si è trasformata in realtà. Anche la riduzione della burocrazia, altra aspirazione dei “Leave”, non si è concretizzata. Né si sono realizzati tutti gli accordi commerciali che il Regno Unito avrebbe dovuto stringere con altri Paesi nel mondo, per sostituire i legami persi col mercato europeo. Inoltre, il Paese si è anche ripreso dalla pandemia in maniera più lenta rispetto ai partner europei. Esiste anche molta confusione su che cosa sia il progetto europeo e in che termini la Gran Bretagna abbia la possibilità di rientrarvi. Molti coltivano la fantasia che il Regno Unito possa scegliere di partecipare al mercato unico, senza accettare il libero movimento delle persone, dimostrando, così, di non conoscere le regole dell’Unione Europea.

Pensa che, in questi nove anni dal referendum del 2016, i britannici abbiano riscoperto la loro identità europea? La Brexit li ha aiutati a realizzare che sono più europei di quanto pensino?
Direi di sì. Questo è vero soprattutto per le generazioni più giovani che si sono accorte di quello che hanno perso. Gli studenti che incontro ad Oxford sanno che hanno molte meno possibilità, rispetto a dieci anni fa. Tanti sondaggi confermano che, oggi, i britannici si considerano più europei. È un dato significativo se pensiamo che chi ha votato per laBrexit rincorreva il sogno nostalgico di una Gran Bretagna ancora forte economicamente, alla guida di un impero.

Esiste una possibilità concreta che il Regno unito torni nella Ue?
E’ impossibile dire che non succederà mai, ma, parlando cinicamente, penso che sarà possibile soltanto quando i britannici si saranno dimenticati del voto del referendum del 2016 e, quindi, almeno dieci anni. Non dimentichiamoci che il partito laburista che guida, in questo momento, il Regno Unito, non vuole riaprire la questione Brexit. Quasi metà del Paese è ancora contro l’Europa. Keir Starmer ha vinto le ultime elezioni recuperando le parti più povere del Paese che sono anti Europa e non vuole certo perdere quei voti.

Se è vero che Brexit ha danneggiato economicamente il Regno Unito, il danno, però, è stato inferiore del previsto. La City, per esempio, o il settore dei servizi e quello delle arti sembrano essere sopravvissuti bene all’uscita dalla Ue. Che cosa ne pensa?
Come le promesse della Brexit sono state esagerate, così sono state esagerate anche le paure di quello che sarebbe successo. La City è sopravvissuta bene perché offre servizi che nessun altro, in Europa, può garantire. Tuttavia, il settore manifatturiero britannico, come altre parti dell’economia, sono stati danneggiati dall’uscita britannica dalla Ue. La Brexit non ha voluto dire, per questo Paese, un crollo economico immediato, ma un lento e inesorabile declino. La Gran Bretagna è diventata più isolata. La competitività e la produttività sono calate perché non c’è più quel confronto diretto con i partner europei. E c’è un ultimo fattore preoccupante. Molte aziende piccole o medie hanno smesso completamente di esportare in Europa perché non riescono a reggere i costi della burocrazia e sono state sostituite dalle ditte più importanti.

 

 





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