Italia condanna per l’inerzia nel contrastare il fenomeno dell’inquinamento nella c.d. Terra dei fuochi

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Il caso

Il caso, deciso il 31 gennaio 2025, traeva origine da plurimi ricorsi (n. 51567/14 e altri tre) contro l’Italia, presentati alla Corte europea dei diritti dell’uomo, ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione e.d.u., da 41 cittadini italiani, residenti nelle province di Caserta e Napoli in Campania, e cinque associazioni ambientaliste con sede in Campania.

La Terra dei Fuochi si riferisce a un’area di 90 comuni in Campania con una popolazione di circa 2,9 milioni di abitanti. Descrive gli effetti dello scarico illegale, dell’interramento e/o dell’abbandono incontrollato di rifiuti pericolosi, speciali e urbani su terreni privati, spesso combinati con la loro combustione, che avevano avuto luogo in tali aree. I ricorrenti avevano tutti affermato di aver subito direttamente o indirettamente gli effetti dello smaltimento illegale di rifiuti e che tale problema era noto alle autorità da un periodo significativo di tempo.

Secondo le ultime informazioni, sono state istituite in totale sette commissioni parlamentari d’inchiesta sull’illegalità nella gestione dei rifiuti. Le loro conclusioni includevano quanto segue:

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a) c’erano molteplici discariche abusive nelle province di Caserta e Napoli, in particolare nel-le campagne attorno ad Aversa e sul litorale domizio-flegreo. Lo smaltimento illegale dei rifiuti era controllato da gruppi criminali organizzati. Quantità considerevoli di rifiuti erano state tra-sportate da tutta Italia. Il problema era noto alle autorità fin dal 1988;

b) un metodo di smaltimento era lo scarico e l’interramento dei rifiuti in discariche abusive, che erano spesso cave, corsi d’acqua o grandi fosse che a volte venivano scavate su terreni agricoli e poi ricoperte con il terreno che continuava a essere poi utilizzato per l’agricoltura. È stato notato che quando i rifiuti non venivano scaricati, a volte venivano mescolati ad altre sostanze per essere utilizzati, ad esempio, come materiale da costruzione o come compost, con impatti negativi sulle falde acquifere. Per quanto riguarda lo smaltimento delle auto, un rapporto aveva osservato a Marcianise e Castelvolturno “vere e proprie montagne di pneumatici per auto [che vanno] in fumo”;

c) la campagna del nord di Napoli era diventata “un ricettacolo di rifiuti di ogni genere”. Un rapporto si riferiva alla Campania come “la pattumiera d’Italia” e un altro affermava che si trattava di un “disastro ambientale … paragonabile solo alla diffusione della peste nel diciassettesimo secolo”;

d) la contaminazione da diossina aveva causato l’inquinamento di un’area considerevole. In alcune aree, come nei pressi di Villa Literno, era stata osservata una concentrazione eccezionale di metalli pesanti. Si era verificato un “avvelenamento persistente” del terreno;

d) tra le altre scoperte riguardanti la salute, è stato notato che i tassi di cancro erano notevolmente aumentati in quella zona, come attestato nei rapporti italiani e internazionali, come quelli di The Lancet Oncology, Epidemiologia & Prevenzione, del Senato italiano e dell’Organizzazione mondiale della sanità, che avevano confermato risultati sanitari al di fuori della norma italiana in quell’area.

Le commissioni parlamentari avevano evidenziato le questioni legali relative alla gestione dell’inquinamento, tra cui la deterrenza “praticamente inesistente”, la mancanza di “fermezza necessaria” nella risposta dello Stato, la quasi impossibilità di ottenere condanne per reati ambientali e, tra le altre cose, i brevi termini di prescrizione. Sono stati critici nei confronti dei piani di bonifica e dei lunghi ritardi nell’intraprendere azioni di contrasto.

Il ricorso e le norme violate

Rivolgendosi alla Corte di Strasburgo, basandosi sugli articoli 2 (diritto alla vita) e 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare), i ricorrenti lamentavano, in particolare, che le autorità italiane erano a conoscenza, ma non avevano adottato misure per proteggerli dallo scarico illegale, dall’interramento e dalla combustione di rifiuti pericolosi nelle loro aree; e che le autorità non avevano fornito loro informazioni a tale riguardo.

Avevano inoltre invocato l’articolo 13 (diritto a un ricorso effettivo). Il ricorrente M. C. aveva inoltre presentato ricorso sotto il profilo procedurale ai sensi dell’articolo 2.

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I ricorsi erano stati depositati presso la Corte europea dei diritti dell’uomo in date diverse tra il 28 aprile 2014 e il 15 aprile 2015.

ClientEarth, MacroCrimes, Forum for Human Rights and Social Justice dell’Università di New-castle, Newcastle Environmental Regulation Research Group dell’Università di Newcastle, Let’s Do It! Italia e Legambiente (in un’unica presentazione), il professor M. C. e il signor V. L. (Centro di Ricerca Euro Americano sulle Politiche Costituzionali – CEDEUAM); il professor F. B. (Istituto di Fisiologia Clinica di Pisa); e il signor G. D’A. (Università di Coimbra) e il professor M. A. (KTH Royal Institute of Technology di Stoccolma) sono stati autorizzati a presentare osservazioni in qualità di terzi.

La decisione della Corte di Strasburgo

In primo luogo, la Corte ha respinto, con 6 voti contro 1, i ricorsi delle associazioni ricorrenti, in quanto non erano vittime dell’inquinamento della Terra dei Fuochi ai sensi degli articoli 2 e 8 (incompatibilità ratione personae con la Convenzione). Molti dei ricorrenti individuali non risiedevano nei comuni interessati ufficialmente elencati, per cui la Corte ha respinto i loro ricorsi (incompatibili ratione personae). Per quanto riguarda alcuni degli altri ricorsi, sono stati dichiarati inammissibili per non aver rispettato il termine di sei mesi allora previsto per presentare ricorso alla Corte.

In secondo luogo, accettando che vi fosse un rischio per la vita “sufficientemente grave, genuino e accertabile”, che poteva essere qualificato come “imminente”, la Corte ha ritenuto che questo caso rientrasse nell’ambito dell’articolo 2. In linea con un “approccio precauzionale” e con il lasso di tempo in cui il problema dell’inquinamento era noto, la Corte ha ritenuto che lo Stato non potesse fare affidamento sul fatto che gli effetti precisi che l’inquinamento avrebbe potuto avere sulla salute di un particolare ricorrente non potessero essere accertati persot-trarsi al suo dovere di protezione nei confronti dei restanti ricorrenti.

A seguito di questa crisi, lo Stato aveva dovuto affrontare diversi obblighi. La Corte ha ritenuto che non vi fossero prove sufficienti di una risposta sistematica, coordinata e completa da parte delle autorità nel gestire la situazione della Terra dei Fuochi. I progressi erano stati lenti nella valutazione dell’impatto dell’inquinamento quando era stato necessario un intervento. Ha rilevato un problema generalizzato di coordinamento e attribuzione di responsabilità in Campania per quanto riguarda la decontaminazione. Era impossibile avere un’idea generale di dove fosse ancora necessario decontaminare. Il Governo ha dichiarato che erano state intraprese numerose azioni per indagare sugli impatti sulla salute dell’inquinamento, come il rafforzamento dello screening del cancro. Tuttavia, la maggior parte di queste misure è stata intrapresa solo dopo il 2013. Alla luce dei ritardi che hanno caratterizzato la risposta delle autorità, queste non avevano agito con la diligenza richiesta nelle loro indagini sull’impatto sulla salute dell’inquinamento causato nella Terra dei Fuochi.

Il Governo aveva fornito solo sette esempi di condanne presumibilmente correlate per reati ambientali. Data la lunga durata della crisi, è stato impossibile per la Corte ottenere una panoramica solo da quelle poche condanne. Non si è dimostrata quindi convinta del fatto che lo Stato avesse adottato le necessarie misure di giustizia penale per combattere lo smaltimento illegale di rifiuti nell’area della Terra dei Fuochi. La Corte, anzi, ha aggiunto che le autorità italiane sembravano essere state piuttosto lente nell’affrontare le carenze sistematiche che da sempre hanno afflitto il sistema di gestione dei rifiuti in Campania. Data l’entità, la complessità e la gravità della situazione, sarebbe stata necessaria una strategia di comunicazione completa e accessibile, al fine di informare il pubblico in modo proattivo sui potenziali o effettivi rischi per la salute e sulle azioni intraprese per gestire tali rischi. Ciò non era stato fatto. In effetti, alcune delle informazioni erano state per periodi considerevoli coperte dal segreto di Stato.

Nel complesso, la Corte ha ritenuto che le autorità italiane non si fossero approcciate al problema della Terra dei Fuochi con la diligenza che era giustificata dalla gravità della situazione. Lo Stato italiano non aveva fatto tutto ciò che gli era richiesto per proteggere la vita dei ricorrenti.

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Poiché gli argomenti sollevati ai sensi dell’articolo 8 erano gli stessi di quelli già decisi ai sensi dell’articolo 2, la Corte ha ritenuto che non fosse necessario esaminare separatamente tale parte del ricorso. La Corte, infine, ha ritenuto di aver esaminato le principali questioni giuridiche sollevate nei presenti ricorsi e che non era necessario pronunciarsi separatamente ai sensi dell’articolo 13 e dell’articolo 2 (aspetto procedurale).

Ai sensi dell’articolo 46 (forza vincolante ed esecuzione delle sentenze), la Corte, tenendo conto della natura persistente del problema e delle carenze sistemiche che hanno caratterizzato la risposta dello Stato, unite al gran numero di persone colpite e che sono potenzialmente a rischio, e dell’urgente necessità di garantire loro un risarcimento rapido e adeguato, ha ritenuto opportuno applicare la procedura della “sentenza pilota” nel caso di specie. La Corte ha quindi stabilito che l’Italia è tenuta a elaborare una strategia globale che riunisca le misure esistenti o previste per affrontare il problema della Terra dei Fuochi; è tenuta ad istituire un meccanismo di monitoraggio indipendente, comprendente membri liberi da qualsiasi affiliazione istituzionale con le autorità statali; ed è tenuta ad istituire un’unica piattaforma di informazione pubblica che riunisca tutte le informazioni pertinenti relative al problema della Terra dei Fuochi. Le misure di cui sopra devono essere attuate entro il termine di due anni dal passaggio in giudicato della sentenza.

Per quanto concerne la richiesta di equa soddisfazione ex art. 41CEDU, la Corte ha riservato la pronuncia sul danno non patrimoniale per un periodo non superiore a due anni dopo che la sentenza diverrà definitiva. La Corte ha ritenuto che l’Italia sia tenuta a versare ai ricorrenti gli importi stabiliti nella sentenza per spese e costi (pari a 20.000 euro ciascuno per sei ricorrenti). Si dà atto, infine, che il giudice Krenc ha espresso un’opinione concorrente e che il giudice Serghides ha espresso un’opinione in parte concorrente e in parte dissenziente, pareri allegati alla sentenza.

I precedenti ed i possibili impatti pratico-operativi

Si chiude, almeno per il momento, davanti ai giudici di Strasburgo l’annosa vicenda della gestione emergenziale dei rifiuti nella c.d. Terra dei Fuochi, che ha visto lo Stato italiano pressoché inerte sul piano non tanto normativo quanto, piuttosto, operativo, da ormai circa 40 anni.

La definizione di Terra dei fuochi comprende un territorio di 1076 km², nel quale sono situati 57 comuni, nei quali risiedono circa 2 milioni e mezzo di abitanti: 33 comuni sono situati nella città metropolitana di Napoli e 24 comuni sono ubicati nella provincia di Caserta. È compresa circa un terzo dell’area napoletana, mentre del casertano è colpita soprattutto la parte meridionale e sud-occidentale.

Dal punto di vista investigativo, i primi sospetti sull’attività illegale dello smaltimento dei rifiuti tossici furono evidenziati nella prima metà degli anni Novanta da un’indagine della Polizia di Stato, L’informativa, del 1996, in cui si presentavano i risultati delle indagini e i dettagli sui reati e i presunti autori non ebbe però ulteriori sviluppi fino al 2011. In quell’anno, secondo un rapporto dell’ARPA della Campania, un’area di 3 milioni di metri quadri, compresa tra i Regi Lagni, Lo Uttaro, Masseria del Pozzo-Schiavi (nel Giuglianese) ed il quartiere di Pianura della città di Napoli, era molto compromessa per l’elevata e massiccia presenza di rifiuti tossici. Nel 2015, nel comune di Calvi Risorta, il Corpo forestale dello Stato aveva scoperto un’area di sversamento clandestino dei rifiuti, ritenuta la più grande discarica sotterranea d’Europa di rifiuti tossici, ritenuta opera della camorra, con uno stesso sistema di sigillamento degli strati della discarica, simile a quello utilizzato dal clan dei casalesi. Per farlo, le aziende di quel luogo, volendo diminuire più tempo possibile il tempo di smaltimento, che costava anche troppo, si affidarono allo smaltimento illegale.

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Nel 2016 la Regione Campania aveva avviato in collaborazione con l’Istituto zooprofilattico sperimentale del Mezzogiorno di Portici il progetto SPES per analisi ambientali e sulla popolazione in relazione all’esposizione a fattori inquinanti. Il progetto, con la partecipazione anche dell’Università Federico II, della SUN, dell’Università degli Studi di Milano, dell’IRCCS Pascale e del CNR, partito dall’area della cosiddetta Terra dei fuochi si era poi esteso ad altre criticità. In particolare, in relazione alla Terra dei Fuochi sono risultati contaminati solo 33 ettari sui 50.000 indagati; su 30.000 campionamenti presso 10.000 aziende nell’area interessata sono state riscontrate 6 positività (pari allo 0,2%) ed appena il 2% dei prelievi a ridosso di aree urbane presentava criticità, La Regione aveva avviato anche un piano di monitoraggio aereo attraverso droni dei possibili roghi di rifiuti e dotato di nuovi mezzi la Protezione Civile dei Comuni interessati.

Seri gli effetti sulla salute. In generale, una correlazione significativa tra esposizioni ambientali e tumori è di difficile (se non impossibile) applicazione, in quanto intervengono in gioco molti altri fattori, come la cattiva alimentazione, il fumo, la familiarità, i controlli ospedalieri, i ricoveri e la diagnosi precoce. Tuttavia, numerosi studi hanno rimosso ogni dubbio sull’aumento di casi di tumore nella popolazione locale rispetto alla media nazionale e la presenza di materiali inquinanti e cancerogeni nel corpo di chi è malato di tumore.

Uno studio del 2012 sul Registro tumori infantili della Campania ha evidenziato un aumento statisticamente significativo del numero di casi di neoplasie tiroidee. Nel 2019 è stata confermata la presenza di metalli pesanti (dall’acclarato nesso causale con lo sviluppo di tumori) nei malati di tumore residenti a Giugliano, Qualiano, Castel Volturno e nel quartiere Pianura di Napoli (zone simbolo della Terra dei Fuochi), in quantità superiori che nei soggetti sani e “del tutto fuori norma”. Lo studio, chiamato Veritas e condotto dallo Sbarro Institute for Cancer Research and Molecular Medicine della Temple University di Philadelphia e dall’Istituto nazionale tumori (Fondazione Giovanni Pascale), è stato presentato in Parlamento. Una mappatura del territorio di competenza della Procura di Napoli nord è stata condotta tra il 2016 e il 2020 da un gruppo di lavoro indipendente dell’Istituto Superiore di Sanità, su commissione della stessa Procura. Si è calcolato che un terzo dei residenti vive a meno di 100 metri da un sito inquinante. L’area è stata analizzata in relazione a due fattori:

a) la presenza di siti di stoccaggio rifiuti (legali o no), inclusi quelli oggetto di roghi, per un totale di 2767 siti;

b) le informazioni di carattere sanitario, a esempio diagnosi ospedaliere e dati dell’AIRTUM, Associazione italiana registri tumori (per i comuni ricadenti nella provincia di Caserta, i dati utilizzati sono soltanto quelli tra il 2010 e il 2012). Per ognuno di essi, lo studio ha ripartito i comuni dell’area in quattro fasce di rischio. L’incidenza di numerose patologie è molto più alta nei comuni nelle fasce 3 e 4 (maggiore rischio di presenza di rifiuti inquinanti): in particolare, l’incidenza di leucemie, l’incidenza e la mortalità per tumore alla mammella, le malformazioni congenite, patologie asmatiche, il parto pretermine. Lo studio dimostra “una correlazione con il rischio di esposizione a rifiuti” al punto che “alcuni comuni, infatti, presentano eccessi di specifiche patologie”.

Effetti altrettanto seri quanto all’inquinamento alimentare. Ricerche compiute dall’Università Federico II e, in modo indipendente, dall’Istituto zooprofilattico sperimentale del Mezzogiorno, con sede a Portici, hanno ridimensionato la situazione di rischio, confinando la presenza di aree critiche corrispondenti al solo 3% dell’intera superficie geografica della cosiddetta Terra dei Fuochi. Tali micro-aree locali, inoltre, non sono correlate ad aree rurali, né al fenomeno di mala gestione dei rifiuti, ma coincidono in modo sostanziale con le principali aree urbano-industriali presenti nel territorio.

A dicembre 2017, nel corso di una conferenza stampa tenuta nell’ambi-to dell’evento “Nuova Campania – Le nuove frontiere della Ricerca su Ambiente, Cibo e Salute”, il direttore dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno, alla presenza del Presidente della Regione Campania e del presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, ha evidenziato come, nell’ambito delle serrate, sistematiche e capillari attività di campionamento delle matrici ambientali previste dal progetto “Campania Trasparente”, solo 33 dei 50000 ettari di terreno analizzati sono risultati contaminati. L’ISS (Istituto superiore di sanità) ha reso pubblico come l’inquinamento delle falde, seppur assolutamente non a livello diffuso, sia un problema concreto e misurabile, così come lo stato di salute della popolazione locale rispetto a quella italiana. Infine, l’abbandono e l’incenerimento illegale di rifiuti risulta sia dall’opera di privati cittadini che dalle organizzazioni mafiose radicate e non sul territorio, come la Camorra.

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Proprio il tema dello smaltimento illegale dei rifiuti è l’aspetto più preoccupante ed endemico. La zona è risultata interessata anche da un consistente traffico di rifiuti, tra le cui attività rientrerebbe lo sversamento e l’eliminazione di materiali come copertoni o scarti di abbigliamento, provenienti soprattutto dal Nord Italia, o il recupero del rame dai cavi elettrici rubati, mediante combustione delle guaine che lo ricoprono. I roghi divennero più frequenti quando potevano essere confusi tra i numerosi roghi appiccati ai cumuli di immondizia durante la crisi dei rifiuti in Campania, tra il 2007 e il 2008. I carabinieri accertarono che solo tra il gennaio e il marzo del 2007 furono bruciati 30000 kg di rifiuti in terreni agricoli, con un ricavo di oltre 118.000 euro. Le indagini e le dichiarazioni di pentiti di camorra hanno evidenziato come la Campania fosse destinata a diventare una discarica a cielo aperto, soprattutto di materiali tossici, tra cui piombo, scorie nucleari e materiale acido, che hanno inquinato le falde acquifere campane e le coste di mare dal basso Lazio fino ad arrivare a Castelvolturno.

Nel 2021, il Tribunale di Napoli ha riconosciuto il nesso causale tra camorra e discariche abusive, con la confisca di 10 milioni di euro per lo smaltimento abusivo di rifiuti (ivi compresi rifiuti tossici) di ingente quantità, anche con impatto sui terreni agricoli che sono nelle vicinanze delle discariche abusive.

Assolutamente insufficienti, poi, sono risultati gli interventi normativi di rango primario e secondario susseguitisi, tra cui:

a) il D.L. 10 dicembre 2013, n. 136, convertito nella L. n. 6/2014, che aveva introdotto misure urgenti per fronteggiare le emergenze ambientali;

b) la direttiva interministeriale del 23 dicembre 2013, con cui era stato istituito un gruppo di lavoro per l’individuazione dei terreni contaminati da pratiche illecite di smaltimento dei rifiuti nella Regione Campania, per l’elaborazione di un modello scientifico di classificazione delle aree ispezionate in base ai livelli di inquinamento e, infine, per la predisposizione di relazioni contenenti i risultati delle indagini e le proposte di misure da adottare.

Insufficienti a contrastare il fenomeno anche gli strumenti penalistici (D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, c.d. decreto Ronchi; D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, c.d. Testo Unico Ambientale, anche per la parte disciplinante le operazioni di bonifica dei siti inquinanti; gli artt. 439 e 440, c.p., che prevedono il reato di avvelenamento di acque o di sostanze alimentari ed il reato di adulterazione o contraffazione di sostanze alimentari; da ultimo, l’art. 452-quaterdecies, c.p., che ha inserito nel Codice penale il reato di attività organizzate per il traffico di rifiuti, per la prima volta introdotto con la L. 23 marzo 2001, n. 90, come nuovo articolo 53-bis, nel D.Lgs. n. 22/1997, poi traslato nell’articolo 260 del D.Lgs. n. 152/2006, che dal 1° marzo 2018 è disciplinato dal già citato art. 452-quaterdecies, c.p.; ancora, l’articolo 256-bisD.Lgs. n. 152/2006, che ha previsto il grave reato di combustione illecita di rifiuti; da ultimo, la L. n. 68/2015, che ha inserito nel codice penale specifici reati gravi (delitti) per contrastare il traffico e lo scarico illegale di rifiuti, quali inquinamento ambientale, disastro ambientale, traffico o scarico di sostanze ad alto livello radioattivo, ostacolo alle attività di vigilanza e mancata bonifica.

Rilevanti, ma sostanzialmente inefficaci anche i rimedi civilistici ed amministrativi (art. 2043 c.c.; artt. 309 e 310, D.Lgs. n. 152/2006 che prevedono la possibilità di presentare ricorsi al Ministro dell’ambiente in merito a presunti danni ambientali o minacce di danni stessi; il D.Lgs. 20 dicembre 2009, n. 198 (recante “Attuazione dell’articolo 4 della L. 4 marzo 2009, n. 15, recante rimedi giurisdizionali volti a promuovere l’efficienza delle pubbliche amministrazioni e dei gestori di pubblici servizi”) che ha introdotto la possibilità di proporre un’azione collettiva contro le pubbliche amministrazioni dinnanzi al TAR.

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Men che meno afflittive o deterrenti le decisioni assunte sul piano amministrativo o penale (sentenza n. 676 dell’8/2/2012 del TAR Campania, pronunciata a seguito di un ricorso proposto dall’associazione ambientalista Legambiente e da una persona fisica, AS, ai sensi dell’articolo 309 del D.Lgs. n. 152/2006, in cui lamentavano la contaminazione delle falde acquifere e il deterioramento della qualità dell’aria dovuti, secondo i ricorrenti, a pratiche illecite di gestione dei rifiuti poste in essere in una discarica di rifiuti solidi urbani situata nel comune di Terzigno nella regione Campania; la sentenza della Corte d’appello di Napoli, Sez. IV penale, n. 5052 del 14/11/2012 e procedimenti connessi; la sen-tenza della Corte d’Appello di Napoli, Sez. IV penale, n. 680 del 23/4/2015 e la sen-tenza della Corte di Cassazione penale, Sez. I, n. 58023 del 7/5/2017, relative ad un procedimento che traeva origine da un’indagine avviata nel 2006 riguardante la gestione e lo smaltimento illeciti di circa un milione di tonnellate di rifiuti sia pericolosi che non pericolosi; la sentenza del Tribunale di Napoli Nord, Sez. II, n. 685 del 21/3/2018 che fa seguito ad un’indagine nei confronti di quattro individui, tutti sospettati di aver commesso il reato di adulterazione e contraffazione di prodotti alimentari ai sensi dell’art. 440 c.p.; la sentenza della Corte d’Assise di Napoli del 15/7/2016 e la sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Napoli, Sez. IV, n. 8 del 16/7/2019, che ha avuto origine da un’indagine che ha portato alla luce un’attività di traffico di rifiuti su larga scala che, a partire dalla fine degli anni ’80, tramite società di comodo e attraverso la falsificazione di documenti, aveva facilitato lo smaltimento illegale di grandi quantità di rifiuti, compresi rifiuti pericolosi, provenienti da fonti industriali e da altri soggetti privati in altre parti d’Italia, in discariche nel comune di Giugliano (denominate complesso “Resit”) e in altre aree limitrofe nelle province di Napoli e Caserta; la sentenza della Corte d’appello di Napoli, Sez. VI penale, n. 1843 del 9/3/2015 e la sentenza della Corte di cassazione penale, Sez. VI, n. 19001 del 5/4/2016, che chiude il procedimento che traeva origine da un’indagine avviata nel 2002 riguardante l’infiltrazione di un gruppo criminale organizzato (camorra) nella gestione e nello smaltimento dei rifiuti nel comune di Marcianise).

Di assoluto rilievo, peraltro, la ricognizione della normativa europea e delle sentenze della CGUE che si sono pronunciate sulla questione:

a) i considerando 2, 6 e da 8 a 10 del preambolo della direttiva 2006/12/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2006, relativa ai rifiuti, in vigore fino all’11 dicembre 2010;

b) la sentenza del 26/4/2007 Commissione/Italia (C-135/05, EU:C:2007:250), in cui la Corte di giustizia ha rilevato la generale non conformità delle discariche alle disposizioni applicabili, osservando, tra l’altro, che il governo italiano non contestava l’esistenza in Italia di almeno 700 discariche abusive contenenti rifiuti pericolosi, che non erano pertanto sottoposte ad alcuna misura di controllo;

c) la sentenza del 4/3/2010, Commissione/Italia (C-297/08, EU:C:2010:115), in cui la Corte di giustizia, pur prendendo atto delle misure adottate dall’Italia nel 2008 per fronteggiare la “crisi dei rifiuti”, ha fatto riferimento all’esistenza di un “deficit strutturale in termini di impianti necessari al-lo smaltimento dei rifiuti urbani prodotti in Campania, come testimoniato dalle notevoli quantità di rifiuti che [si erano] accumulate lungo le strade pubbliche della regione”;

d) la sentenza del 16/7/2015, Commissione/Italia (C-653/13, EU:C:2015:478), in cui la Corte di giustizia ha rilevato che l’obbligo di smaltire i rifiuti senza mettere in pericolo la salute umana e senza arrecare danno all’ambiente rientrava nell’obiettivo stesso della politica ambientale dell’Unione, in virtù dell’articolo 191TFUE.

Non meno preoccupanti, infine, i risultati riportati nel rapporto finale, pubblicato il 13 luglio 2022 (A/HRC/51/35/Add.2), contenente una sezione intitolata Terra dei Fuochi, redatto dal Relatore speciale delle Nazioni Unite sulle implicazioni per i diritti umani della gestione e dello smaltimento ecologicamente corretti di sostanze e rifiuti pericolosi (noto anche come Relatore speciale delle Nazioni Unite su sostanze tossiche e diritti umani), all’esito della sua visita in Italia dal 30 novembre al 13 dicembre 2021.

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Tanto premesso, è utile operare una ricognizione della giurisprudenza della Corte EDU.

Anzitutto, quanto all’esclusione della qualità di vittima alle associazioni ambientaliste. I principi relativi allo status di vittima e, in particolare, allo status di vittima delle associazioni, sono stati riassunti dalla Corte, in modo dettagliato, nel caso CEDU Yusufeli İlçesini Güzelleştirme Yaşatma Kültür Varlıklarını Koruma Derneği c. Turchia (dec.), 20/1/2022, n. 37857/14, §§ 36-41. La Corte è solita ritenere che, nel valutare se le associazioni ricorrenti possano essere considerate vittime di una presunta violazione della Convenzione, si debba tenere conto della natura del diritto convenzionale in gioco e del modo in cui esso è stato invocato dalle associazioni ricorrenti in questione (cfr., mutatis mutandis, Yusufeli, cit. § 41). A questo proposito, essa rileva che i diritti in gioco sono gli articoli 2 e 8 e che una violazione di tali diritti deriverebbe, secondo il modo in cui sono state formulate le denunce, da una mancata adozione da parte dello Stato di misure volte a proteggere la vita e la salute dei membri delle associazioni.

Per quanto riguarda l’articolo 2, la Corte ha ritenuto che tale diritto, per sua natura, non possa essere esercitato da un’associazione, ma solo dai suoi membri (cfr. Yusufeli, cit., § 41, e i riferimenti ivi citati). La Corte ha anche ritenuto che sarebbe inconcepibile che l’integrità fisica, suscettibile di essere goduta dagli esseri umani, possa essere attribuita a una persona giuridica (CEDU Id. e altri c. Georgia, 12/5/2015, n. 73235/12, § 45). La Corte ha inoltre sottolineato che un’associazione non è in linea di principio in grado di invocare considerazioni di salute per dedurre una violazione dell’articolo 8 (CEDU Greenpeace EV e altri c. Germania (dec.), 12/5/2009, n. 18215/06). Ha anche ritenuto che un’associazione non potrebbe rivendicare lo status di vittima rispetto a un ricorso sollevato ai sensi dell’articolo 8 quando la presunta violazione del diritto derivasse da fastidi o problemi che possono essere incontrati solo da persone fisiche (CEDU As. e altri c. Lussemburgo (dec.), 29/6/1999, n. 29121/95). Poiché la violazione lamentata nel caso di specie ai sensi dell’articolo 8 si sovrapponeva sostanzialmente a quella lamentata ai sensi dell’articolo 2 e derivava da un pericolo per la salute derivante dall’esposizione a un fenomeno di inquinamento, che può colpire solo le persone fisiche, la Corte ha ritenuto che le associazioni ricorrenti non potessero essere considerate “direttamente colpite”.

Quanto alla doglianza relativa alla fornitura di informazioni da parte delle autorità, la Corte ha rilevato anzitutto che la doglianza delle associazioni ricorrenti non riguardava un’asserita omissione di accesso alle informazioni esistenti, obbligo positivo che la Corte ha, a determinate condizioni, riconosciuto e per il quale le associazioni sono state considerate vittime a pieno titolo (si veda, ad esempio, e dal punto di vista dell’articolo 10, CEDU Association Burestop 55 e altri c. Francia, 1/7/2021, nn. 56176/18 e altri 5, § 83; CEDU Magyar Helsinki Bizottság c. Ungheria [GC], 8/11/2016, n. 18030/11, §§ 149-156). La doglianza verteva piuttosto sull’asserita omissione da parte delle autorità di fornire, d’ufficio, informazioni sui rischi per la salute dei loro membri in relazione al fenomeno di inquinamento in questione. A questo proposito, la Corte ha riconosciuto, in numerosi casi riguardanti attività pericolose, l’esistenza di un obbligo positivo di informazione nell’ambito delle misure di prevenzione previste dall’aspetto sostanziale degli articoli 2 e 8 (vedi CEDU Ö. c. Turchia [GC], 30/11/2004, n. 48939/99, §§ 89-90; CEDU Ta. c. Romania, 27/1/2009, n. 67021/01, § 88); e, implicitamente, CEDU Gu. e altri c. Italia, 19/2/1998, n. 14967/89, §§ 57-60). Lo ha fatto, tuttavia, rispetto alle persone fisiche che vivono in prossimità di attività pericolose, al fine di consentire a tali individui di valutare i rischi per la loro vita, salute e integrità fisica derivanti dall’esposizione a tali attività e di effettuare scelte di conseguenza. In tale contesto, secondo la Corte, sarebbero ancora una volta i singoli membri delle associazioni, in quanto persone fisiche, a essere direttamente interessati dall’omissione contestata di fornire le informazioni lamentate (cfr., mutatis mutandis, Yusufeli, cit., § 43). Pur riconoscendo il ruolo chiave delle associazioni ambientaliste, tuttavia, la Corte EDU ha osservato che laddove un’associazione ricorrente si basa esclusivamente sui diritti individuali dei suoi membri, e senza dimostrare di essere stata essa stessa sostanzialmente colpita in alcun modo, non le può essere concesso lo status di vittima ai sensi di una disposizione sostanziale della Convenzione.

È ben vero che nella sentenza CEDU Verein KlimaSeniorinnen Schweiz e altri c. Svizzera [GC], 9/4/2024, n. 53600/20, la Corte di Strasburgo ha recentemente riconosciuto la possibilità di attribuire alle associazioni la legittimazione ad agire, subordinatamente a un una serie di condizioni molto specifiche, per presentare un ricorso ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione in qualità di rappresentanti degli individui i cui diritti sono o saranno presumibilmente interessati. Tuttavia, la Corte ha anche chiarito che questo riconoscimento della legittimazione delle associazioni era giustificato da “considerazioni specifiche relative al cambiamento climatico” e “dalla caratteristica speciale del cambiamento climatico come preoccupazione comune dell’umanità e dalla necessità di promuovere la condivisione degli oneri intergenerazionali in questo contesto” e limitato a “questo contesto specifico”.

Nel caso di specie, che non riguarda palesemente la questione del cambiamento climatico, la Corte non ha individuato altre “considerazioni speciali” (vedi Verein KlimaSeniorinnen Schweiz e altri, cit., § 475) o “circostanze eccezionali” (vedi CEDU Centre for Legal Resources per conto di Va. Câ. c. Romania [GC], 17/7/2014, n. 47848/08, § 112) che potevano condurla a concedere alle associazioni ricorrenti la legittimazione ad agire per conto dei loro membri, le presunte vittime dirette, senza un’autorità specifica per farlo.

Venendo, poi, ad esaminare la questione centrale, riguardante la violazione del diritto alla vita accolta con riferimento a sei ricorrenti, deve essere qui ricordato che la Corte è solita affermare che l’articolo 2 della Convenzione non riguarda solo i decessi risultanti dall’uso della forza da parte di agenti dello Stato, ma stabilisce anche, nella prima frase del suo primo paragrafo, un obbligo positivo per gli Stati di adottare tutte le misure appropriate per salvaguardare la vita di coloro che rientrano nella loro giurisdizione (vedere, tra le altre, CEDU LCB c. Regno Unito, 9/6/1998, n. 23413/94, § 36; CEDU Ö. c. Turchia [GC], n. 48939/99, § 71, CEDU 2004-XII, e CEDU Bu. e altri c. Russia, 20/3/2008, n. 15339/02, § 128). Inoltre, questo articolo, letto nel suo insieme, copre non solo le situazioni in cui una certa azione o omissione da parte dello Stato ha portato alla morte lamentata, ma anche situazioni in cui, sebbene il ricorrente sia sopravvissuto, sussisteva chiaramente un rischio per la sua vita (vedere, mutatis mutandis, CEDU, M. c. Grecia [GC], 20/12/2004, n. 50385/99, §§ 49-55; CEDU Ko. e altri c. Russia, 28/2/2012, nn. 17423/05 e altri 5, § 151).

La Corte ha ritenuto che tale obbligo debba essere interpretato come applicabile nel contesto di qualsiasi attività, pubblica o meno, in cui possa essere in gioco il diritto alla vita (vedere, tra gli altri, Ö., citata sopra, § 71; e CEDU Br. e altri c. Malta, 24/7/2014, nn. 60908/11 e altri 4, § 101). La Corte ha ritenuto che l’obbligo di adottare tutte le misure appropriate per salvaguardare la vita si applica a fortiori nel contesto di attività che possono rappresentare un rischio per la vita umana a causa della loro natura intrinsecamente pericolosa. Tra queste rientrano la gestione di siti di raccolta dei rifiuti (vedi Ö., citato sopra, § 71), test nucleari (vedi LCB c. Regno Unito, citato sopra, § 36) e la gestione di una riserva idrica in una regione soggetta a forti piogge e tifoni (vedi CEDU Ko. ed altri c. Russia, 28/2/2012, n. 17423/05, § 164).

Ha anche ritenuto che, affinché l’articolo 2 si applichi nel contesto di un’attività che, per sua stessa natura, è in grado di mettere a rischio la vita di un individuo, deve esserci un rischio “reale e imminente” per la vita. Potrebbe essere impossibile elaborare una regola generale su cosa costituisca un rischio “reale e imminente” per la vita, poiché ciò dipenderà dalla valutazione da parte della Corte delle circostanze particolari di un caso (vedere, mutatis mutandis, CEDU Verein KlimaSeniorinnen Schweiz e altri c. Svizzera [GC], 9/4/2024, n. 53600/20, §§ 511-12). Tuttavia, la giurisprudenza della Corte indica che il termine rischio “reale” corrisponde al requisito dell’esistenza di una minaccia grave, genuina e sufficientemente accertabile per la vita (ibid., § 512, con ulteriori riferimenti). L’“imminenza” di un tale rischio comporta un elemento di prossimità fisica della minaccia e di prossimità temporale della stessa (ibid., con ulteriori riferimenti).

Nel determinare se le autorità avessero un obbligo positivo di adottare tutte le misure appropriate per salvaguardare la vita, la Corte ha anche considerato se le autorità nazionali sapessero o avrebbero dovuto sapere che i ricorrenti erano stati esposti a una minaccia per la vi-ta (vedi Ö., citato sopra, § 101; B., citato sopra, § 105; e, mutatis mutandis, CEDU Vi. e altri c. Norvegia, 5/12/2013, nn. 52806/09 e 22703/10, §§ 222-23). Una volta accertata quest’ultima, il compito della Corte è di determinare se, date le circostanze del caso, lo Stato abbia fatto tutto ciò che gli si poteva chiedere per impedire che la vita del ricorrente fosse messa in pericolo in modo evitabile (vedi LCB c. Regno Unito, citato sopra, § 36).

La Corte ribadisce che l’obbligo positivo di adottare tutte le misure appropriate per salvaguardare la vita ai sensi dell’articolo 2 comporta, in primo luogo, un dovere primario dello Stato di predisporre un quadro legislativo e amministrativo concepito per fornire un’efficace deterrenza contro le minacce del diritto alla vita (vedi Ö., citato sopra, § 89, e Bu. e altri, citato sopra, § 129). Quanto alla scelta di particolari misure operative volte a proteggere i cittadini la cui vita potrebbe essere messa in pericolo dai rischi intrinseci posti da attività pericolose, la Corte ha costantemente sostenuto che, quando lo Stato è tenuto ad adottare misure positive, la scelta dei mezzi è in linea di principio una questione che rientra nel margine di apprezzamento dello Stato contraente (vedi Ö., citato sopra, §§ 71 e 90).

Esistono diverse vie per garantire i diritti della Convenzione e, anche se lo Stato non ha applicato una particolare misura prevista dal diritto interno, può comunque adempiere al suo dovere positivo con altri mezzi. A questo riguardo, non si deve imporre un onere impossibile o sproporzionato alle autorità senza considerare, in particolare, le scelte operative che devono fare in termini di priorità e risorse; ciò deriva dall’ampio margine di apprezzamento di cui godono gli Stati, come la Corte ha precedentemente affermato, in difficili ambiti sociali e tecnici (vedere Bu. e altri, citato sopra, §§ 134-35, e le sentenze ivi citate).

La Corte ha anche osservato, in determinati contesti, che affinché le misure siano efficaci, spetta alle autorità pubbliche agire in tempo utile, in modo appropriato e coerente (vedere, ad esempio, nel contesto del cambiamento climatico, Verein Kli-maSeniorinnen Schweiz e altri, citato sopra, § 548). La Corte ha anche sostenuto che tra le misure preventive occorre porre particolare enfasi sul diritto del pubblico all’informazione (vedi Ö., citato sopra, §§ 89-90, e Bu. e altri, citato sopra, § 132). In relazione all’articolo 8, la Corte ha affermato che esiste un obbligo positivo per gli Stati di fornire l’accesso alle informazioni essenziali che consentono agli individui di valutare i rischi per la loro salute e la loro vi-ta (vedi Gu. e altri, cit., §§ 57-60; CEDU Ló. Os. c. Spagna, 9/12/1994, n. 16798/90, § 55; CEDU McGi. e Eg. c. Regno Unito, 9/6/1998, n. 21825/93, §§ 98-104; CEDU Roche c. Regno Unito [GC], 19/10/2005, n. 32555/96, §§ 157-69). La Corte ha accettato che tale obbligo possa, in determinate circostanze, comprendere anche il dovere di fornire tali informazioni (vedi Verein KlimaSeniorinnen Schweiz e altri, citata sopra, § 538; Br. e altri, citata sopra, § 102; Vi. e altri, citata sopra, § 235, e LCB c. Regno Unito, citata sopra, §§ 38-41; e T., citata sopra, § 122). Ha inoltre riconosciuto che nel contesto delle attività pericolose, la portata degli obblighi positivi previsti dagli articoli 2 e 8 della Convenzione si sovrappone ampiamente (vedi Br. e altri, citata sopra, § 102).

Analizzando il caso della Terra dei Fuochi, la Corte di Strasburgo – dopo aver puntualizzato che lo stesso differisce da quei casi ambientali che hanno riguardato una singola, identificata e circoscritta fonte di inquinamento o un’attività che la causa, e un’area geografica più o meno limitata (vedere, tra gli altri, Ló. Os. c. Spagna, 9/12/1994, cit.; CEDU Fa. c. Russia, 9/6/2005, n. 55723/00; CEDU Gi. c. Italia, 2/11/2006, n. 59909/00; CEDU Le. e altri c. Russia, 26/10/2006, nn. 53157/99 e altri 3; Ta., citato sopra; CEDU Du. e altri c. Ucraina, 10/2/2011, n. 30499/03; e CEDU Ko. e altri c. Russia, 11/10/2022, nn. 6142/18 e altri 13) o l’esposizione a una particolare sostanza rilasciata da una fonte chiaramente identificabile (vedi, ad esempio, Br. e altri, citata sopra) – ha evidenziato come, nel caso in esame, si è trovata di fronte a una forma di inquinamento particolarmente complessa e diffusa che si verifica principalmente, ma non esclusivamente, su terreni privati. Ha ritenuto che non vi potesse essere alcun dubbio che lo scarico illegale e quindi del tutto non regolamentato, spesso accompagnato da incenerimento, e l’interramento di rifiuti pericolosi fossero attività intrinsecamente pericolose che potevano rappresentare un rischio per la vita umana.

Tuttavia, ha precisato che lo Stato italiano era venuto meno all’obbligo, imposto dall’art. 2, di adottare adegua-te misure rispetto alle circostanze del caso concreto (dovendosi, a tal fine, ricordare che secondo la giurisprudenza della Corte EDU la portata degli obblighi che incombono alle autorità statali in un dato contesto dipende dall’origine della minaccia, dal tipo di rischi in questione e dalla misura in cui l’uno o l’altro rischio è suscettibile di attenuazione: vedi Bu. e altri, citata sopra, §§ 136-37; Ko., citata sopra, § 161; e CEDU Sm. c. Croazia, 25/3/2021, n. 35983/14, § 70). Sotto tale profilo, la natura e la gravità della minaccia richiedevano una risposta sistematica, coordinata e completa da parte delle autorità italiane, del tutto carente tanto da un punto di vista degli strumenti normativi (soprattutto per quanto concerne le misure per contrastare lo scarico illegale, l’interramento e l’incenerimento dei rifiuti) che dal punto di vista organizzativo, sia sul piano degli interventi di bonifica che degli interventi a tutela del diritto alla salute.

Particolarmente critica è la Corte EDU, poi, con riferimento allo strumentario penale offerto per il contrasto a tale fenomeno di inquinamento, osservando come, fino al 2015 (data di entrata in vigore della normativa sugli ecodelitti, ossia la L. n. 68/2015), la risposta legislativa è apparsa non solo poco convincente in termini di efficacia, ma anche lenta e frammentaria, con singoli reati gravi creati nel tempo ma senza alcun tentativo di rivisitare, in modo olistico, le carenze del sistema penale individuate dalle stesse commissioni parlamentari d’inchiesta susseguitesi.

Una vera e propria “stilettata” viene poi indirizzata dalla Corte EDU al legislatore italiano al § 461 della sentenza in cui si legge testualmente: “la Corte rileva che nel 2018 la XII Commissione del Senato italiano ha affermato che le autorità avevano “iniziato” a valutare la portata critica della situazione nell’area della Campania nota come Terra dei Fuochi, di cui erano ben informate, e ad agire, con notevole ritardo, e avevano iniziato ad adottare misure concrete per affrontare il fenomeno solo nel 2013 (vedere paragrafo 73 sopra). Data la natura del problema di inquinamento in questione e il tipo di rischi interessati, la Corte ritiene che tale ritardo nell’adottare misure sia inaccettabile. La Corte è inoltre portata a concludere, sulla base del materiale a sua disposizione, che prima del 2013 le misure per affrontare il fenomeno dell’inquinamento erano, nella migliore delle ipotesi, frammentate e che non è possibile rilevare sforzi significativi per affrontare il problema in modo sistematico, completo e coordinato”, conclusioni ulteriormente rafforzate nel successivo § 465 della sentenza in cui si afferma, altrettanto lapidariamente, come “la Corte ritiene che il Governo non abbia dimostrato che le autorità italiane abbiano affrontato il problema della Terra dei Fuochi con la diligenza giustificata dalla gravità della situazione e ritiene che non siano riuscite a dimostrare che lo Stato italiano abbia fatto tutto quanto gli si poteva chiedere per proteggere la vita dei ricorrenti”.

Insomma, una condanna senza appello, che deve farci riflettere su come per decenni si sia gestito in maniera approssimativa il fenomeno dell’inquinamento in quell’area del territorio nazionale, tristemente definita Terra dei Fuochi, e che ha condotto la Corte EDU, proprio per la por-tata “sistemica” del problema all’adozione di una sentenza “pilota”, necessaria per risolvere un problema “strutturale” facendo riferimento in particolare alle carenze sistemiche che hanno caratterizzato la risposta dello Stato al problema in questione, come esposto nella sentenza, al gran numero di persone interessate e all’urgente necessità di garantire loro un rapido e appropriato risarcimento a livello nazionale.

L’Italia avrà due anni a disposizione per attuare quanto richiesto dalla Corte EDU (sviluppare, in opportuna consultazione con le parti interessate locali, regionali e/o nazionali (compresi i rappresentanti della società civile e le associazioni pertinenti), una strategia globale che riunisca tutte le misure esistenti o previste, a ogni livello dell’apparato statale, al fine di affrontare il fenomeno dell’inquinamento in questione; decontaminazione delle aree interessate dall’inquinamento ambientale in questione, così come la messa in sicurezza delle aree contaminate; istituire un meccanismo indipendente a livello nazionale per monitorare l’attuazione e l’impatto delle misure introdotte nell’ambito di qualsiasi strategia globale sul problema della Terra dei Fuochi e per valutare il rispetto delle tempistiche ivi stabilite; istituire un’unica piattaforma di informazione pubblica che riunisca, in modo accessibile e strutturato, tutte le informazioni pertinenti relative al problema della Terra dei Fuochi e le misure adottate o previste per affrontarlo, con informazioni sul loro stato di attuazione, e che prendano disposizioni per il suo aggiornamento regolare).

Nelle more, però, la Corte ha deciso che, in attesa dell’adozione da parte delle autorità nazionali, sotto la supervisione del Comitato dei Ministri, delle misure necessarie a livello nazionale, essa rinvierà l’esame di qualsiasi ricorso di cui il Governo non sia ancora stato informato, per un periodo di due anni a partire dalla data in cui la sentenza sarà divenuta definitiva. Adesso l’Italia avrà tre mesi di tempo per decidere se chiedere il rinvio alla Grande Camera. Sembrerebbe, tuttavia, che non vi siano le condizioni per poterlo fare, anche alla luce del voto favorevole espresso dal giudice in rappresentanza dell’Italia, ma soprattutto alla luce delle argomentazioni svolte a sostegno dell’accertamento della violazione. Restiamo, però, in attesa di eventuali sviluppi. Forse la partita potrebbe non essere chiusa.

Esito del ricorso:

Accolto parzialmente

Precedenti giurisprudenziali:

Corte e.d.u., Yusufeli İlçesini Güzelleştirme Yaşatma Kültür Varlıklarını Koruma Derneği c. Turchia (dec.), 20 gennaio 2022, n. 37857/14

Corte e.d.u., Id. e altri c. Georgia, 12 maggio 2015, n. 73235/12

Corte e.d.u., Greenpeace EV e altri c. Germania (dec.), 12 maggio 2009, n. 18215/06

Corte e.d.u., As. e altri c. Lussemburgo (dec.), 29 giugno 1999, n. 29121/95

Corte e.d.u., Association Burestop 55 e altri c. Francia, 1° luglio 2021, nn. 56176/18 e altri 5

Corte e.d.u., Magyar Helsinki Bizottság c. Ungheria [GC], 8 novembre 2016, n. 18030/11

Corte e.d.u., Ö. c. Turchia [GC], 30 novembre 2004, n. 48939/99

Corte e.d.u., Ta. c. Romania, 27 gennaio 2009, n. 67021/01

Corte e.d.u., Gu. e altri c. Italia, 19 febbraio 1998, n. 14967/89

Corte e.d.u., Verein KlimaSeniorinnen Schweiz e altri c. Svizzera [GC], 9 aprile 2024, n. 53600/20

Corte e.d.u., Centre for Legal Resources per conto di Va. Câ. c. Romania [GC], 17 luglio 2014, n. 47848/08

Corte e.d.u., LCB c. Regno Unito, 9 giugno 1998, n. 23413/94

Corte e.d.u., Bu. e altri c. Russia, 20 marzo 2008, n. 15339/02

Corte e.d.u., M. c. Grecia [GC], 20 dicembre 2004, n. 50385/99

Corte e.d.u., Ko. e altri c. Russia, 28 febbraio 2012, nn. 17423/05 e altri 5

Corte e.d.u., Br. e altri c. Malta, 24 luglio 2014, nn. 60908/11 e altri 4

Corte e.d.u., Ko. ed altri c. Russia, 28 febbraio 2012, n. 17423/05

Corte e.d.u., Vi. e altri c. Norvegia, 5 dicembre 2013, nn. 52806/09 e 22703/10

Corte e.d.u., Ló. Os. c. Spagna, 9 dicembre 1994, n. 16798/90

Corte e.d.u., McGi. e Eg. c. Regno Unito, 9 giugno 1998, n. 21825/93

Corte e.d.u., Roche c. Regno Unito [GC], 19 ottobre 2005, n. 32555/96

Corte e.d.u., Fa. c. Russia, 9 giugno 2005, n. 55723/00

Corte e.d.u., Gi. c. Italia, 2 novembre 2006, n. 59909/00

Corte e.d.u., Le. e altri c. Russia, 26 ottobre 2006, nn. 53157/99 e altri 3

Corte e.d.u., Du. e altri c. Ucraina, 10 febbraio 2011, n. 30499/03

Corte e.d.u., Ko. e altri c. Russia, 11 ottobre 2022, nn. 6142/18 e altri 13

Corte e.d.u., Sm. c. Croazia, 25 marzo 2021, n. 35983/14

Riferimenti normativi:

Convenzione e.d.u., art. 2 (violazione – 6 ricorrenti)

Convenzione e.d.u., artt.2/8 (non viol. – associaz.)

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