Terzani (Commercialisti): “Parlamento intervenga subito su responsabilità collegi sindacali”

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(Teleborsa) – “La responsabilità dei componenti del collegio sindacale pone amministratori e sindaci sullo stesso piano. Questa responsabilità solidale l’abbiamo sempre contestata perché è impensabile che queste due figure abbiano uguali responsabilità. Ricordo una raccomandazione della Commissione europea che ha raccomandato una modifica ponendo dei tetti alla quantificazione del danno derivante da omesso controllo. In Italia non si è mai fatto. Il Consiglio nazionale ha proposto la modifica del 2407 proponendo che il Collegio sindacale, al di fuori dei casi di dolo, può rispondere solo per un multiplo del compenso percepito. La riforma è passata in prima lettura e aspettiamo l’approvazione definitiva al più presto”. Lo ha dichiarato Enrico Terzani, presidente dell’Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili di Firenze, nel corso del Cnpr Forum speciale, dedicato alla tavola rotonda “La crisi demografica ed il futuro dei sistemi previdenziali”, nell’ambito dell’ottavo ‘Forum nazionale’, promosso da Italia Oggi e patrocinato dalla Cassa di previdenza dei ragionieri e degli esperti contabili, presieduta da Luigi Pagliuca.

“Il tema delle specializzazioni – ha poi aggiunto Terzani – non è nuovo per la nostra categoria e oggi parliamo della modifica introdotta con l’art. 39 bis del decreto 139 che tenta di reintrodurle, dopo la nascita delle 14 scuole di alta formazione che si sono costituite in tutta Italia. Le specializzazioni – ha sostenuto Terzani – sono a questo punto necessarie perché la nostra professione è divisa in troppi albi di diverso tipo che obbligano i professionisti ad iscriversi e a fare formazione obbligatoria pagando una tassa d’ingresso. Solo per lavorare con il tribunale ci sono sei albi diversi. Una follia. Come ordine di Firenze chiediamo una razionalizzazione di tutti questi albi”.

Sul tema della riforma si è soffermata anche Marcella Caradonna, presidente dell’Odcec di Milano: “Sulla riforma del nostro ordinamento professionale siamo critici nei confronti del testo proposto alla politica dal Consiglio nazionale. Un testo che, a mio parere, non crea identità, non sono chiare le finalità della riforma stessa e si parcellizza la nostra attività. L’articolo 1 che è quello che ci definisce, sembra una lunga lista della spesa di competenze dove alla fine non ci si identifica in niente. Invece di riflettere su una corretta definizione ci si è persi nelle varie aree dove siamo impegnati. Specializzazioni che sviliscono ancora una volta le nostre competenze di commercialisti generalisti. C’è poi il problema della struttura della nostra categoria con l’introduzione di una riforma elettorale molto complessa e farraginosa che consente al Consiglio nazionale di poter agire senza avere nessun tipo di controllo da parte dei portatori di interessi reali della categoria. A questo si aggiunga regole di disciplina obsolete anche per le compatibilità che oggi hanno sempre meno senso. Questa norma – ha rimarcato Caradonna – sembra essere il frutto di tanta fretta senza il necessario confronto continuativo e di elaborazione con i territori. Noi abbiamo la responsabilità del futuro dei nostri giovani e non è di certo così che li tuteliamo. Per ciò che attiene il codice deontologico spiace verificare come ci sia una visione a mio parere penalistica. Essere iscritti a un ordine vuol dire avere una condivisione di valori e di condotta, accettando le eventuali sanzioni qualora non si rispetti il codice. Il codice deontologico deve affermare i princìpi cardine non come divieto. Quest’ultimo è solo una eventuale conseguenza”.

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Per il numero uno della Cnpr, Luigi Pagliuca “il dialogo con le istituzioni si sviluppa su due fronti: da un lato, c’è un confronto aperto e sincero con il governo sulle principali riforme in corso; dall’altro, non possiamo ignorare le difficoltà che molti colleghi incontrano nel rapportarsi con l’Agenzia delle Entrate. Pur essendo evidente l’intenzione di rafforzare il supporto ai cittadini, resta incomprensibile perché questo debba avvenire escludendo i professionisti che assistono i contribuenti.

Non vorrei che dietro questo approccio vi fosse l’intento di disintermediare il ruolo del professionista. Di fronte a tale scenario, sarà sempre più necessario puntare sull’aggregazione professionale per rafforzare la nostra posizione. I dati dimostrano chiaramente che lavorare in forma aggregata comporta vantaggi in termini di fatturato. Tuttavia, questa strada sembra spesso essere lasciata esclusivamente all’iniziativa dei singoli, senza un reale sostegno istituzionale.

Per quanto riguarda l’avanzata delle nuove tecnologie e l’integrazione dell’intelligenza artificiale nelle professioni, è evidente che ci troviamo di fronte a uno ‘tsunami’ tecnologico al quale non si può opporre resistenza. È più utile coglierne gli indubbi vantaggi, come il risparmio di tempo in molte attività operative. Ciò detto – ha concluso Pagliuca -, il ruolo dei professionisti rimane imprescindibile, anche per la gestione dei nuovi sistemi tecnologici. Dobbiamo acquisire una crescente familiarità con questi strumenti, ma continueremo a essere il fulcro del processo decisionale e operativo”

Nel corso del Cnpr Forum, condotto da Anna Maria Belforte, è stata effettuata un’analisi sulla tassazione a carico degli enti previdenziali professionali da parte di Paolo Longoni (consigliere dell’Istituto Nazionale Esperti Contabili): “Un aspetto delicato riguarda il trattamento fiscale dei redditi delle Casse di previdenza. Due sono i punti critici: Le fatturazioni interne tra professionisti o tra professionisti e Stp, che subiscono un doppio assoggettamento al contributo integrativo del 4%.

La doppia tassazione dei rendimenti: le ‘Casse’ pagano un’imposta sostitutiva dell’Ires al 26% sui redditi generati dal patrimonio e, successivamente, le pensioni erogate sono nuovamente sottoposte a imposizione fiscale. Molti Paesi europei non applicano questo regime penalizzante, ed è necessario che anche l’Italia si adegui.

Infine – ribadisce Longoni -, va affrontata la questione dell’aliquota sugli investimenti. Pur essendo enti di diritto privato con funzioni pubbliche, le Casse di previdenza, sottoposte ai controlli dei Ministeri del Lavoro e delle Finanze, pagano un’imposta del 26% sugli investimenti. Al contrario, i fondi pensione, gestiti da banche o assicurazioni, sono tassati al 20%. Un paradosso evidente che necessita di una correzione urgente”.





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