Dazi, Meloni fa da pontiere. L’idea del doppio binario nel dialogo tra Ue e Usa

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«Make Europe great again», scrive Elon Musk su X. Ma mentre il patron di Tesla richiama il celebre slogan di Donald Trump declinandolo in salsa europea, il Vecchio Continente è chiamato a fare i conti con la grana dei dazi piantata da Donald Trump. A Bruxelles, dove oggi i leader dei 27 si vedranno e dove in serata è atteso anche il premier britannico Keir Starmer, il convitato di pietra sarà ancora una volta lui, The Donald. È il primo vertice informale europeo dal ritorno del tycoon alla Casa Bianca. Giorgia Meloni ci arriva in una posizione di apparente forza. Dopo il faccia a faccia a Parigi e il blitz a Mar-a-Lago, è stata l’unico leader europeo a volare fino a Washington per l’Inauguration day che ha segnato il ritorno del Presidente repubblicano alla guida degli Usa. Ed è lei, la premier italiana, quella che potrebbe oliare il dialogo con gli States.

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Domani i rialzi delle tariffe alla dogana voluti da Trump scatteranno in Messico, Canada e Cina, poi – la deadline è ancora incerta – toccherà all’Europa. Che tenta di non farsi trovare impreparata dalla guerra commerciale promessa dal tycoon. E, soprattutto, di non lasciarsi spaccare. «L’Unione europea crede fermamente che tariffe basse promuovano la crescita e la stabilità economica e reagirà con fermezza se sarà presa di mira da tariffe doganali ingiuste», mette in chiaro la Commissione, esprimendo «rammarico» per le prime mosse di Trump nella battaglia all’insegna del protezionismo a stelle e strisce. Mentre dal Consiglio direttivo della Bce si rimarca come i rincari alla dogana non siano «la strada giusta» e a pagarne il prezzo saranno i consumatori: «Una guerra commerciale ha solo perdenti», osserva Klaas Knot, membro del Consiglio direttivo di Francoforte. Il timore, che si respira nei corridoi di Bruxelles, è che Trump tenda la trappola del divide et impera, applicando pesi e misure differenti. Avviando un dialogo “one to one”, che finirebbe per avvantaggiare pochi, gli “amici”, e lasciare sul campo un’Europa ancor più debole e sfilacciata. L’Ue deve farsi trovare pronta a trattare, a difendere i propri interessi e la sua unità già parecchio incrinata. E Meloni può diventare una pedina decisiva sullo scacchiere del negoziato con gli States. Lo sa bene Ursula von der Leyen, che punta fiches sul rapporto privilegiato con la premier italiana. Meloni, che arriverà a Bruxelles dopo due giorni di respiro da una settimana durissima, i segni dello stress impressi anche sul volto dove ha fatto capolino un orzaiolo, è decisa a far la sua parte, per l’Europa sì, ma anche per tutelare gli interessi italiani sugli altri dossier che le stanno a cuore. Compresa la partita migranti, dove confida in una sponda europea per accelerare sull’adozione del nuovo patto sui migranti e asilo. Sui dazi Meloni punta sul dialogo con gli Usa, evitando il muro contro muro. Convinta che andare allo scontro finirebbe solo per innescare una guerra senza vincitori né vinti. Tanto più che Trump minaccia l’adozione di una “clausola di reazione”, per punire chi tenterà falli di rimando.

IL DIALOGO

Meloni, racconta chi le è vicino, ricorderà che il protezionismo non è riconducibile solo e soltanto al nuovo inquilino della Casa Bianca, e a tal proposito richiamerà l’Inflation Reduction Act, il piano da 400 miliardi di dollari voluto da Joe Biden per proteggere le aziende americane dall’inflazione. Oggi come ieri – il messaggio che consegnerà a Bruxelles nelle prossime ore – l’Europa è chiamata a dotarsi di strumenti che aiutino le sue imprese, che le alleggeriscano da zavorre che finiscono per renderle meno competitive. «La guerra dei dazi non conviene a nessuno. Anche perché i negoziati dovranno tenere conto dei legami Ue-Usa. Abbiamo idee e strategia per tutelare le nostre imprese con l’Italia che sarà il miglior ambasciatore Ue nel dialogo con Washington», scrive su X Antonio Tajani.

Ma i dazi non sono l’unico cruccio sul tavolo dei 27. L’ordine del giorno del vertice informale a Palais d’Egmont ruota intorno al tema della difesa. E anche qui è Trump a fare la differenza. Il tycoon batte i pugni e chiede un cambio di passo che pone l’Europa in affanno, puntando l’asticella delle spese in difesa dei Paesi Nato al 5% del Pil. «La spara grossa per arrivare a un punto di caduta ragionevole», la convinzione generalizzata. La previsione più realistica è che il vertice della Nato a Washington del prossimo giugno fissi una spesa che si aggiri attorno al 2,5-3%. Per l’Italia, ferma poco sopra l’1,5, una vera e propria “mission impossible”. Che Meloni cercherà di portare a casa battendo sul doppio binario Usa-Ue.
 

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