Cremona Sera – Giacomo Matteotti: la riscoperta di un eroe della democrazia

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L’anno che da poco ci siamo lasciati alle spalle – ‘complice’ il centenario del “delitto Matteotti” (10 giugno 1924) e, forse, anche qualche elemento attinente all’attualità politica italiana – si è caratterizzato per una rinnovata attenzione nei confronti della figura del deputato socialista, sul versante politico e istituzionale ma anche da parte di valenti studiosi. Proprio alcune recenti pubblicazioni monografiche – tutte disponibili presso la Biblioteca dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano – hanno il merito di restituirci, con metodo e rigore storiografico, un profilo più integrale e realistico di Giacomo Matteotti. 

Gianpaolo Romanato, per esempio, in ‘Giacomo Matteotti. Un italiano diverso’ (Bompiani, 2024), muovendo dall’assunto che ‘nulla si può aggiungere a quanto è già stato scritto sul delitto Matteotti’, si concentra sul ruolo che il segretario del Partito socialista unitario (PSU) – la componente riformista del socialismo – ebbe nella politica del tempo e sul Suo lato umano, poco conosciuto. La Sua biografia prende, quindi, le mosse dal corpus epistolare tra Giacomo e l’amata moglie Velia, una corrispondenza intima e fittissima che si estende dal 1912 al 1924, anno della morte di Lui, oltre che una testimonianza di enorme valore storico, finora ingiustamente trascurata. Si tratta di documenti da cui emergono la forza interiore del deputato socialista ma anche le fragilità e le contraddizioni nascoste dietro un’energia e una volontà incrollabili; soltanto queste lettere ne palesano pienamente la solitudine, i giudizi taglienti su alcuni compagni di partito e sulla fallimentare politica dei socialisti nel primo dopoguerra, la stima per qualche avversario, i sacrifici imposti alla famiglia e i dubbi che oscuravano le Sue granitiche certezze. Matteotti si rivela uomo duro, intransigente, mai disponibile al compromesso, politico spesso settario che non faceva sconti a nessuno, neppure a se stesso, che suscitava scarse simpatie anche nel Suo partito, probabilmente amato soltanto dai poveri contadini polesani dei quali aveva sposato la causa. Il mito che nacque già all’indomani del Suo assassinio non deve trarre in inganno: in vita fu un uomo profondamente divisivo. Ma fu anche un combattente intrepido, un osservatore lucido che comprese la natura del fascismo prima e meglio di tutti, l’unico che in Parlamento non smise mai di parlare e che per questo pagò un prezzo crudele.

“Fin dall’inizio dell’avventura fascista si era dimostrato un irriducibile avversario del movimento mussoliniano, contro il quale aveva pronunciato alla Camera durissime requisitorie. L’ultima, la più implacabile, fu nella seduta del 30 maggio 1924”. “Nonostante ciò, pur essendo una figura di primo piano della politica italiana, non godeva di particolare notorietà”. “A trasformare il deputato rodigino in un protagonista assoluto della storia italiana fu ciò che accadde a Roma nel pomeriggio del 10 giugno, poco dopo le ore 16.00, quando fu aggredito sul Lungotevere Arnaldo da Brescia, caricato a forza su un’automobile e, con tutta probabilità, selvaggiamente assassinato poco dopo all’interno del veicolo. Da quel momento Egli è diventato il “delitto Matteotti”, le cui conseguenze, come sappiamo, hanno cambiato la storia del nostro Paese avviando la svolta che, con il varo delle leggi cosiddette “fascistissime”, ha aperto la strada alla dittatura”. La trasfigurazione del personaggio fu immediata. Pochi giorni dopo la scomparsa, Sandro Pertini lo definiva già “il grande Martire”. L’ispirata commemorazione che ne fece Filippo Turati, in una sala di Montecitorio il 27 giugno, fece il resto, avviando “una specie di santificazione laica”. Certamente il delitto fu un evento che “commosse tutto il mondo civile” (Luigi Sturzo) e Mussolini visse “uno dei momenti più difficili del Suo lungo periodo di governo. Da vivo Matteotti era una voce che si poteva zittire. Da morto divenne un’ombra inafferrabile e paurosa, un testimone il cui silenzio era più eloquente delle parole”. “Per tutto il ventennio Matteotti continuò a vivere tanto per i fascisti, che cercarono in tutti i modi di cancellarne il ricordo quanto per gli antifascisti, che ne coltivarono la memoria con religiosa attenzione”. Nel Suo intervento all’Assemblea costituente, Pietro Calamandrei, nel ricordare il “popolo dei morti”, citò come primo nome quello di Giacomo Matteotti. Ma, “durante l’arco della prima repubblica, in questa vittima del fascismo si identificò soprattutto una parte della sinistra, cioè i socialisti, mentre non vi si riconobbero mai i comunisti. È noto lo sprezzante giudizio di Antonio Gramsci…scritto pochi giorni dopo il funerale: “pellegrino del nulla”. “Il futuro apparteneva alla rivoluzione comunista…ciò che proponevano i socialisti riformisti di Matteotti era solo illusione e inganno”. E siccome “furono i comunisti a vincere la battaglia per l’egemonia a sinistra, questo costò caro alla memoria di Matteotti che…rimase patrimonio ideale dei soli socialdemocratici (il PSDI di Giuseppe Saragat) e fu riscoperto dal PSI di Pietro Nenni dopo il 1956, quando ruppe l’accordo con il PCI e avviò la politica di centro-sinistra”. “La situazione è cambiata a partire dagli anni settanta del secolo scorso, quando è iniziata la pubblicazione delle fonti. Nel 1970 è apparsa in tre volumi la raccolta dei Suoi discorsi parlamentari, promossa dall’allora Presidente della Camera Sandro Pertini”. Altre iniziative andarono in porto dopo “un iter lungo e travagliato” e “con molto ritardo”, permanendo un “nodo politico”. “Oggi i Suoi scritti sono liberamente disponibili anche online, insieme con molti altri documenti nel ricco sito web della villa di Fratta Polesine nella quale visse, ora trasformata in museo”. “La disponibilità delle fonti ha rivelato finalmente lo spessore del personaggio… E ha messo in luce la Sua lucida e antiveggente comprensione del fenomeno fascista, della novità e del pericolo che rappresentava per le sorti del Paese, pericolo mal compreso e sottovalutato da quasi tutta la classe politica del tempo, anche di sinistra. Ma ha proposto anche i momenti problematici della Sua vita, la tragedia familiare, i costi enormi che con le Sue scelte impose non soltanto a se stesso, ma anche alla moglie, alla madre, ai tre figli e al cognato”. “Con la dissoluzione della prima repubblica Giacomo Matteotti è uscito definitivamente dagli appiattimenti di parte, dalle contrapposizioni ideologiche ed è entrato nella dimensione della storia”. Un’ampia bibliografia che Lo riguarda consente ormai di approfondirne la conoscenza sotto ogni aspetto.

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Giampaolo Romanato, nel libro, sceglie di dare largo spazio al rapporto con la moglie Velia Titta. “L’epistolario fra i due è una straordinaria storia d’amore e di solitudine, di attrazione e di incomprensione, di dedizione e di sofferenza”. “Nella vita turbinosa di Giacomo, Velia ebbe un’importanza enorme. Gli rimase disperatamente vicina e accettò rassegnata il Suo destino, benché non condividesse il radicalismo del marito… Morì nel 1938, a quarantotto anni, travolta da un destino che non si era cercata ma che aveva sopportato con rassegnata fierezza, chiusa nel silenzio”. L’autore lascia parlare le fonti, anche quando non giovano al protagonista, aderendo sostanzialmente al ritratto che ne scrisse Piero Gobetti, a ridosso dell’assassinio, incentrato sulla Sua solitudine. Se la tragica morte di Matteotti è all’origine del mito, ciò non impedisce a Romanato di sottolinearne anche i limiti, gli errori, le responsabilità, specie nella “bancarotta del socialismo, che si trascinò dietro il fallimento dello Stato liberale e aprì la strada al fascismo”. Rifuggendo da toni agiografici – che in genere incoraggiano reazioni denigratorie – l’autore ricostruisce la storia così come ci è stata tramandata dalle fonti disponibili, ormai ampie. Dedica al “delitto Matteotti” solo le pagine conclusive del libro, incentrando la narrazione sulla vita di Matteotti, molto meno nota.

 

Anche Federico Fornaro, in ‘Giacomo Matteotti. L’Italia migliore’  (Bollati Boringhieri, 2024), con uno sguardo forse più rivolto alla dimensione pubblica del personaggio, si propone di colmare grosso modo la stessa paradossale lacuna; il fatto, cioè, che, a dispetto dell’importanza della figura di Matteotti per la storia italiana (fu deputato del PSI dal 1919 al 1922 e poi – poco prima della Marcia su Roma – segretario del Partito socialista unitario di Filippo Turati e Claudio Treves), la Sua memoria sia ancora sostanzialmente legata solo al Suo assassinio per mano dei fascisti e che, a parte la toponomastica, poco sia stato tramandato nel nostro immaginario collettivo dell’uomo di pensiero e d’azione, del Suo riformismo, della Sua idea di politica, di giustizia sociale, di libertà e di avversione alla guerra. Eppure, proprio «il mito popolare di Matteotti, coltivato clandestinamente durante il ventennio fascista non solo dai fuoriusciti ma anche dalla gente comune, contribuì certamente al sorprendente risultato dei socialisti nelle elezioni per l’Assemblea Costituente del 2 giugno 1946». A cento anni dalla morte, “in un contesto politico nel quale si fa sempre più strada, pericolosamente, una certa strisciante relativizzazione della dittatura fascista di Mussolini”, Federico Fornaro scrive la biografia completa e aggiornata di un politico scomodo, dai Suoi esordi nel Polesine fino al Suo tragico epilogo, per analizzarne il pensiero e la statura morale, andando oltre la sterile celebrazione del martire. Ne esce un ritratto a tutto tondo, capace di restituirci i lineamenti del Suo impegno politico – prima in Polesine poi a Roma – e il valore del Suo pensiero, messi in ombra proprio dal Matteotti eroe e martire antifascista.

 

In ‘L’antifascista. Giacomo Matteotti, l’uomo del coraggio, cento anni dopo (1924-2024). Con una scelta di scritti di Matteotti e una cronaca di Andrea Caffi sui dieci giorni dell’assassinio’, di Massimo L. Salvadori (Donzelli Editore, 2023), ritorna più centrale il “delitto Matteotti”.

«Giacomo Matteotti condusse una opposizione intransigente nei confronti del fascismo, la cui natura e pericolosità aveva acutamente compreso e denunciato per tempo. Fu l’uomo del coraggio. Per questo il fascismo volle che fosse consegnato alla tomba, così da farne tacere la voce». Il 10 giugno 1924 Giacomo Matteotti, segretario del Partito socialista unitario, fu rapito e trucidato a Roma ad opera di una squadra di sicari fascisti, colpevole di aver osato in un celebre discorso alla Camera denunciare che le elezioni politiche svoltesi il 6 aprile di quell’anno erano avvenute in un clima di sistematiche violenze e di brogli sfacciati. Matteotti pagò con la vita il Suo coraggio. L’assassinio fece traballare il governo Mussolini, aprendo una crisi gravissima nella politica e nella società italiane, superata per la debolezza dimostrata dalle opposizioni divise sul da farsi, e per l’appoggio dato al governo dalla monarchia, dalla gran parte della borghesia e dall’esercito. Il delitto ebbe una eco enorme non solo in Italia. Fuori dai confini dell’Italia fascista Egli divenne, negli anni del regime, il simbolo della lotta contro il fascismo; in un gran numero di piazze Gli vennero eretti monumenti; pittori, scultori e poeti Gli dedicarono opere. In Italia, sconfitto il fascismo, la figura di Matteotti fu riscoperta, ma non celebrata come avrebbe meritato: il Partito comunista e anche quello socialista, nella fase in cui rimase ad esso subordinato, lo considerarono, per un lungo periodo, un «socialdemocratico», un «riformista», insomma un eretico. Anche il saggio di Massimo L. Salvadori intende contribuire a rimuovere la patina dell’oblio, in particolare facendo risaltare l’uomo del coraggio, come testimoniano gli scritti raccolti nell’appendice al volume, composta da un lungo articolo di Andrea Caffi, dal titolo Cronaca di dieci giornate, pubblicato il 30 giugno del 1924, a ridosso del sequestro e dell’assassinio Matteotti, ricostruendone le fasi e documentandone le responsabilità e le ripercussioni politiche; nonché una breve scelta di articoli, lettere e discorsi di Giacomo Matteotti. La forza delle Sue parole dimostra che Egli fu un martire del fascismo esattamente perché ne era stato il lucido analista, l’accanito e conseguente avversario.

 

Per finire, ‘Matteotti e Mussolini. Vite parallele. Dal socialismo al delitto politico’ di Mimmo Franzinelli (Mondadori, 2024).

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Anche questo lavoro intende andare oltre Matteotti “icona del martirio”, reindirizzando l’attenzione sul vero Matteotti: il politico animato da un intransigente progetto riformista, il coerente assertore di una lungimirante visione internazionalista, il leader che si espone anche per i tanti compagni defilatisi quando la lotta diviene senza esclusione di colpi. Il libro ricostruisce fin nei dettagli la figura di Giacomo Matteotti nella dimensione familiare, nell’affermazione sulla scena nazionale quale implacabile oppositore dell’illegalismo fascista e – prima ancora – del massimalismo socialista. Ma fa qualcosa di più. In parallelo illustra i significativi intrecci personali e politici con l’itinerario di Benito Mussolini, dall’iniziale collocazione in area socialista e dalle comuni pulsioni antimilitariste, alle diversificazioni dinanzi alla Grande Guerra, con una contrapposizione costante e irreversibile sino al tragico epilogo. La ricostruzione di Franzinelli va ben oltre l’arco temporale della vita di Matteotti: segue infatti le tracce degli assassini, approfondisce personalità e ruolo di esecutori e complici, individua i solerti depistatori ed esamina la (momentanea) disgregazione del blocco mussoliniano provocata dallo sdegno per il delitto, spiega le modalità di superamento della più grave crisi politica del Ventennio e porta alla luce il persistente legame tra il duce e il gruppo criminale cui commissionò l’eliminazione di quel Suo nemico giurato. Un testo documentato e avvincente dal quale emergono le variegate sfaccettature della personalità di Giacomo Matteotti, un politico che guardava all’avvenire e il cui insegnamento conserva aspetti di persistente attualità.

Biblioteca dell’Università Cattolica del Sacro Cuore





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