La banca guidata da Andrea Orcel ha comprato in Borsa il 4 per cento del gruppo di Trieste nel mirino di Caltagirone e dei Del Vecchio. Un pacchetto che può tornare utile per avere via libera dal Tesoro nella scalata al BancoBpm. L’incrocio con l’Ops di Mps su Mediobanca
«Un’operazione finanziaria con una logica puramente opportunistica». Come dire, puntiamo solo a guadagnare, niente di più. Da Unicredit, a cominciare dal numero uno Andrea Orcel, si sono subito affrettati a spegnere il falò delle voci innescato dalla notizia, di per sé clamorosa, anticipata nella tarda serata di sabato dal Sole 24Ore.
È vero, nelle ultime settimane la banca milanese ha accumulato una quota del 4,1 per cento del capitale di Generali, come recita un comunicato ufficiale. Dietro questa incursione, però, non c’è nessun disegno strategico. Abbiamo comprato perché i titoli del gruppo assicurativo corrono da tempo al rialzo e siamo convinti che cresceranno ancora. Tutto qui.
Questa, in sostanza, è la versione che filtra dalle stanze di Unicredit, dove si nega di voler giocare alcun ruolo nella partita aperta dieci giorni fa con l’offerta annunciata dal Monte dei Paschi di Siena per Mediobanca, che è l’azionista di riferimento di Generali. Un’operazione, benedetta dal governo di Giorgia Meloni, che spianerebbe la strada a un nuovo polo finanziario nazionale dominato da Francesco Gaetano Caltagirone e dalla holding Delfin della famiglia Del Vecchio.
Coincidenza sospetta
I nostri obiettivi sono altri, dicono a Unicredit, che ha ben due fronti aperti: l’offerta sulla tedesca Commerzbank e quella su BancoBpm, la prima ostacolata in ogni modo da Berlino e l’altra invisa al Tesoro italiano. Logico, allora, che Orcel tenga un profilo basso, il più basso che può.
Difficile negare l’evidenza, però. Perché non può non destare sospetti la coincidenza di tempi tra il rastrellamento di titoli Generali e la gran mischia in corso ormai da un paio di mesi ai piani alti della finanza nazionale, una cosa mai vista dalle nostre parti. Comprando quel 4 per cento, una quota che ai prezzi correnti di Borsa vale poco meno di due miliardi, la banca milanese ha piantato un paletto nel bel mezzo del campo di battaglia.
Uno scontro di potere destinato presto a entrare nel vivo. Il prossimo 8 maggio è in calendario l’assemblea degli azionisti della compagnia chiamata a rinnovare il consiglio di amministrazione, a cominciare dall’amministratore delegato Philippe Donnet, sostenuto da Mediobanca, primo socio con il 13 per cento del capitale. È quasi certo che Caltagirone, forte di un 6,6 per cento, e i Del Vecchio, che possiedono il 9,9 per cento, tenteranno il ribaltone, operazione già messa ai voti e respinta dai soci tre anni fa.
Al momento le probabilità di successo sono scarse, visto che gli investitori istituzionali, cioè i grandi fondi internazionali, pesano per il 35 per cento del capitale e finora non hanno mai fatto mancare il loro appoggio a Donnet.
Nuovi scenari
Da qui a maggio però lo scenario sembra destinato a cambiare. La coppia di soci ostili a Mediobanca potrebbe rafforzarsi comprando azioni sul mercato. Delfin ha già ottenuto il via libera dalle authority di controllo per salire sopra il 10 per cento e a Caltagirone non manca certo la liquidità per acquistare altre azioni. D’altra parte non è da escludere che il fronte opposto si presenti in assemblea forte di un pacchetto di titoli aggiuntivo rispetto a quello oggi controllato.
Già nel 2022, Mediobanca prese a prestito un 4,4 per cento che si rivelò decisivo al momento del voto sul cda. Lo stesso potrebbe accadere a maggio, anche se alcuni esperti di diritto fanno notare che il prestito-titoli potrebbe vietare le regole della cosiddetta passivity rule a cui sono sottoposte le società oggetto di Opa, come è appunto Mediobanca finita nel mirino di Mps.
Sul punto il dibattito è aperto, perché non mancano gli addetti ai lavori convinti del contrario. Di certo, però, nelle prossime settimane la partita si giocherà anche in Borsa. Non per niente il titolo Generali ha preso il volo superando quota 30 euro per la prima volta dal 2007.
Non è noto quando Unicredit abbia cominciato a rastrellare le azioni della compagnia di Trieste. In ogni caso, visto l’andamento rialzista degli ultimi mesi, la banca milanese può già contare su una plusvalenza importante. A maggio, poi, quel pacchetto di titoli potrebbe anche rivelarsi decisivo quando si andrà al voto sul nuovo cda di Generali.
Orcel al bivio
Che cosa farà Orcel? Si schiererà con Mediobanca? Oppure darà man forte allo schieramento opposto? La scelta è anche politica. Se Unicredit appoggiasse Caltagirone e i Del Vecchio finirebbe per fare un favore anche al governo, a cui certo non dispiacerebbe un ribaltone a Trieste. Lo stesso governo che nel novembre scorso ha accolto nel peggiore dei modi l’offerta di Orcel su BancoBpm, arrivando a ipotizzare anche l’uso del golden power per ostacolarla.
Ecco, allora, che l’incursione a sorpresa di Unicredit nella partita Generali difficilmente si presta a una lettura minimalista. Quel 4,1 per cento «acquisito nel tempo sul mercato» rischia di diventare qualcosa di più e di diverso rispetto a «un puro investimento finanziario», per usare le parole del laconico comunicato diffuso ieri. Male che vada, la banca incasserà lauti profitti rivendendo le azioni. Oppure Orcel potrebbe usare i titoli Generali come merce di scambio al tavolo delle trattative con il governo. Con la speranza che quel pacchetto si trasformi nella carta vincente della grande partita destinata a cambiare gli assetti di potere della finanza nazionale.
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