La Birmania nel quinto anno di guerra

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3 Feb , 2025

Il quarto anniversario del golpe che, nel 2021, solo qualche mese dopo le elezioni stravinte dalla Lega nazionale per la democrazia di Aung San Suu Kyi, ha esautorato il Parlamento eletto e precipitato il Paese nella guerra civile si è svolto a Rangone in un’atmosfera rarefatta. Con la guerra l’ex capitale è diventata un luogo sicuro per i birmani ricchi che vi si sono trasferiti dalle periferie. Il risultato è una città che ostenta ricchezza, prezzi alti e tutti i generi di consumo per chi se li può permettere. I venti di guerra sembrano lontani qui a Yangon. Una citta strana che sembra vivere una sorta di bolla felice dove i black out di energia non durano quasi tutto il giorno come altrove e dove il conflitto sembra appartenere a un altro mondo. Bolla che non riesce comunque a nascondere diseguaglianze macroscopiche, povertà diffusa e una crisi che morde mentre si vive un doppio standard. . La guerra sembra lontana ma è alle porte. La giunta guidata dal generale Min Aung Hlaing tiene un basso profilo e il 1 febbraio si è limitata  a protrarre lo stato di emergenza di altri sei mesi sino a luglio e a reiterare la vaga promessa di una consultazione elettorale entro il 2025. Promessa che i generali birmani hanno fatto soprattutto alla Cina, il grande alleato che, da alcuni mesi, ha preteso il rispetto di diversi impegni, sia di carattere economico che politico.

Dilazione debiti

Saldo e stralcio

 

Per il momento, le elezioni restano una questione piuttosto astratta. Lo stesso Min Aung Hlaing ha dovuto riconoscere che il censimento è stato possibile soltanto in 145 municipalità (township) su 330, rappresentative praticamente solo della zona abitata dalla maggioranza Bamar. Con ampie aree degli Stati Karen, Kachin, Chin o Arakan sotto il quasi totale controllo degli eserciti etnici – milizie organizzate militarmente, note come Ethnic Armed Organisations (EAO) – la giunta non sarà in grado né di aprire seggi né di comporre liste elettorali in gran parte del Paese. Nondimeno, le proiezioni governative sulla raccolta dati per il censimento nazionale conterebbero circa 51 milioni di residenti, ossia più di 4 milioni in meno rispetto al conteggio del 2022: oltre ai morti, agli sfollati e agli irraggiungibili, i rilevatori del censimento non hanno certamente potuto arrivare a disertori e fuoriusciti, su cui i numeri non sono noti ma che sono aumentati costantemente dalla riattivazione della coscrizione obbligatoria. Secondo il giornale Irrawaddy, vicino all’opposizione, la carenza di personale e la corruzione per evitare il servizio militare avrebbero spinto la giunta a inserire nei ranghi del Tatmadaw – l’esercito birmano – sia detenuti che senza tetto, anche minori, prelevati con la forza nelle grandi città.

Se la Cina non può forse aspettarsi granché da un’annunciata farsa elettorale, che dovrebbe servire a una sorta di legittimazione della compagine golpista, alcuni accordi lì ha già pretesi e incassati. Sul piano economico, il 23 gennaio funzionari del regime e della China International Trust and Investment Company si sono incontrati nella capitale birmana Naypyidaw per spingere sul progetto che riguarda la zona economica speciale di Kyaukphyu – nello Stato del Rakhine – dove è previsto un nuovo porto di acque profonde che consenta l’attracco di petroliere e porta container.

Si tratta di un accordo-progetto datato 2020, il cui progresso è attualmente rallentato dalla guerra nel Rakhine. A ciò si aggiunge il previsto prolungamento terrestre, che include la costruzione di pipeline e linee ferroviarie per collegare lo Yunnan cinese alle acque del Mar delle Andamane. Questo progetto, parte dell’iniziativa della Nuova Via della Seta (BRI), consentirebbe a Pechino di gestire i propri scambi commerciali in entrata e in uscita attraverso la Birmania, aggirando il collo di bottiglia rappresentato dallo Stretto di Malacca, un’area particolarmente vulnerabile in caso di conflitto. Pechino prosegue quindi nella sua strategia, dopo aver recentemente ottenuto la firma di un cessate il fuoco, mediato dalla Repubblica Popolare Cinese (RPC), tra il regime birmano e l’esercito etnico dell’Alleanza Nazionale Democratica del Myanmar (MNDAA). L’accordo dovrebbe permettere la riapertura dei valichi di frontiera tra lo Yunnan e il Myanmar, alcuni dei quali sono parzialmente controllati dal gruppo. In particolare, il valico di Muse-Ruili, che da solo rappresenta circa il 70% del commercio tra la RPC e il Myanmar, riveste un’importanza cruciale.

Difficilmente però i generali birmani, anche in questo caso, riusciranno a mantenere le promesse. Sia il progetto del porto, che quello della ferrovia e della riapertura delle frontiere, dipendono infatti da molti altri attori. Nel Rakhine, l’Arakan Army, un gruppo armato etnico autonomista con una forte identità religiosa (fortemente anti-musulmano e acerrimo nemico sia della minoranza Rohingya che di Tatmadaw), ha di fatto sigillato il confine occidentale del Paese. Inoltre, ha preso il controllo di 14 municipalità su 17, inclusa una strategica base operativa dell’esercito governativo. Il Tatmadaw controlla in sostanza solo la capitale marittima Sittwe – non lontana dalla zona speciale di Kyaukphyu – che riesce a tenere grazie alla presenza della marina. Quanto alla frontiera con la Cina, il sito birmano di Muse, città dirimpettaia della cinese Ruili, dove dovrebbero passare la ferrovia e i tubi da Kunming a Kyaukphyu, è circondata da diverse forze ribelli e non solo dalla MNDAA. Gli sforzi di Pechino non sono ancora riusciti a persuadere gli altri attori coinvolti a stipulare accordi con la giunta. Infine, il progetto prevede l’attraversamento delle regioni centrali del Paese, che sono solo parzialmente sotto il controllo del Consiglio di Amministrazione di Stato, come i golpisti definiscono il loro governo.

Il quarto anniversario del golpe che, nel 2021, solo qualche mese dopo le elezioni stravinte dalla Lega nazionale per la democrazia di Aung San Suu Kyi, ha esautorato il Parlamento eletto e precipitato il Paese nella guerra civile si è svolto a Rangone in un’atmosfera rarefatta. Con la guerra l’ex capitale è diventata un luogo sicuro per i birmani ricchi che vi si sono trasferiti dalle periferie. Il risultato è una città che ostenta ricchezza, prezzi alti e tutti i generi di consumo per chi se li può permettere. La guerra sembra lontana ma è alle porte. La giunta guidata dal generale Min Aung Hlaing tiene un basso profilo e il 1 febbraio a protrarre lo stato di emergenza di altri sei mesi sino a luglio e a reiterare la vaga promessa di una consultazione elettorale entro il 2025. Promessa che i generali birmani hanno fatto soprattutto alla Cina, il grande alleato che, da alcuni mesi, ha preteso il rispetto di diversi impegni, sia di carattere economico che politico.Per il momento, le elezioni restano una questione piuttosto astratta. Lo stesso Min Aung Hlaing ha dovuto riconoscere che il censimento è stato possibile soltanto in 145 municipalità (township) su 330, rappresentative praticamente solo della zona abitata dalla maggioranza Bamar. Con ampie aree degli Stati Karen, Kachin, Chin o Arakan sotto il quasi totale controllo degli eserciti etnici – milizie organizzate militarmente, note come Ethnic Armed Organisations (EAO) – la giunta non sarà in grado né di aprire seggi né di comporre liste elettorali in gran parte del Paese. Nondimeno, le proiezioni governative sulla raccolta dati per il censimento nazionale conterebbero circa 51 milioni di residenti, ossia più di 4 milioni in meno rispetto al conteggio del 2022: oltre ai morti, agli sfollati e agli irraggiungibili, i rilevatori del censimento non hanno certamente potuto arrivare a disertori e fuoriusciti, su cui i numeri non sono noti ma che sono aumentati costantemente dalla riattivazione della coscrizione obbligatoria. Secondo il giornale Irrawaddy, vicino all’opposizione, la carenza di personale e la corruzione per evitare il servizio militare avrebbero spinto la giunta a inserire nei ranghi del Tatmadaw – l’esercito birmano – sia detenuti che senza tetto, anche minori, prelevati con la forza nelle grandi città.Se la Cina non può forse aspettarsi granché da un’annunciata farsa elettorale, che dovrebbe servire a una sorta di legittimazione della compagine golpista, alcuni accordi lì ha già pretesi e incassati. Sul piano economico, il 23 gennaio funzionari del regime e della China International Trust and Investment Company si sono incontrati nella capitale birmana Naypyidaw per spingere sul progetto che riguarda la zona economica speciale di Kyaukphyu – nello Stato del Rakhine – dove è previsto un nuovo porto di acque profonde che consenta l’attracco di petroliere e porta container.Si tratta di un accordo-progetto datato 2020, il cui progresso è attualmente rallentato dalla guerra nel Rakhine. A ciò si aggiunge il previsto prolungamento terrestre, che include la costruzione di pipeline e linee ferroviarie per collegare lo Yunnan cinese alle acque del Mar delle Andamane. Questo progetto, parte dell’iniziativa della Nuova Via della Seta (BRI), consentirebbe a Pechino di gestire i propri scambi commerciali in entrata e in uscita attraverso la Birmania, aggirando il collo di bottiglia rappresentato dallo Stretto di Malacca, un’area particolarmente vulnerabile in caso di conflitto. Pechino prosegue quindi nella sua strategia, dopo aver recentemente ottenuto la firma di un cessate il fuoco, mediato dalla Repubblica Popolare Cinese (RPC), tra il regime birmano e l’esercito etnico dell’Alleanza Nazionale Democratica del Myanmar (MNDAA). L’accordo dovrebbe permettere la riapertura dei valichi di frontiera tra lo Yunnan e il Myanmar, alcuni dei quali sono parzialmente controllati dal gruppo. In particolare, il valico di Muse-Ruili, che da solo rappresenta circa il 70% del commercio tra la RPC e il Myanmar, riveste un’importanza cruciale.Difficilmente però i generali birmani, anche in questo caso, riusciranno a mantenere le promesse. Sia il progetto del porto, che quello della ferrovia e della riapertura delle frontiere, dipendono infatti da molti altri attori. Nel Rakhine, l’Arakan Army, un gruppo armato etnico autonomista con una forte identità religiosa (fortemente anti-musulmano e acerrimo nemico sia della minoranza Rohingya che di Tatmadaw), ha di fatto sigillato il confine occidentale del Paese. Inoltre, ha preso il controllo di 14 municipalità su 17, inclusa una strategica base operativa dell’esercito governativo. Il Tatmadaw controlla in sostanza solo la capitale marittima Sittwe – non lontana dalla zona speciale di Kyaukphyu – che riesce a tenere grazie alla presenza della marina. Quanto alla frontiera con la Cina, il sito birmano di Muse, città dirimpettaia della cinese Ruili, dove dovrebbero passare la ferrovia e i tubi da Kunming a Kyaukphyu, è circondata da diverse forze ribelli e non solo dalla MNDAA. Gli sforzi di Pechino non sono ancora riusciti a persuadere gli altri attori coinvolti a stipulare accordi con la giunta. Infine, il progetto prevede l’attraversamento delle regioni centrali del Paese, che sono solo parzialmente sotto il controllo del Consiglio di Amministrazione di Stato, come i golpisti definiscono il loro governo.La situazione è ugualmente complessa nelle altre periferie. I Chin controllano la frontiera con l’India, i Kachin parte di quella con la Cina mentre a Est i Karen rendono impossibile ai carichi commerciali il passaggio da e per la Thailandia nella zona tra Mae-Sot, nel regno thai, e Myawaddy in Myanmar. Con quella settentrionale di Muse-Ruili, la frontiera orientale blocca un’altra direttrice dei corridoi interasiatici, isolando quasi completamente il Paese. A complicare ulteriormente la situazione intervengono due fattori. Il primo è la presenza di una decina di scam cities (città della truffa), insediamenti urbani di recente sviluppo che combinano gioco d’azzardo, prostituzione e traffico di esseri umani con una collaudata macchina di truffe online. Queste attività, esplose durante la pandemia da Covid-19, prendono di mira soprattutto cittadini cinesi della RPC. Il secondo fattore è la guerra contro il Tatmadaw, che vede schierate al fianco dell’esercito golpista le BGF, “brigate di frontiera”, un gruppo armato di miliziani Karen alleati alla giunta nel conflitto contro la Karen National Union e il suo esercito etnico, tradizionali nemici della giunta birmana. Ovviamente il conflitto riguarda anche i centri della truffa, un business miliardario controllato dalle BGF e più che tollerato dai golpisti. L’andamento della guerra sul confine Nord ha inoltre visto spostare molti centri criminali attivi nello Stato Shan (dove si trova Muse) sul confine con la Thailandia, non meno turbolento ma dove giunta e BGF riescono ancora a controllare Myawaddy. La Cina ha richiesto e ottenuto, sia dalla giunta sia dalle forze ribelli, interventi di polizia nei centri criminali del Nord e in parte dell’Est, col rimpatrio forzato di centinaia di cinesi attivi nei centri criminali. Ma la presenza di questi hub del crimine, controllati dalla mafia cinese in combutta coi vari attori sul territorio, resta un elemento di disturbo importante. Che alimenta – e viene alimentato – dal conflitto in corso.

La situazione è ugualmente complessa nelle altre periferie. I Chin controllano la frontiera con l’India, i Kachin parte di quella con la Cina mentre a Est i Karen rendono impossibile ai carichi commerciali il passaggio da e per la Thailandia nella zona tra Mae-Sot, nel regno thai, e Myawaddy in Myanmar. Con quella settentrionale di Muse-Ruili, la frontiera orientale blocca un’altra direttrice dei corridoi interasiatici, isolando quasi completamente il Paese. A complicare ulteriormente la situazione intervengono due fattori. Il primo è la presenza di una decina di scam cities (città della truffa), insediamenti urbani di recente sviluppo che combinano gioco d’azzardo, prostituzione e traffico di esseri umani con una collaudata macchina di truffe online. Queste attività, esplose durante la pandemia da Covid-19, prendono di mira soprattutto cittadini cinesi della RPC. Il secondo fattore è la guerra contro il Tatmadaw, che vede schierate al fianco dell’esercito golpista le BGF, “brigate di frontiera”, un gruppo armato di miliziani Karen alleati alla giunta nel conflitto contro la Karen National Union e il suo esercito etnico, tradizionali nemici della giunta birmana. Ovviamente il conflitto riguarda anche i centri della truffa, un business miliardario controllato dalle BGF e più che tollerato dai golpisti. L’andamento della guerra sul confine Nord ha inoltre visto spostare molti centri criminali attivi nello Stato Shan (dove si trova Muse) sul confine con la Thailandia, non meno turbolento ma dove giunta e BGF riescono ancora a controllare Myawaddy. La Cina ha richiesto e ottenuto, sia dalla giunta sia dalle forze ribelli, interventi di polizia nei centri criminali del Nord e in parte dell’Est, col rimpatrio forzato di centinaia di cinesi attivi nei centri criminali. Ma la presenza di questi hub del crimine, controllati dalla mafia cinese in combutta coi vari attori sul territorio, resta un elemento di disturbo importante. Che alimenta – e viene alimentato – dal conflitto in corso.

Questo articolo è un collage di contributi usciti anche su Ispionline, il manifesto e atlante guerre.it

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