Roccaraso e i pregiudizi su Napoli da scacciare

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Colpisce che nell’Era del meme perenne – dove tutto diventa immediatamente immagine giocosa e feroce condivisa sui social – a proposito della presa di Roccaraso non sia stato saccheggiato il “Quarto Stato” di Pellizza da Volpedo, dipinto del 1901 che raffigura una folla di proletari che avanza dall’oscurità delle campagne. 

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Ed è un’assenza che si fa notare a maggior ragione proprio laddove l’assedio della località sciistica abruzzese, come ha ben rilevato ieri Vittorio Del Tufo su questo giornale, si interseca in modo travolgente con il tema dell’immaginario e dell’(auto)rappresentazione di Napoli e dei suoi abitanti, “una città più facile da riconoscere attraverso gli stereotipi che da conoscere veramente”. Investendo, sottolinea Del Tufo, non tanto il problema delle gite di gruppo, per le quali basterebbe una manciata di regole chiare e condivise, quanto “i pregiudizi più o meno dormienti che basta davvero poco, pochissimo, a risvegliare”. 

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Un nodo che solleva una questione antica, perenne, legata alla narrazione della città. Ma che incrocia, in parallelo, anche un secondo elemento di novità: quella sorta di fastidio un po’ snob per poveri o svantaggiati sociali. Categorie alle quali, con ogni probabilità, le masse di Roccaraso appartengono, almeno in parte. È in effetti curioso che l’indignazione suscitata dalle immagini delle folle abruzzesi non sia stata riservata, in passato, alle file di Suv e auto di lusso dirette dalla Lombardia in Liguria o in note località sciistiche del nord Italia. Eppure, a conti fatti, la situazione è assolutamente identica.

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Masse che si spostano da un luogo all’altro per trascorrere qualche ora di relax al mare o in montagna. Niente di nuovo sul fronte del consumismo, verrebbe da dire. E sarebbe difficile immaginare che anche al Sestriere e Cortina non ci sia mai stata un’impronta antropica rilevante di vacanzieri e sciatori. Curiosamente, però, solo per l’esercito di Roccaraso ci si è sgolati a parlare, certo non senza ragione in molti casi, di maleducazione, inciviltà, degrado sociale e culturale, fino alle vere e proprie punte razziste che quando si parla di Napoli non tardano mai a farsi vive. Invece rozzezza, volgarità e villania caratterizzavano allo stesso identico modo anche quelle altre folle. Solo che, siccome quelle sbarcavano non in massa da autobus turistici ma a bordo di scintillanti veicoli privati, sfoderando sci costosi e elitario abbigliamento tecnico da neve, non creavano particolare allarme sociale, tutt’al più ingenerando processi di invidia e brama imitativa. Ecco che la deplorazione social un tanto al chilo contro gli invasori di Roccaraso è stata forse un’ennesima occasione persa per capire un po’ meglio qualcosa del nostro complicato Tempo. Perché ci si sarebbe potuti chiedere in modo meno superficiale e accusatorio chi fossero, queste persone. Tutti espressione di una Napoli deteriore e incivile? Tutti esponenti di un proletariato marginale arruffone e ignorante, pronto a fare terra bruciata dietro di sé come un invasato esercito di cavallette? Non che siano mancate inciviltà e maleducazione, figuriamoci. Ma questo vale appunto per qualsiasi manifestazione disorganizzata di massa, laddove le regole non esistono e mancano figure di regolamentazione e controllo.

Eppure, l’irritazione del Paese sui 12mila e passa calati su Roccaraso ha rivelato qualcosa di più, una sorta di fastidio esplicito e rivendicato. E certo, i tempi stanno cambiando, direbbe Bob Dylan: confronti diretti tra la povertà mite di ieri e queste espressioni sopra le righe di oggi moltiplicate dalla visibilità dei social sono impossibili. Certo che quel turismo di operai che si ammazzavano un anno intero di lavoro per garantire qualche giorno di villeggiatura alle famiglie non è questo di oggi, ma nuova è la matrice collerica verso questa più illeggibile massa: un sintomo ennesimo del sentimento spietato riservato oggi a chi non è ricco e non fa cose da ricchi. Questi li perdoniamo, sempre e comunque. Ci appassioniamo alle loro intemperanze, sorridiamo benevolmente alle loro smodatezze, gli consentiamo malacreanza e aggressività. A nessuno è piaciuto vedere quanto accaduto a Roccaraso e com’è stata ridotta la cittadina abruzzese. Peccato che il secondo passaggio del chiederci seriamente da chi fosse composta quella marea, al di là di sociologismi facili e pezzi di costume su tiktoker e fauna da social, non sia stato compiuto.





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