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Responsabilità delle banche per mancata diligenza #finsubito prestito immediato


La banca è responsabile se non controlla la corrispondenza tra IBAN e nominativo del destinatario. L’ordinanza della Cassazione 17415/2024.

di Michele Di Salvo

La Corte di Cassazione, con la recente ordinanza n. 17415 del 25 giugno 2024, ha ritenuto sussistente la responsabilità contrattuale di un istituto di credito che, in esecuzione di un ordine di bonifico con errata indicazione del codice IBAN, non aveva controllato la “non corrispondenza” dell’IBAN in favore del quale veniva eseguito il bonifico rispetto al nominativo del destinatario del bonifico stesso. Secondo la Corte tale responsabilità è in diretta applicazione del principio del c.d. “contatto sociale qualificato”.

La pronuncia opera un’attenta ricostruzione della disciplina dei servizi di pagamento ex D.lgs. 27.01.2010 n. 11, come modificata dal D.lgs. 15/12/2017 n. 218 e della disciplina della privacy.

I giudici di legittimità precisano in modo inequivocabile di non condividere l’assunto della Corte d’Appello di Brescia nella parte in cui aveva ritenuto non ostensibili i dati personali dell’accipiens in favore del quale era stato eseguito l’erroneo accredito, in applicazione del diritto alla riservatezza derivante – appunto – dalla disciplina della privacy. 

Secondo la Suprema Corte ogniqualvolta «venga accertata una difformità successivamente all’esecuzione dell’ordine di pagamento, gli stessi intermediari sono tenuti a fornire i dati anagrafici o societari dell’accipiens per permettere al reale creditore di esercitare un’azione di ripetizione delle somme indebitamente percepite dal primo non potendosi invocare la tutela della privacy al fine di giustificare il rifiuto di comunicare al pagatore i dati anagrafici o societari del proprio correntista».

La Corte sottolinea l’aspetto recessivo del diritto alla riservatezza dei dati personali rispetto ad interessi configurati come prevalenti dall’ordinamento, tra i quali va inserito l’interesse autentico e non surrettizio all’esercizio del diritto di difesa in giudizio

Un punto decisamente ampio e dirimente di numerose questioni anche in sede amministrativa, ad esempio nei casi di accesso agli atti. Un principio che dovrebbe essere sempre di primo piano in tutti i casi in cui invece il diritto alla privacy viene – colpevolmente quando non dolosamente – inteso e interpretato in funzione limitante rispetto ai diritti degli istanti.

Si legge nell’Ordinanza in commento: «Questa Corte, del resto, ha già sancito che «l’interesse alla riservatezza dei dati personali deve cedere a fronte della tutela di altri interessi giuridicamente rilevanti, e dall’ordinamento configurati come prevalenti nel necessario bilanciamento operato, fra i quali l’interesse, ove autentico e non surrettizio, all’esercizio del diritto di difesa in giudizio» (si veda Cass. n. 39531 del 2021, pag. 8-9 della motivazione).

L’elemento centrale della pronuncia in commento è senza dubbio rappresentato dalla concreta applicazione del principio del c.d. “contatto sociale qualificato”, al fine di configurare la responsabilità contrattuale dell’istituto di credito che aveva eseguito l’erroneo bonifico e che poi nulla aveva fatto per rimediare al suddetto illecito.

Con l’espressione “contatto sociale qualificato”, in genere si indica una relazione che intercorre tra due o più soggetti che, proprio perché implica l’ingerenza nella sfera giuridica altrui, comporta il sorgere di doveri di collaborazione e protezione volti a salvaguardare le aspettative ingenerate.

La responsabilità da contatto sociale qualificato è una particolare forma di responsabilità civile che, prescindendo dall’esistenza di un contratto vero e proprio tra le parti interessate, esalta nel rapporto tra il danneggiato e il danneggiante l’esistenza di una particolare relazione sociale considerata dall’ordinamento giuridico idonea a determinare specifici doveri comportamentali non riconducibili al dovere generico di non ledere l’altrui sfera giuridica e, quindi, sussumibili nell’alveo della responsabilità contrattuale.

Ciò che rileva è l’esistenza di un rapporto “sociale” idoneo ad ingenerare l’affidamento dei soggetti coinvolti in virtù del fatto che si tratta di un rapporto “qualificato” dall’ordinamento giuridico, che vi ricollega una serie di doveri di collaborazione e protezione volti alla salvaguardia di determinati beni giuridici.

Tale forma di responsabilità la si ravvisa nel rapporto che si instaura tra il paziente e la struttura sanitaria ove opera il medico sul quale grava, a prescindere dall’esistenza di un contratto, un obbligo di cura che tende alla tutela del diritto alla salute (Cass. Civ. 17 aprile 2014, n. 8940), ovvero tra la banca e il cliente nell’identificazione del portatore di un assegno bancario non trasferibile (Cass. Civ., Sez. Un., sent. 14712 del 2007), o tra l’insegnante e l’allievo (avuto riguardo alla necessità di evitare atti autolesionistici dell’alunno (Cass. Civ., Sez. III, sent. 5067 del 2010) o in capo al mediatore (in considerazione dell’obbligo di comunicare i dati dell’affare nella massima trasparenza e buona fede, ai sensi dell’ art. 1176, secondo comma, cod. civ., e di non aver agito in posizione di mandatario (Cass. Civ., Sez. III, sent. 16382 del 2009).

In virtù del principio dell’atipicità delle fonti delle obbligazioni di cui all’art. 1173 c.c., anche la violazione di obbligazioni specifiche che trovano la loro fonte (non già in un contratto ma) nel “contatto sociale qualificato” determina una responsabilità di tipo contrattuale, con indubbi vantaggi in capo al danneggiato, costituiti non soltanto dall’applicazione della prescrizione decennale (anziché quinquennale), ma anche da una diversa e più favorevole applicazione dei principi che regolano l’onere della prova. 

Infatti, proprio in virtù del principio della vicinanza della prova, nella responsabilità contrattuale può dirsi operante l’inversione dell’onere della prova, potendo il danneggiato limitarsi ad allegare l’inadempimento della controparte alla quale spetterà, invece, provare di avere adempiuto all’obbligazione, fermo restando che tale principio può farsi valere solo per le obbligazioni di dare e di fare (e non anche per le obbligazioni di non facere, per le quali trova applicazione il regime probatorio ordinario).

La diligenza, secondo la Corte, diventa il criterio per valutare la condotta tenuta dall’intermediario che ha avuto conoscenza dell’incongruità delle informazioni di pagamento.

Continua poi la Corte affermando che, proprio in considerazione della “tutela dell’utente”, che l’ art. 24 D.lgs. n. 11/2010 cit. prevede che «l’intermediario del pagatore si adoperi (…) affinché la somma perduta venga restituita al pagatore».

Proprio avuto riguardo alla suddetta “tutela restitutoria”, la Corte affianca la sussistenza di una vera tutela risarcitoria che, in virtù del più volte menzionato principio del “responsabilità da contatto sociale”, può essere riconosciuta non soltanto al “pagatore” ma anche al “beneficiario” del pagamento.

Nelle parole della Corte: «alla tutela restitutoria, poi, ben può affiancarsi quella risarcitoria ove sia emerso che l’intermediario sia responsabile per aver adottato una condotta contraria ai doveri di diligenza professionale nell’esecuzione dell’incarico conferitogli; tuttavia, a differenza della tutela restitutoria della norma speciale che è accordata sempre al pagatore, la tutela risarcitoria per l’eventuale danno subito può essere riconosciuta sia al pagatore sia (come appunto nel caso di specie) al beneficiario, a seconda dell’intermediario responsabile».

In applicazione del criterio della c.d. “diligenza qualificata”, la Corte ha statuito il seguente principio di diritto: «in tema di responsabilità di una banca per operazioni effettuate a mezzo di strumenti elettronici, allorquando il beneficiario, nominativamente indicato, di un pagamento da eseguirsi tramite bonifico sia sprovvisto di conto di accredito presso la banca intermediaria, sicché nemmeno è utilizzabile la specifica disciplina ex art. 24 del d.lgs. n. 11 del 2010, si applicano le regole di diritto comune, per cui grava sull’intermediaria stessa, responsabile, secondo la teoria del “contatto sociale qualificato”, nei confronti del beneficiario rimasto insoddisfatto a causa dell’indicazione, rivelatasi inesatta, del proprio IBAN, l’onere di dimostrare di aver compiuto l’operazione di pagamento, richiestagli dal solvens, adottando tutte le cautele necessarie al fine di scongiurare il rischio di un’erronea individuazione di detto beneficiario, o quanto meno, di essersi adoperata per consentirgli la individuazione del soggetto concretamente gratificato del pagamento destinato, invece, al primo, anche comunicandogli, ove necessario, i relativi dati anagrafici o societari».

Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica

Copyrights © 2015 – ISSN 2464-9775

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