Imprenditore svende l’azienda e scompare nel nulla, l’ombra della ‘ndrangheta nell’ultimo messaggio: “Sono in pericolo”

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BRESCIA – Un imprenditore che si smaterializza dopo aver ceduto una società che fatturava 7 milioni a metà prezzo. E lascia nel cellulare una nota: “La mia vita è in pericolo”, indicando come autori della sua scomparsa personaggi a lui vicini. Operazioni sospette tra Sankt Moritz e Taranto, aziende svuotate per 2,5 milioni, testamenti fasulli. C’è di tutto nell’ultima inchiesta dei carabinieri (compagnia di Brescia, Nucleo operativo) e Finanza (Nucleo di polizia economico finanziaria), sfociata in cinque misure cautelari. In carcere ci sono Antonio Bruzzaniti, 69enne calabrese di Cambiago (Milano) e Claudio Mancini, 59 anni, di Campobasso, residente a Milano. Ma anche il commercialista Gabriele Abbiati, 51enne di Seregno (Mb) e Fabio Bonasegale, 56enne di Chiavenna (Sondrio). Interdittiva alle attività imprenditoriali per 12 mesi infine per Domenico Carignano, 52enne broker di Taranto. Bancarotta fraudolenta, indebita percezione di erogazioni pubbliche, malversazione e reati tributari le accuse contestate a vario titolo agli indagati, con un sequestro per equivalente di 650mila euro.

L’inchiesta bresciana nasce nel 2021, innestandosi su un’indagine della Procura di Monza per la misteriosa scomparsa di Pasquale Lamberti, proprietario dell’azienda monzese Cadel srl e della controllata Ucl, società zootecnica di Brescia (mangimi). L’imprenditore svanisce il 3 luglio 2021 da Besate dopo aver lasciato un sinistro appunto. L’Arma di Brescia inizia a tenere d’occhio personaggi ritenuti in odore di ’ndrangheta, che avrebbero avuto un ruolo nell’acquisizione tramite una società svizzera della sua Ucl, poi fallita.

In contemporanea la Finanza sviluppa l’esposto del collegio sindacale delle aziende di Lamberti per “intimidazioni”. Si scopre che la Cadel srl il 9 settembre 2020 viene ceduta alla holding elvetica BFB Bau &Service Ag. Idem Ucl, a un prezzo irrisorio. Dopodiché, nella governance dell’azienda di Brescia, si affacciano due soggetti: il commercialista Abbiati – è lo stesso Lamberti a presentarlo – nuovo amministratore di Ucl, e Mancini, che i dipendenti chiamano “il presidente” pur essendo estraneo alla proprietà.

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Nel panorama societario emerge poi Antonio Bruzzaniti, detto “u pazzu”, assunto come “assistente alla vendita”, stipendiato e dotato di Mercedes aziendale. Per il gip Angela Corvi assieme a Mancini ha un curriculum criminale “impressionante”. Il primo ha precedenti per associazione mafiosa, droga, armi e ha già fatto 26 anni di carcere. Il secondo per armi, omicidio volontario (di un tabaccaio, per cui ha scontato 23 anni) droga, rapine. Per gli inquirenti Bruzzaniti è a capo con il nipote Leone (in carcere per altre vicende e solo indagato, ndr) del gruppo Bruzzaniti, emanazione del clan calabrese Morabito-Bruzzaniti-Palamara.

Stando alla Procura, Mancini aveva instaurato in azienda un clima di terrore per garantirsi persone omertose, prone e fidate – fa assumere la compagna, la figliastra, la zia – mentre induce a licenziarsi tutti gli altri. Ma risponde gerarchicamente ai Bruzzaniti. Quando Cadel e Ucl finiscono nel mirino degli inquirenti per timore che Abbiati, incensurato, si faccia scappare qualcosa, Mancini lo tiene sotto scacco. Chiede a un collaboratore di fargli presente che “Claudio ti viene a casa e ti spacca di mazzate a casa tua davanti tua moglie, eh?!”. Il commercialista è battezzato “Birillo“ (“Birillo le prende… le prende forte – dice, intercettato, a Bruzzaniti – Al dottor Abbiati, uno schiaffo, l’ho capottato”). Mancini avrebbe fatto grandi sfuriate anche a Lamberti prima che sparisse, insultandolo, minacciandolo e accusandolo di averlo truffato, di avergli venduto un’azienda che “faceva schifo”. In quelle occasioni Mancini precisava che “loro” erano già dentro quando era titolare, e che i soldi per comprare Ucl li avevano messi “loro”.

Chi indaga ritiene che il dominus e socio occulto della Ucl sia Antonio Bruzzaniti, cui un prestanome dice senza mezzi termini: “La stiamo distruggendo questa azienda, in senso positivo… Non è la parola giusta, la stiamo risollevando”. Per il gip, sebbene la Procura non abbia contestato il metodo mafioso “emerge in maniera cristallina” come gli indagati, in specie Mancini, “facessero dell’intimidazione il loro metodo di lavoro, non solo e non tanto evocando la fama criminale della famiglia Bruzzaniti… ma proprio minacciando e terrorizzando dipendenti e collaboratori”.

Assunto il controllo di Ucl l’avrebbero “spogliata di beni e soldi per circa 2,5 milioni” – pari al sequestro preventivo chiesto dalla Procura – e trasformata in “strumento per commettere reati”, distogliere e incamerare fondi. L’acquisto di un appartamento da circa mezzo milione a Solaro per la compagna di Mancini a spese dell’azienda e di una casa a Porto Recanati per 168mila euro per la figlia della fidanzata. Prelievi con le carte aziendali; i leasing di una Lamborghini, un’Audi Q8, una Land Rover in uso a Mancini e Mercedes aziendali per gli altri; finanziamenti illeciti garantiti dallo Stato per 1,7 milioni e anticipo di crediti dalle banche a fronte di fatture false per 400mila euro e di fondi tramite carte prepagate emesse da una piattaforma svizzera.

Pur di sbarazzarsi della famiglia di Lamberti, che lamentava l’illiceità delle transazioni dai conti dello scomparso, Mancini nel luglio 2022 aveva progettato persino un falso testamento dell’imprenditore: “Perché lui alla fine dichiara che entro due anni poi torna a fare testamento reale, no? Se non dovesse tornare a fare testamento per mille motivi, che lui se ne vuole andare, odia quella famiglia, non vuole lasciare nulla al figliastro perché è un casinista, capito? Ti faccio vedere, la mettiamo giù in questo modo”.



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