Pil, il Fondo Monetario internazionale taglia allo 0,7% la stima sulla crescita italiana del 2025

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Il Fondo monetario internazionale ha limato al ribasso la stima sulla crescita italiana nel 2025, rivedendo invece al rialzo il dato sul 2026. Nello specifico, il +0,8% previsto per l’anno appena iniziato a ottobre è sceso al +0,7% mentre per il 2029 la crescita attesa si attesta al +0,9%, 0,2 punti in più rispetto alle precedenti stime. Non appaiono troppo distanti le proiezioni contenute nell’ultimo bollettino economico di Bankitalia: dopo che il pil italiano ha ristagnato nel terzo trimestre del 2024, condizionando la performance annua al +0,5%, «prefiguriamo un’accelerazione del pil nel triennio 2025-27, con ritmi di crescita di circa l’1% all’anno nella media del periodo». In particolare, si passerà dal +0,7% atteso per il 2025 al +1,1% del 2026, ripiegando poi al +0,9% nel 2027.

Il ruolo degli Usa e Germania 

Allargando lo sguardo al resto del mondo, le stime del Fmi sono sostanzialmente invariate nel complesso rispetto a ottobre: +3,3% sia nel 2025 che nel ‘26. Questo perché da un lato, la crescita degli Stati Uniti è stata rivista al rialzo al 2,7% (+0,5) nel 2025 e al 2,1% (+0,1) nel 2026. Dall’altro lato, il pil dell’Eurozona è stato ridimensionato all’1% quest’anno (-0,2%) e all’1,4% nel 2026 (-0,1%). In particolare la Germania crescerà del 0,3% nel 2025, lo 0,5% in meno delle precedenti stime, e dell’1,1% nel 2026 (-0,3%).

Proprio gli Usa e la Germania, partner strategici per l’Italia – in quanto primo e secondo mercato di destinazione dei beni – sono citati dagli esperti di Via Nazionale come fattori determinanti per comprendere l’andamento dell’economia tricolore nei prossimi anni.

L’affanno dell’industria tedesca, in particolare del comparto automobilistico (che rappresenta il 16% della produzione manifatturiera in Germania), «si trasmettono in misura significativa al resto dell’area: in Italia, in particolare, spiegherebbero quasi un terzo delle fluttuazioni non sistematiche della produzione manifatturiera su un orizzonte di sei mesi», si legge nel bollettino di Banca d’Italia.

Quanto agli Usa, un inasprimento dei dazi commerciali deciso durante il secondo mandato di Donald Trump alla Casa Bianca «avrebbe effetti significativi sulle aziende italiane che esportano verso il mercato statunitense, soprattutto le piccole e le medie». Difatti, segnala Palazzo Koch, per le pmi il mercato a stelle e strisce genera circa il 7% del fatturato e raccoglie il 27% delle esportazioni. In aggiunta agli effetti diretti, «le restrizioni commerciali potrebbero colpire anche i produttori che, pur non esportando direttamente, forniscono input intermedi incorporati nei beni destinati agli Usa».

Le stime per inflazione e debito 

Per comprendere cosa accadrà nei prossimi anni all’economia italiana e dunque al sistema Paese non basta però focalizzarsi sulla crescita. Bisogna tener conto di molteplici indicatori, partendo dall’inflazione. Questa salirà: dall’1,1% del 2024 passerà all’1,5% nel biennio 2025-26, per poi raggiungere il 2% nel 2027, «sospinta da effetti temporanei dovuti all’entrata in vigore del nuovo sistema di scambio di quote di emissione di inquinanti e di gas a effetto serra nell’Ue» spiega Bankitalia.

Il quadro sul debito pubblico è più complesso. Se in termini quantitativi è cresciuto ancora, superando per la prima volta a novembre 2024 quota 3 mila miliardi, l’indebitamento netto italiano è sceso al 7,2% del pil, grazie «principalmente alla forte riduzione dell’incidenza sul pil delle spese in conto capitale diverse dagli investimenti, voce di bilancio che include i crediti di imposta relativi al Superbonus».

Non a caso «una valutazione più favorevole degli operatori di mercato sulla situazione fiscale italiana» ha contribuito sia alla riduzione di 13 punti base dello spread sia all’aumento dei rendimenti dei titoli pubblici italiani al 3,8%. E sempre più investitori esteri comprano titoli di Stato italiani. Resta da vedere se il percorso di rientro del debito, connesso alla stabilità del governo, riuscirà a confermare la percezione favorevole dei mercati sull’Italia anche nei prossimi mesi. (riproduzione riservata)

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