L’intervento delle Entrate supera la sua mancata citazione dalla Riscossione – La lente sul fisco

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L’intervento dell’ente impositore non chiamato in causa dal concessionario in primo grado può aversi anche in appello nei limiti delle preclusioni e decadenze formatesi nel corso del giudizio.

A tale arresto è pervenuta la Corte di Cassazione con la sentenza n. 2286 depositata ieri, 31 gennaio 2025, in cui ha ammesso l’intervento dell’Agenzia delle Entrate in appello pur in presenza di una costituzione tardiva dell’Agenzia delle Entrate – Riscossione in primo grado e della conseguente decadenza dalla facoltà di chiamata in causa dell’ente impositore.

Emerge dalla sentenza che l’Agenzia delle Entrate-Riscossione in primo grado si costituiva tardivamente (ovvero dopo i 60 giorni ex art. 23 del DLgs. 546/92) e che in appello l’Agenzia delle Entrate pur non chiamata in giudizio dall’Agenzia della riscossione ex art. 39 del DLgs. 112/99 interveniva volontariamente.

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Il contribuente rilevava, in sostanza, che se l’Agenzia delle Entrate – Riscossione non esercita la facoltà di chiamata in causa dell’Ente impositore in quanto decaduta per la costituzione tardiva, l’Agenzia delle Entrate non può più intervenire, men che meno in appello. Non poteva, inoltre, essere consentito l’ampliamento del thema decidendum, dal momento che la sentenza impugnata accoglieva proprio le tesi dell’Agenzia delle Entrate intervenuta.

L’art. 39 del DLgs. 112/99 stabilisce: “Il concessionario, nelle liti promosse contro di lui che non riguardano esclusivamente la regolarità o la validità degli atti esecutivi, deve chiamare in causa l’ente creditore interessato; in mancanza, risponde delle conseguenze della lite”.

Spiega la Cassazione che il precetto riguarda l’onere della chiamata imposto al concessionario e ha come conseguenza l’estensione all’ente impositore degli effetti del giudicato formatosi nei confronti dell’agente della riscossione se il primo non ha provveduto alla chiamata.

La Corte aggiunge, però, che la norma “non autorizza ad escludere la legittimità dell’intervento volontario del legittimato passivo (ente impositore) che, a prescindere dalla sua chiamata in causa, sia venuto a conoscenza della lite”.
L’istituto dell’intervento volontarioex art. 14 del DLgs. 546/92 assume quindi centralità, in quanto ammetterlo per la parte pubblica o meno sposta i termini della questione processuale.

L’art. 14 al comma 3 statuisce: “Possono intervenire volontariamente o essere chiamati in giudizio i soggetti che, insieme al ricorrente, sono destinatari dell’atto impugnato o parti del rapporto tributario controverso”.
Se ad una prima lettura la norma pare riferirsi solo alla parte privata vista la locuzione “insieme al ricorrente”, secondo la Cassazione questa “va ritenuta applicabile anche all’ente impositore, non potendo dubitarsi che sia parte «del rapporto tributario controverso»”.

Secondo i giudici di legittimità se tale possibilità è data alla parte privata, come nel caso del coobbligato solidale dipendente (Cass. n. 32188/2019), l’intervento volontario va ammesso per la parte pubblica pure in appello se l’ente impositore, in primo grado, non è stato chiamato in causa ex art. 39 del DLgs. 112/99.
Nella misura in cui la parte pubblica si costituisca in giudizio oltre il termine ex art. 23 del DLgs. 546/92 senza effettuare la chiamata in causa, ammettere, in appello, l’intervento volontario della parte che avrebbe dovuto essere chiamata in causa in primo grado a nostro avviso bypassa, di fatto, l’onere di chiamataex art. 39 del DLgs. 112/99.Il limite dell’interveniente, secondo la Corte, è quello di “accettare il processo nello stato in cui si trova al momento della sua costituzione”. La Cassazione rammenta come in appello il giudice tributario “non può estendere la propria indagine all’esame di circostanze nuove ed estranee a quelle originariamente invocate dall’ufficio, ma rispetto a quelle non incontra se non il limite dei motivi di impugnazione”.
Pare comprendere che non potranno essere proposte, ad esempio, eccezioni non rilevabili d’ufficio o nuove prove (negli ulteriori limiti dell’art. 58 DLgs. 546/92), per il resto ogni difesa nei termini di cui agli artt. 23 e 32 del DLgs. 546/92 sembra ammessa.

Rammentiamo che l’art. 14 comma 6-bis del DLgs. 546/92, in vigore dal 5 gennaio 2024 e introdotto dal DLgs. 220/2023, prevede che il ricorso vada proposto nei confronti dell’ente creditore e dell’Agente della riscossione quando il contribuente eccepisce vizi della notificazione dell’atto presupposto.
In questo specifico caso, non opera quindi l’art. 39 del DLgs. 112/99 sull’onere di chiamata in causa.





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