Le oscure forze (e i pericoli) dietro alla recente passione di Donald Trump per le criptovalute

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Fino a non molto tempo fa Donald Trump aveva una pessima opinione delle criptovalute: “Una specie di truffa basata sul nulla”. Tuttavia, nel corso della campagna elettorale per tornare alla Casa Bianca, la sua opinione è mutata radicalmente. Ora Trump vuole fare degli Stati Uniti la “capitale mondiale delle criptovalute”, pianifica leggi più favorevoli e la costruzione di una riserva federale di bitcoin, da costruire anche attingendo al denaro dei contribuenti.

Durante la campagna elettorale l’industria delle criptovalute è quella che più ha speso per sostenere candidati, di entrambi gli schieramenti, favorevoli a una loro diffusione e promozione, in tutto circa 250 milioni di dollari. Tuttavia, nel caso di Trump, c’è qualcosa di più di un semplice dovere di riconoscenza nei confronti di generosi sostenitori.

Un’indagine del sito di inchiesta statunitense The Lever ha ricostruito l’opaca rete di interessi che spingono per la svolta monetaria digitale della nuova presidenza. A delineare e sostenere la nuova linea trumpiana sono, in particolare, attivisti di destra espressione dell’industria dei combustibili fossili che puntano ad uno smantellamento delle normative ambientali che sia il più radicale possibile. Come noto, il sistema bitcoin consuma immensi quantitativi di energia. I soli “minatori” presenti negli Stati Uniti utilizzano 70 tetrawattora in un anno, tanto quanto l’intero stato del New Jersey. Ciò significa anche un aumento dei costi, in diverse aree del paese le bollette sono salite di circa 8 dollari in media a causa dell’energia chiesta dall’industria delle cripto.

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Se le criptovalute dovessero essere sposate, e quindi legittimate, dal governo centrale, il loro valore è destinato quasi certamente a salire. C’è che vede un bitcoin passare dai 100mila dollari odierni fino al milione di dollari. A beneficiarne sarebbe soprattutto una sparuta minoranza, visto che oltre il 90% dei bitcoin fa capo al 2% degli account. In ogni caso, con queste quotazioni, il consumo di energia sarebbe destinato a crescere in modo esponenziale.

I piani di Trump ricalcano le strategie messe a punto dal Bitcoin Policy Institute e dal Satoshi Action Fund. Quest’ultimo, in particolare, è un oggetto strano. Ha profondi legami con il Koch Network, un consorzio di società petrolifere e chimiche che ruotano attorno alla famiglia Koch, da sempre molto attiva nel promuovere idee e politiche ultraliberiste e tradizionalmente vicina alle forze di estrema destra. Il Satoshi Fund è legato pure alla Heritage Foundation, il principale think tank della destra neoconservatrice e pilastro del network internazionale dei dei fanatici del libero mercato. Qui è stato messo a punto il radicale piano di 900 pagine Project 2025, pensato per la presidenza Trump. Il piano include pure un capitolo per smantellare l’Agenzia per la protezione dell’ambiente, in cui viene negato che sia in atto un cambiamento climatico globale.

Al Satoshi Action Fund lavorano ufficialmente solo tre persone: Dennis Porter, Mandy Gunasekara ed Eric Peterson. Quest’ultimo, in precedenza, era in forze all’ Americans for Prosperity , un comitato di lobbying politica fondato dai magnati dei combustibili fossili David e Charles Koch. Gunasekara lavora anche alla Heritage Foundation, dove si è distinta per gli attacchi alle regolamentazioni imposte dall’amministrazione Biden alle industrie del carbone, del petrolio e del gas, nonché alle industrie chimiche e dei pesticidi, Ha anche sostenuto la rimozione delle normative che regolano gli standard di qualità dell’aria. Secondo alcune ricostruzione sarebbe la “regista” dell’uscita degli Usa dagli Accordi di Parigi per la lotta ai cambiamenti climatici, decisa dalla prima amministrazione Trump nel 2017.

Porter ha contribuito a redigere il testo da sottoporre a Trump per la creazione della riserva strategica di bitcoin. Ha anche messo a punto il disegno di legge in materia presentato al Congresso dalla senatrice repubblicana Cynthia Lummis nel 2024. Nel corso dell’ultima campagna elettorale Lummis aveva ricevuto circa 50mila dollari in donazioni da importanti figure del mondo delle criptovalute. Il suo disegno di legge prevede che il governo americano acquisti il 5% dei bitcoin sul mercato nel giro di 5 anni per poi conservarli per 20 anni. Blockchain Association e DeFi Education Fund, gruppi a sostegno delle cripto, hanno speso oltre 700mila dollari per attività di lobbying a sostegno di questo progetto.

Il Satoshi Action Fund ha inoltre promosso disegni di legge da approvare nei singoli stati che includono la possibilità di utilizzare il denaro raccolto con le tasse per compare bitcoin. Cinque stati, New Hampshire, North Dakota, Ohio, Pennsylvania e Texas, hanno adottato o stanno adottando, leggi che vanno in questa direzione. La Florida intende usare 1,1 miliardi di dollari del fondo pensione pubblico per comprare bitcoin.

La tesi che propugnano le lobby delle criptovalute è che una riserva nazionale potrebbe aiutare a combattere l’inflazione, rafforzare il dollaro e ridurre il debito. Ma sono idee che la gran parte degli esperti senza legami con il settore giudica altamente improbabili e rischiose. Il prezzo del bitcoin rimane soggetto ad ampie oscillazioni (più si diffonde più questo comporta rischi sistemici) e non sembra avere nessuna capacità nel proteggere i possessori da fasi recessive o di cali dei mercati visto che tende a muoversi in sincronia con gli altri indici e a risentire dei mutamenti del costo del denaro.



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