Il consulente fiscale risponde a titolo di concorso nel delitto di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifizi commesso dal cliente nel caso in cui la frazione di condotta da lui realizzata

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La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 1028 depositata il 10 gennaio 2025, intervenendo in tema di dichiarazione infedele e responsabilità del consulente, ha riaffermato il principio secondo cui in tema di reati tributari, il consulente fiscale del contribuente risponde a titolo di concorso nel delitto di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifizi commesso dal cliente nel caso in cui la frazione di condotta da lui realizzata, che può consistere nel fornire consigli sui mezzi giuridici idonei a perseguire il risultato o nel compiere attività dirette a garantire l’impunità o a favorire o rafforzare l’altrui proposito criminoso, sia stata posta in essere nella piena consapevolezza, ragionevolmente ritenuta sussistente nel caso di specie, di contribuire materialmente al complessivo perfezionamento del reato e al perseguimento del fine specifico di evasione.” (Sez. 3, n. 37642 del 06/06/2024, Rv. 286978-04)

La vicenda ha riguardato un consulente fiscale il quale, in concorso con l’amministratore di fatto delle società fallite, per avere agito quale consulente delle strategie aziendali veniva accusato dei reati di di bancarotta semplice e fraudolenta, di omessa dichiarazione ex 5 del d. lgs. n. 74 del 2000, di occultamento e distruzione delle scritture contabili, di appropriazione indebita, di indebita compensazione e di infedele dichiarazione di cui all’art. 4 del d. lgs. n. 74 del 2000. In particolare l’imputato aveva, in qualità di consulente, trasmesso la dichiarazione fiscale di una delle due società fallite e la dichiarazione indicava un’imposta inferiore a quella dovuta. Durante le indagini sono state infatti rinvenute fatture attive, il cui imponibile era pari a euro 1.894.833,13, importo risultante dalla comunicazione annuale dei dati iva per il 2013 inviata dal medesimo imputato ed aveva curato anche la trasmissione dello spesometro 2014, da cui parimenti risultava l’importo degli elementi attivi riconducibili alla cooperativa, fermo restando che presso lo studio del ricorrente sono stati rinvenuti vari documenti contabili e amministrativi. Inoltre aveva presentato il modello F24, avente ad oggetto indebite compensazioni di somme dovute per quell’anno con asseriti crediti iva non risultanti dalla dichiarazione fiscale, ma desumibili dal bilancio, dallo spesometro e dalla comunicazione annuale iva. Il G.U.P., nell’ambito di un articolato procedimento penale assolveva l’imputato, per non aver commesso il fatto. La Corte di appello, in riforma della pronuncia di primo grado condannava l’imputato in quanto ritenuto colpevole di alcuni episodi del reato di cui all’art. 4 del d. lgs. n. 74 del 2000 a lui ascritti. Inoltre, i giudici di appello, confermavano l’assoluzione dell’imputato rispetto ai reati fallimentari e a quelli ex art. 5 e 10 del d. lgs. n. 74 del 2000, mentre dichiaravano estinti per prescrizione i contestati episodi del reato di indebita compensazione. Veniva inoltre disposta la confisca dei beni nella disponibilità dell’imputato, per un valore corrispondente all’importo di euro 1.209.392,50. L’imputato, avverso la decisione di appello proponeva ricorso per cassazione fondato su cinque motivi.

I giudici di legittimità preliminarmente evidenziano che l’art. 603, comma 3 bis cod. proc. pen., come novellato dall’art. 34, co. 1, lett. i) n. 1 del d. lgs. 10 ottobre 2022 n. 150, dispone che, “nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice, ferme le disposizioni di cui ai commi da 1 a 3, dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nei soli casi di prove dichiarative assunte in udienza nel corso del giudizio dibattimentale di primo grado o all’esito di integrazione probatoria disposta nel giudizio abbreviato a norma degli articoli 438, comma 5, e 441, comma 5” e rigetta il ricorso.

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Per gli Ermellini, i giudici di appello, hanno correttamente sulla base di elementi, di indubbia pregnanza, che l’imputato aveva concorso nella commissione dei singoli reati di cui all’art. 4 del d. lgs. n. 74 del 2000, essendosi egli avvalso delle sue competenze di commercialista al fine di prospettare falsamente all’amministrazione finanziaria una situazione difforme da quella reale, in ben più che verosimile complicità c:on gli amministratori delle società  che hanno tratto beneficio dalle infedeli dichiarazioni, avendo peraltro l’imputato percepito un compenso non esiguo per gli incarichi professionali assunti, il che trovava evidentemente giustificazione nel compimento di attività ulteriori rispetto al mero inoltro delle dichiarazioni, la cui non rispondente al vero era ampiamente nota al ricorrente, il quale disponeva di tutti gli elementi conoscitivi della reale situazione patrimoniale delle due società.”

Il Supremo consesso respinge anche la doglianza in merito alla confisca, dovendosi ritenere ” legittima, avendo la Corte di appello correttamente applicato l’art. 1, comma 143, della legge n. 244 del 2007, vigente all’epoca in cui ha avuto inizio la vicenda illecita, secondo cui nei casi di cui agli articoli 2, 3, 4, 5, 8, 10-bis, 10-ter, 10-quater e 11 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni di cui all’articolo 322-ter del codice penale”, norma che appunto, in caso di condanna o patteggiamento per determinati reati, dispone l’obbligatorietà della confisca, anche per equivalente, dei beni che costituiscono il profitto o il prezzo del reato (una previsione autonoma per i reati tributari è stata poi specificamente introdotta, ad opera del d. lgs. n. 158 del 2015, con l’art. 12 bis del d. lgs. n. 74 del 2000, il cui comma 1 dispone che nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale per uno dei delitti previsti dal presente decreto, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto).”



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