Come fare un contratto di affitto a canone concordato

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Come funziona la formula 3+2; cosa controllare quando si stipula il contratto; come si determina l’importo del canone; come fruire delle agevolazioni fiscali.

In questa guida pratica ti spiegheremo come fare un contratto di affitto a canone concordato.

È uno schema molto utilizzato dai proprietari di immobili, e gradito anche agli inquilini, per la sua semplicità e convenienza.

Tuttavia occorre adottare degli accorgimenti indispensabili per usufruire delle agevolazioni: lo schema non è “libero” come nel tradizionale contratto di locazione con la formula 4+4 (i quattro anni di durata iniziale più altri quattro di rinnovo automatico), e neppure come nei contratti ad uso transitorio o di affitti brevi.

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Lo schema contrattuale è vincolato perché l’importo del canone viene determinato secondo un preciso meccanismo, che non può essere derogato.

In pratica il locatore rinuncia al canone che avrebbe potuto percepire con le regole del libero mercato, ma per rendere più appetibile la formula sono stati previsti dei vantaggi.

Iniziamo proprio da qui, in modo che tu possa verificare la convenienza di questo tipo di contratto.

Affitto a canone concordato: vantaggi e svantaggi

Il principale vantaggio del contratto a canone concordato è la tassazione: chi opta per la cedolare secca – un’imposta sostitutiva dell’Irpef sull’ammontare dei canoni percepiti nell’anno – paga soltanto il 10% anziché il 21% previsto per gli altri tipi di contratto di locazione.

La cedolare secca comporta anche l’esenzione completa delle imposte di registro e di bollo (che altrimenti sarebbero pari, rispettivamente, al 2% del canone annuo dichiarato, con un minimo di 67 euro, e a 16 euro per ogni 4 facciate, o 100 righe, di contratto).

In questo modo la gestione dei redditi derivanti dall’affitto dei fabbricati risulta molto semplice e si riduce l’importo delle tasse da pagare.

Anche chi decide di rimanere nel regime Irpef, anziché optare per la cedolare secca, con il contratto concordato – se sussistono le condizioni di cui all’articolo 8 della Legge n. 431/98 – ottiene una riduzione del 30% sul valore del canone di affitto annuo che costituisce la base imponibile per il calcolo dell’imposta.

Un altro vantaggio per il proprietario che affitta immobili a canone concordato (con contratto regolarmente registrato) è la riduzione IMU del 25%: pertanto si pagherà ogni anno solo il 75% della somma complessivamente dovuta al Comune.

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Con il contratto a canone concordato, però, non è possibile chiedere all’inquilino l’aumento periodico del canone di affitto in base all’andamento dell’inflazione rilevato secondo gli indici Istat. In pratica il locatore deve per forza rinunciare all’aggiornamento del canone, dovuta all’incremento Istat o ad altre variazioni, anche se questa clausola fosse stata prevista nel contratto.

Gli inquilini che stipulano un contratto di affitto a canone concordato possono beneficiare di una detrazione Irpef annua pari a 495,80 euro se il loro reddito imponibile complessivo non supera 15.493,71 euro, che si riduce a 247,90 euro se è superiore a tale cifra ma non arriva a 30.987,41 euro.

Contratto a canone concordato: quando si può fare

Il contratto a canone concordato è possibile per le locazioni ad uso abitativo nei Comuni ad alta tensione abitativa o colpiti da calamità naturali. Lo stabilisce l’articolo 2, comma 3, della legge n. 431 del 1998, la quale dispone che il prezzo dell’affitto venga determinato in base agli accordi locali stipulati tra le organizzazioni maggiormente rappresentative dei proprietari, da un lato, e degli inquilini, dall’altro.

Attualmente rientrano nei Comuni ad alta tensione abitativa le città di Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Venezia e tutti i Comuni con esse confinanti.

Il D.M. del 16/01/2017 ha esteso la possibilità di stipulare contratti di locazione a canone concordato in tutti i Comuni d’Italia, ove vi sia un accordo tra le organizzazioni sindacali delle rispettive categorie.

Come si determina il canone concordato

Questi accordi siglati tra le associazioni sindacali dei proprietari e degli inquilini sono essenziali perché determinano il contenuto del contratto, con particolare riferimento all’importo del canone, che proprio per questo motivo viene definito come concordato, ma con un meccanismo che opera a monte dell’intesa tra i singoli proprietari ed inquilini.

In molte grandi città, come Roma e Milano, c’è una suddivisione in zone territoriali definite come «aree omogenee», per ognuna delle quali vige un meccanismo di fissazione del costo della locazione in base a determinati indici e parametri.

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In alcuni casi sono previste delle «fasce di oscillazione», entro le quali il canone può variare tra il minimo ed il massimo stabilito, senza poterlo sforare. Si deve, quindi, necessariamente rientrare nel range prestabilito, che in molti casi può essere inferiore all’importo del canone che sarebbe possibile realizzare con un contratto stipulato in regime libero anziché concordato.

Ci sono diversi parametri previsti negli accordi locali per la determinazione del canone: la superficie dell’immobile, il suo stato di manutenzione, l’epoca di costruzione, le caratteristiche (numero di vani, presenza di balconi e terrazze, doppi servizi, ecc.) l’eventuale arredamento interno, la presenza di servizi comuni (ascensore, riscaldamento, ecc.) e di eventuali servizi aggiuntivi (impianti di condizionamento, dispositivi per l’eliminazione delle barriere architettoniche, rete wifi, servizi sportivi, posto auto o box, cortile e giardino condominiale).

Compilando le varie chiamate presenti nella griglia prevista dall’accordo locale, e applicando ad ognuna di esse i vari coefficienti moltiplicatori (ad esempio, uno stato di manutenzione scadente dell’edificio può comportare una riduzione del 10% del canone), si ottiene l’importo del canone di affitto concordato, da riportare nel contratto.

Contratto a canone concordato: quanto dura

Il contratto di affitto a canone concordato si basa sulla formula 3+2: i primi tre anni sono di durata minima, che non può essere ridotta, e nei successivi due anni opera un rinnovo automatico.

Se entro tale scadenza non interviene la disdetta (con il termine di preavviso stabilito nel contratto) c’è una proroga per un altro biennio, e così via, sino a quando una delle due parti non comunicherà il recesso all’altra.

Per provocare il termine del contratto, la rinuncia al rinnovo automatico deve avvenire con lettera raccomandata o con Pec (posta elettronica certificata) da inviare alla controparte almeno sei mesi prima della prevista scadenza, altrimenti il contratto viene prorogato per altri due anni.

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Contratto di affitto a canone concordato: il modulo

Per stipulare un contratto di affitto a canone concordato bisogna seguire uno schema obbligatorio: un modello allegato a un Decreto ministeriale (D.M. Infrastrutture e Trasporti del 16.01.2017) che volendo puoi scaricare da qui oppure prelevare dal sito istituzionale del Dicastero.

Questo modulo, come abbiamo detto, prevede le “chiamate” da compilare per determinare l’importo del canone secondo i parametri fissati dalle associazioni di categoria: quindi deve essere necessariamente integrato con lo schema vigente a livello locale al momento della stipula del contratto (gli accordi territoriali tra le organizzazioni sindacali vengono rinnovati, mediamente, ogni quattro o cinque anni).

Le clausole del contratto di locazione a canone concordato sono standard e non possono essere modificate dalle parti: in caso contrario, le previsioni difformi dallo schema legale vengono sostituite di diritto con quelle contenute negli accordi vigenti.

Va evidenziato che, per beneficiare delle agevolazioni fiscali che abbiamo descritto, a partire dalla cedolare secca al 10%, le parti contraenti devono farsi assistere, nella stipula del contratto, dalle rispettive associazioni sindacali di categoria, che sigleranno tramite i propri rappresentanti territoriali l’accordo raggiunto o, in alternativa, rilasceranno un’apposita attestazione di conformità del contratto allo schema approvato.

L’allegazione di tale attestazione al contratto registrato non è obbligatoria, ma è definita «opportuna» dall’Agenzia delle Entrate (risoluzione n. 31/E del 20 aprile 2018) per evitare contestazioni al contribuente che ha usufruito delle esenzioni dalle imposte di registro e di bollo ed ha optato per la cedolare secca.

Il Decreto Semplificazioni (D.L. n. 73/2002) ha stabilito che tale attestazione può essere estesa anche ai successivi contratti stipulati per il medesimo immobile, se le sue caratteristiche non sono variate rispetto alla data di rilascio.

Approfondimenti

Per lo schema analitico del modello di contratto che abbiamo sintetizzato e commentato, consulta “Modello di affitto 3+2 a canone concordato“.

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