L’Aja non conta. Netanyahu è libero di venire in Italia

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Come la Polonia e l’Ungheria, anche l’Italia garantirà al premier israeliano Benjamin Netanyahu l’immunità totale rispetto al mandato d’arresto spiccato nei suoi confronti dalla Corte penale internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità. L’ha detto chiaro e tondo ieri sera il ministro degli Esteri Antonio Tajani a margine di un evento dell’ambasciata italiana alla Santa Sede: «È tutto molto chiaro. Ci sono le immunità e le immunità vanno rispettate».

LA NOTIZIA aveva cominciato a circolare dopo l’incontro « avvenuto ieri mattina tra il ministro degli Esteri di Tel Aviv Gideon Sa’ar e il ministro della Giustizia Carlo Nordio. «Ho detto che la politicizzazione della Corte internazionale di giustizia e della Corte penale internazionale sta minando la loro credibilità e danneggiando il diritto internazionale», aveva scritto a botta calda l’israeliano su X che poi, in un incontro con la comunità ebraica di Roma, ha ribadito il concetto con maggiore chiarezza: «Ho parlato con i ministri Tajani e Nordio. Non ho l’abitudine di riferire ciò che si dice, ma non c’è nessun problema per chiunque venga a Roma, nemmeno per Netanyahu».
Per la verità, almeno in via Arenula, la posizione italiana è stata molto più sfumata di così. Il discorso, fatto in un contesto definito come «assolutamente informale», era generale – «un parere tecnico», lo definiscono dal ministero – sulla Convenzione di Vienna, che regola tra le altre cose anche le immunità dei capi di stato, dei capi di governo e dei ministri degli esteri quando non si trovano nei propri paesi. Da qui la delegazione israeliana ha esteso il discorso anche a Netanyahu, ha fatto filtrare la notizia su alcuni media (il primo a parlare della faccenda è stato il Times of Israel nella sua diretta online della giornata) e infine ha annunciato la cosa come fatta. L’Italia si è limitata a non smentire e a commentare con frasi tecnicamente ineccepibili come quella di Tajani: «Ci sono le immunità e le immunità vanno rispettate». Il governo di Roma, che sin da quando la Cpi ha diramato il mandato d’arresto ha cominciato a riflettere sul da farsi, per questa sua interpretazione molto estesa dell’immunità si sarebbe avvalsa di un parere legale.

I GIURISTI, però, sono molto divisi sul punto, perché la Convenzione di Vienna viene comunemente considerata subalterna rispetto allo Statuto di Roma, quello che non solo ha istituito la Cpi ma ha anche definito le regole generali e i confini della giurisdizione internazionale. I crimini di guerra e contro l’umanità addebitati a Netanyahu non possono in alcun modo essere considerati come reati compiuti nell’esercizio delle sue funzioni di governo, dunque non godono della copertura legale della Convenzione di Vienna. Qui, però, l’affare si fa ulteriormente complicato: Israele non ha mai sottoscritto lo Statuto di Roma – dunque non si pone problemi di alcun tipo -, mentre l’Italia è proprio il paese che si fregia di aver dato i natali alla Cpi e scavalcarla così come sembrerebbe voler fare il governo significherebbe scavare un solco profondissimo nella storia del diritto penale internazionale. Non serve andare troppo indietro con la memoria per ricordare le polemiche contro la Mongolia che lo scorso settembre ha ospitato il presidente russo Putin senza mettergli le manette intorno ai polsi, nonostante anche lui sia un ricercato dalla Cpi. E ancora: quando la Polonia, la settimana scorsa, ha fatto sapere che non avrebbe arrestato Netanyahu qualora lui avesse deciso di presenziare all’ottantesimo anniversario dell’apertura dei cancelli di Auschwitz a fine mese, un portavoce dell’Ue fece presente che tutti «gli stati membri devono cooperare con la Corte, inclusa l’esecuzione dei mandati di arresto».

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ADESSO il problema si pone con l’Italia, che, almeno a parole, ritiene di avere tutte le ragioni tecniche per ignorare le richieste della Cpi, ma che in realtà sta facendo un atto politico che più politico non si può, perché significa soprassedere su tutti i rilievi fatti a Israele per il modo in cui ha gestito le sue operazioni militari a Gaza: una serie di azioni talmente pesante da aver prodotto addirittura una causa per genocidio davanti alla Corte internazionale di giustizia. Non è un dettaglio irrilevante per Roma, che continua ad avere rapporti diplomatici stabili con l’Autorità nazionale palestinese e che, ufficialmente, è per la soluzione dei «due popoli e due stati».

IN TUTTA EVIDENZA, però, il viaggio italiano del ministro Sa’ar ha prodotto risultati diplomatici importanti per Tel Aviv. Perché siglata la tregua, restano aperte tantissime questioni delicate. E mai come ora Israele ha bisogno di paesi amici per riconquistare la credibilità internazionale perduta in quasi 500 giorni di guerra. E l’Italia ha risposto presente.



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