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Riciclo, poco compost di qualità: «controlliamo la raccolta e miglioriamo gli impianti». Promosse le bioplastiche

Luci e ombre sulla raccolta differenziata dell’organico. E i problemi sono, come si usa dire spesso: sia a monte sia a valle. Partendo dalle note positive, siamo diventati sempre pi� diligenti nella raccolta differenziata, anche dell’organico: ma fare una buona raccolta da sola non basta. Per valorizzare davvero gli sforzi dei cittadini e trasformare questa preziosa frazione dei rifiuti in compost, fertilizzante naturale da riportare nei terreni agricoli, sarebbero due gli ostacoli da superare: una percentuale troppo alta di materiali non compostabili che finiscono nell’umido e una struttura impiantistica ancora non adeguatamente efficiente.

In uno studio realizzato dall’universit� romana di Tor Vergata, sono stati analizzati 112 impianti di riciclo di rifiuti organici. Troppi rifiuti sbagliati vengono gettati nell’umido e le strutture di trattamento non sono adeguate. Mentre le plastiche di origine vegetale hanno buone performance e sono fondamentali per eliminare gli scarti di processo

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L’allarme arriva dall’ultimo studio realizzato dal team di ricerca del dipartimento di Ingegneria civile e informatica dell’universit� di Roma Tor Vergata. La ricerca, commissionata da Biorepack (Consorzio nazionale per il riciclo organico degli imballaggi in bioplastica compostabile), ha analizzato le prestazioni dei 112 principali siti di trattamento della Frazione organica del rifiuto solido urbano, nei quali viene trattato il 96 per cento di tutti i rifiuti organici, pari a 4,8 milioni di tonnellate. Il risultato? Soltanto sette regioni sono servite da impianti che adottano processi in grado di minimizzare gli scarti non compostabili e di valorizzare al meglio la frazione organica. Ma per altre cinque regioni (tra le quali, Lazio, Campania e Trentino Alto Adige) nessun impianto soddisfa i requisiti minimi di efficienza assunti nello studio.

Le bioplastiche compostabili

E qui ritorniamo al problema a monte: prima di tutto, dovremmo gi� in casa fare attenzione ad evitare di “sporcare” la raccolta dell’umido con la presenza di materiali non compostabili. Per poi ripensare i criteri di separazione dei materiali non compostabili e rispettare le giuste tempistiche di trattamento organico. Ma l’obiettivo della ricerca commissionata da Biorepack � anche un altro. Come ricorda lo stesso Carmine Pagnozzi, direttore generale del Consorzio: �Quando abbiamo deciso di commissionare questo studio al team di ricerca diretto dal professor Francesco Lombardi, volevamo soprattutto verificare le modalit� di gestione delle bioplastiche compostabili all’interno del processo di trattamento dei rifiuti organici: riteniamo, infatti, che siano troppo pretestuose le accuse su una presunta incompatibilit� tra le bioplastiche compostabili e i siti di trattamento organico�.

Vantaggi economici

Fine della querelle? A quanto pare s�: lo studio evidenzierebbe che non esistono problemi di convivenza negli impianti con elevato indice di riciclo. Non solo: �In tali contesti, le bioplastiche rappresentano una indubbia risorsa in quanto contribuiscono ad aumentare la quantit� di materiale avviabile a riciclo, diminuendo allo stesso tempo gli scarti di processo�, aggiunge Pagnozzi. Dal punto di vista dell’ateneo romano, per raggiungere gli standard europei di un tetto massimo del 10 per cento di presenza di rifiuti del totale che finisce in discarica, sono tre i passaggi irrinunciabili: �Ridurre la presenza di materiali non compostabili, massimizzare il riciclo della Forsu (la frazione organica del rifiuto solido urbano) e valorizzare tutte le matrici compostabili, comprese le bioplastiche�, afferma il professor Lombardi, secondo il quale, questi tre passaggi fanno bene all’ambiente ma anche all’economia: �Una produzione di scarti maggiore del 15 per cento rispetto al rifiuto trattato risulterebbe economicamente non sostenibile, considerando che le attuali tariffe medie per lo smaltimento degli scarti sono, nella migliore delle ipotesi, circa il doppio di quelle del ritiro del rifiuto organico�.

Friuli-Venezia Giulia sul gradino pi� alto

E se nella ricerca scopriamo che il tasso medio di scarto prodotto dagli impianti di trattamento organico � pari al 21,9 per cento

, e quindi siamo ancora lontani dalla soglia del 15 per cento, l’obiettivo da raggiungere (�Un risultato figlio della profonda disparit� a livello regionale in termini di efficienza impiantistica�), ecco un piccolo tour, da Nord a Sud del Paese, per scoprire dove si trovano gli impianti pi� virtuosi. Con Friuli Venezia Giulia, Veneto, Lombardia, Puglia, Piemonte, Emilia Romagna e Molise in grado di mantenere addirittura sotto il 10 per cento la percentuale di scarti, ma con Trentino Alto Adige, Marche, Lazio, Abruzzo e Campania maglie nere in quanto non in grado di mantenere gli scarti neppure al di sotto del 20 per cento.

Tempi fisiologici di recupero

Infine, dare tempo al tempo � garanzia di un ottimo riciclo. E in fondo, per le corrette tempistiche del trattamento organico, basterebbe seguire le indicazioni italiane e comunitarie prodotte dal Ministero dell’Ambiente e contenute nei Bref della Commissione europea (all’interno del quale sono descritti i diversi e corretti processi industriali). Negli impianti aerobici, per aspettare che il rifiuto organico diventi compost di qualit�, dovrebbero trascorrere dalle 9 alle 10 settimane; mentre, per gli impianti integrati (anaerobici e aerobici) basterebbero dai 30 ai 45 giorni. �E dal momento che anche noccioli di frutta, gusci di uova e di molluschi, sfalci e potature sono materiali biodegradabili, non sarebbe male se i gestori di rifiuti nei singoli Comuni li ammettessero nella raccolta della frazione organica del rifiuto solido urbano�, conclude Lombardi, aprendo un’altra questione e passando la palla a chi ha facolt� di decidere.

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