L’Ance, associazione nazionale costruttori edili, ha fatto una “scoperta” straordinaria. Nelle grandi città italiane, comprare case per chi ha un impiego retribuito con il salario medio nazionale, comprare casa è diventato praticamente impossibile. Ben svegliati. L’Ance ci fa sapere che nelle grandi città l’acquisto della prima abitazione è un sogno irrealizzabile per 10 milioni di famiglie, con un reddito fino a 24 mila euro. Milano, Roma e Napoli vengono indicate come le città più inaccessibili. Pure l’affitto, “scopre” sempre l’Ance, è fuori portata per le famiglie più fragili. Per pagarlo si arriva a spendere quasi la metà del proprio reddito e per i meno abbienti anche oltre.
A questo punto ci si potrebbe aspettare che si giunga ad una logica conclusione: gli stipendi (inclusi quelli pagati delle aziende associate all’Ance) sono drammaticamente inadeguati al costo della vita. Cosa che peraltro emerge da qualsiasi confronto internazionale. Quindi sarebbe opportuno alzarli, questi salari. O almeno regolamentare certe pratiche, come quella degli affitti brevi, ormai fuori controllo. E invece no. Insieme a Confindustria, Ance ribadisce la necessità di un piano casa per i lavoratori. Cosa significa in concreto? Che la casa ai lavoratori deve pagarla lo Stato, cioè tutti noi, e non le aziende che li impiegano.
Un piano “così da soddisfare il bisogno strutturale di alloggi a un costo sostenibile”, dice la presidente dell’Ance, Federica Brancaccio. Il piano ha tre pilastri: semplificazioni urbanistiche e amministrative, misure fiscali, sviluppo di strumenti finanziari e di garanzia che rendano possibile la partecipazione all’investimento dei privati. “Ormai è chiaro a tutti – ha detto Brancaccio – che questo problema sociale ha delle implicazioni profonde e determina evidenti difficoltà allo sviluppo delle persone e delle famiglie a una vita serena e finalizzata a progetti di crescita”. “Ma le difficoltà di accesso alla casa, ha aggiunto, rappresentano anche un vincolo alla mobilità della forza lavoro e di altre categorie fragili (come gli studenti), ed incide negativamente sulle potenzialità di sviluppo dell’intera economia”.
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