Abedini fuori dal carcere. Dietro la firma di Nordio il negoziato con l’Iran e gli affari con l’America per la liberazione di Cecilia Sala

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Contabilità

Buste paga

 


Sul 38enne ingegnere svizzero-iraniano pende una richiesta di estradizione da parte degli Stati Uniti: per il ministero, però, uno dei reati di cui è accusato «non trova corrispondenza». Bonelli: «Questa è la conferma dello scambio con la giornalista italiana». Benifei (Pd): «Chiediamo chiarimenti»

La firma del ministro della Giustizia, Carlo Nordio, per il rilascio di Mohammad Abedini Najafabadi, 38enne, accusato dagli Usa di aver aggirato le sanzioni fornendo all’Iran i componenti elettronici per i suoi droni Shahed è il sigillo dell’epilogo.

Mette la parola fine alla vicenda legata a Cecilia Sala, giornalista italiana arrestata a Teheran il 19 dicembre come ritorsione per la detenzione di Abedini e liberata mercoledì scorso dopo venti giorni di reclusione nel carcere di Evin. Lo scambio di prigionieri è completato. La trattativa sull’asse Roma-Teheran chiuso: la liberazione della giornalista in cambio della scarcerazione dell’ingegnere. Quella che resta è una storia di omissioni, affari e soldi.

Sconto crediti fiscali

Finanziamenti e contributi

 

Le tappe della vicenda 

Subito dopo l’arresto di Sala era stato prima il ministro degli Esteri, Antonio Tajani a escludere qualsiasi «dietrologia» e «diplomazia degli ostaggi». Poi, il 7 gennaio, l’Iran ha ribadito che l’arresto di Cecilia Sala a Teheran «non è una ritorsione» legata alla detenzione in Italia di Abedini, auspicando che il caso «venga risolto rapidamente». Il giorno dopo, l’8 gennaio, Cecilia Sala viene liberata. Il 9 gennaio, il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ribadisce che si tratta di «due vicende parallele ma non congiunte».

Domenica 12 gennaio, all’ora di pranzo di una giornata già politicamente agitata, arriva il comunicato in cui il ministero di via Arenula afferma che la decisione di liberare Abedini è basata su motivazioni squisitamente giuridiche, e in particolare sul cosiddetto obbligo di doppia incriminazione: «In forza dell’articolo 2 del trattato di estradizione tra il governo degli Stati Uniti d’America e il governo della Repubblica italiana, possono dar luogo all’estradizione solo reati punibili secondo le leggi di entrambe le parti contraenti, condizione che, allo stato degli atti, non può ritenersi sussistente», si legge.

Infatti, sostiene il ministero, «non trova corrispondenza nelle fattispecie previste e punite dall’ordinamento penale italiano» la prima accusa delle tre rivolte all’ingegnere, quella di «associazione a delinquere per violare l’Ieepa», International Emergency Economic Powers Act, una legge che consente al presidente Usa di confiscare beni e vietare transazioni commerciali al di fuori dei confini nazionali, nel caso rappresentino una «minaccia straordinaria» alla sicurezza del paese.

«Quanto alla seconda e terza condotta», prosegue la nota, cioè «rispettivamente di “associazione a delinquere per fornire supporto materiale a una organizzazione terroristica con conseguente morte” e di “fornitura e tentativo di fornitura di sostegno materiale ad una organizzazione terroristica straniera con conseguente morte”, nessun elemento risulta a oggi addotto a fondamento delle accuse rivolte, emergendo con certezza unicamente lo svolgimento, attraverso società a lui riconducibili, di attività di produzione e commercio con il proprio paese di strumenti tecnologici aventi potenziali, ma non esclusive, applicazioni militari».

Una nota che sarebbe potuta uscire settimane prima per negare l’arresto di Abedini, eppure è stato proprio Nordio il 20 dicembre a dare l’ok al mantenimento della custodia dell’ingegnere iraniano nel carcere milanese di Opera. La disposizione di rilascio brucia anche la decisione della Corte di Appello sul convertire la custodia in carcere negli arresti domiciliari attesa per il 15 gennaio.

Le reazioni 

Tutto è ormai sotto la luce del sole. Dall’opposizione il primo a indicare il negoziato è Angelo Bonelli, co-leader di Alleanza Verdi Sinistra: «Ora è chiaro a tutti che la liberazione di Cecilia Sala è stato uno scambio. Meloni ha chiesto prima il permesso degli Stati Uniti d’America, sia a Biden che a Trump e questo ci fa rimpiangere Bettino Craxi nella sua autonomia nelle decisioni, basta ricordare il caso di Sigonella».

Una trattativa chiara anche ai protagonisti della vicenda. Pochi giorni fa era stata proprio Sala, nel suo podcast a collegare il suo arresto alla notizia letta quello avvenuto in Italia dell’ingegnere iraniano: «Ho pensato tra le ipotesi che potesse essere quello il motivo, che potesse esserci l’intenzione di usarmi». Sala è entrata nella prigione di Evin consapevole fosse in corso «uno scambio molto difficile».

Una difficoltà durata più di 20 giorni. Il negoziato ha subito un’accelerazione dopo il blitz di Giorgia Meloni a Mar-a-Lago, a casa di Donald Trump. Lì ha ottenuto il sì condizionato del tycoon allo scambio. Non senza condizioni. Doveva essere fatto prima del suo insediamento, scaricando qualsiasi imbarazzo sull’uscente Biden.

Richiedi prestito online

Procedura celere

 

Ma soprattutto, come già raccontato da Domani e ribadito da fonti accreditate dopo la smentita della procura di Milano, l’intelligence italiana ha garantito alla Cia il trasferimento di tutte le informazioni contenute nei dispositivi mobili, pc e smartphone sequestrati dalla Digos ad Abedini il giorno della cattura. Materiale prezioso che consentirà operazioni di contro-spionaggio e l’approfondimento di tecnologie adoperate dagli ayatollah, oltre che la rete di contatti dell’iraniano. 

Ma non solo, sulla liberazione di Sala l’ombra dell’America è verde come il colore dei dollari: nonostante le smentite ufficiali sarebbe in corso una commessa miliardaria per l’americana SpaceX, l’azienda di Elon Musk, che otterrà il controllo sulle comunicazioni più strategiche dell’Italia. 

Una storia, questa, destinata a diventare il prossimo scontro politico tra maggioranza e opposizione. È Brando Benifei, eurodeputato del Pd e presidente della delegazione del parlamento europeo per le relazioni con gli Stati Uniti a chiedere delucidazioni a Meloni: «A questo punto bisogna capire bene ogni aspetto della vicenda e chiediamo quindi al governo di riferire al più presto in parlamento».

© Riproduzione riservata



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Finanziamenti personali e aziendali

Prestiti immediati

 

Source link