niente estradizione negli Usa. L’Iran elogia «la cooperazione»

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Lacrime di sollievo quando è uscito dalla cella del carcere di Opera, dopo 27 giorni in regime di stretta sorveglianza, poi il trasferimento all’aeroporto di Malpensa e il volo per Teheran, dove è atterrato ieri alle nove e mezza di sera, ora locale. Mohammed Abedini Najafabadi, l’ingegnere iraniano fermato il 16 dicembre su mandato di arresto degli Stati Uniti, è di nuovo un uomo libero. E non sarà estradato negli Usa.

LA RATIFICA

Esercitando la facoltà che gli è riconosciuta dall’articolo 718 del codice di procedura penale, il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha depositato alla Corte d’Appello di Milano la revoca della custodia cautelare dell’ingegnere trentottenne. I giudici non hanno alcuna facoltà di opporsi, un collegio della quinta sezione si è riunito d’urgenza per la ratifica e alla nove di mattina l’uomo dei droni, accusato dal Dipartimento del Massachusetts di avere fornito all’Iran dispositivi e materiali elettronici impiegati in un attacco a una base in Giordania in cui morirono tre soldati americani, ha lasciato la prigione. Sulla base di due principi. Il primo: uno dei reati di cui è accusato Abedini, «l’associazione a delinquere per violare l’Ieepa (la legge sui poteri economici in caso di emergenza internazionale) non trova corrispondenza nelle fattispecie previste e punite dall’ordinamento penale italiano». La norma americana infatti fa riferimento a una legge federale che attribuisce al presidente il potere di classificare le minacce provenienti da altri Paesi. Quanto alle altre due ipotesi di reato, «nessun elemento risulta a oggi addotto a fondamento delle accuse rivolte, emergendo con certezza unicamente lo svolgimento, attraverso società a lui riconducibili, di attività di produzione e commercio con il proprio Paese di strumenti tecnologici avente potenziali, ma non esclusive, applicazioni militari». In sostanza, mancano le prove per dimostrare che l’ingegnere, con la sua società di droni Sdra specializzata in sistemi di navigazione, abbia supportato il Corpo delle guardie della rivoluzione islamica, catalogato dagli Usa tra le organizzazioni terroristiche.

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Il rientro di Abedini a Teheran è stato scandito dagli annunci dell’Irna, l’agenzia di stampa della Repubblica islamica. Riportando le comunicazioni della magistratura di Teheran su Abedini, ha riferito che l’arresto dell’ingegnere è stato effettuato per «un malinteso» e dopo l’intervento del ministero degli Esteri iraniano e i colloqui avvenuti tra i rispettivi funzionari del ministero dell’Intelligence iraniano e i nostri servizi segreti, il problema è stato risolto. Esmail Baghaei, portavoce del ministero degli Esteri, ha elogiato «la cooperazione di tutte le parti interessate» ed esprimendo soddisfazione per il rilascio di Abedini ha sottolineato l’impegno profuso da Teheran, che «non risparmierà alcuno sforzo nell’adempimento dei suoi doveri di proteggere i diritti dei cittadini iraniani» che risiedono al di fuori dei confini nazionali. «Ho sempre creduto e avuto fiducia nella giustizia», ripeteva lo specialista dei droni, sostenendo la sua innocenza a ogni incontro in carcere con il suo legale, Alfredo De Francesco. «Ora potrà riprendere a sorridere e sperare», il sollievo dell’avvocato. Fin dall’inizio Abedini ha respinto le accuse, chiedendo un’attenuazione della custodia cautelare dalla cella ai domiciliari. Dopodomani si sarebbe dovuta svolgere l’udienza per la sua eventuale scarcerazione, in merito alla quale il procuratore generale Francesca Nanni ha trasmesso a inizio gennaio alla Corte d’Appello parere negativo. «Si ritiene che le circostanze rappresentate nella richiesta, in particolare la messa a disposizione di un appartamento e il sostegno economico da parte del Consolato dell’Iran, unitamente a eventuali divieto di espatrio e obbligo di firma, non costituiscano una idonea garanzia per contrastare il pericolo di fuga del cittadino iraniano di cui gli Usa hanno chiesto l’estradizione», la motivazione. Al momento dell’arresto gli sono stati sequestrati pc, smartphone, chiavette usb e schede tecniche ora custoditi in una cassaforte della Procura di Milano, che ha aperto un’indagine conoscitiva. Materiale che interessa molto gli Stati Uniti e che non è escluso possa essere consegnato tramite rogatoria.

 

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